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TESTO Riuniti nel suo nome

mons. Roberto Brunelli

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (07/09/2008)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

“Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”: il solenne impegno di Gesù, che abbiamo sentito qualche domenica fa', è accompagnato da alcune norme, basilari per regolare i rapporti tra gli appartenenti alla Chiesa. L’uomo è un essere sociale, cioè non può vivere da solo; è imprescindibile un suo rapporto con i suoi simili. Ci sono però tanti modi di stare insieme: con indifferenza o sopportazione del prossimo, di cui pure non si può fare a meno; con egoismo, tendente a sfruttare gli altri per il proprio vantaggio; con l’intento di affermare sugli altri la propria supremazia... e si potrebbe continuare. Gesù proclama (e ne dà l’esempio) un modo diverso: insieme con amore, quello autentico, quello che vuole il bene di chi ci sta intorno. E appunto all’amore sono improntate le regole di vita tra quanti si dicono suoi amici, e per questo stanno nella Chiesa.

La prima, esposta all’inizio del brano odierno, riguarda il comportamento verso chi sbaglia. “Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello”. Niente clamore, dunque; pur con l’intento di sanarlo, meglio se il male resta segreto e chi sbaglia non sia esposto alla pubblica riprovazione. Può accadere tuttavia che il colpevole resista, magari considerando chi lo richiama un intruso; il quale però non deve darsi per vinto, e sempre con amorevole discrezione, sottintende Gesù, riprovi con qualche aiuto: “Se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro”, solo a questo punto il fatto assume un rilievo pubblico, e il bene comune diventa prioritario. “Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neppure la comunità, sia per te come un estraneo, dal quale tenersi a distanza”.

Questa estrema misura ha preso storicamente la forma della scomunica: la formale esclusione dalla comunità, dalla comunione con Dio. La scomunica è la dolorosa presa d’atto che un componente della Chiesa si è liberamente e tenacemente posto fuori di essa. E’ il caso qui di ricordare però un’altra norma, esposta più avanti (la si leggerebbe domenica prossima, se non ricorresse la festa di cui si dirà). E’ la norma del perdono, che l’amore dev’essere sempre disposto a concedere a chi si pente, fosse anche scomunicato, e non una volta sola ma fino a “settanta volte sette”.

Tornando al brano di oggi, vi troviamo sul finale un altro aspetto del vivere insieme nella Chiesa, la preghiera comunitaria. “Se due di voi si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Senza negare il valore della preghiera individuale, quella fatta insieme è più importante, perché comporta il “valore aggiunto” – e quale valore! – della presenza di Gesù. Peraltro, anche pregando da solo il cristiano non dimentica mai di appartenere a una comunità; anche pregando da solo egli non dice “Padre mio che stai nei cieli...”, ma sempre “Padre nostro”, come Gesù ha insegnato.

La preghiera comunitaria, in cui ci si riconosce figli dello stesso Padre e dunque fratelli, tocca l’apice nella celebrazione della Messa. Qui si concretizza l’essere parte di una comunità, qui si impara a vivere attenti gli uni agli altri, qui la presenza di Gesù si fa tanto concreta da sperimentarla come cibo. Ecco perché non regge la motivazione di chi non partecipa alla Messa, preferendo guardarla alla televisione, o andare in chiesa “quando non c’è nessuno, così mi raccolgo meglio”. I cristiani sono tali perché appartenenti alla comunità che il Cristo ha voluto: la comunità dei “riuniti nel suo nome”.

 

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