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TESTO Un bene perduto: l'ammonizione

mons. Antonio Riboldi

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (07/09/2008)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

È facile, oggi, giudicare, condannare, atteggiamenti che il più delle volte nulla hanno a che fare con l’amore. È diventata una moda quella di ‘criticare’, fermandosi ad una visione superficiale su chi ci sta vicino o ‘ci passa’ vicino. Difficile trovare chi vede il bene o con carità ci aiuta a uscire dal male, con il dono umile dell’ammonizione, che non deve mai essere e neppure apparire quasi una superiorità, ma solo desiderio profondo di bene.

C’era un tempo in cui le nostre mamme non lasciavano mai sfuggire un tratto sbagliato della nostra vita. Sapevano, nel loro grande amore, che era un volerci bene e che, se non correggevano a tempo debito, si rischiava che il male diventasse una triste abitudine di vita.

‘Antonio - mi diceva mia mamma - è vero che ti faccio cento prediche al giorno, ma è perché ti voglio bene. Tu non conosci le insidie del male e io cerco, non solo di fartele vedere, ma di creare una coscienza del bene, che si trasformi poi in un giusto comportamento nella vita, quando sarai tu a camminare con le tue gambe. Non vorrei, quando saremo davanti al Padre, sentirmi dire che, se sei cresciuto male, la responsabilità è mia, perché non ti ho educato al bene da piccolo. Verrà il tempo che sarai solo a decidere: non dimenticare mai i miei ammonimenti!’.

E così fu. Alla vigilia della sua morte, all’età di 99 anni, visitandola, già vescovo, ebbe ancora la forza di ammonirmi: ‘Ricordati, Antonio, e mi raccomando: fa’ sempre giudizio e comportati bene!’

Ma ci sono ancora famiglie dove vige una sana ammonizione, frutto dell’amore?

O, per non aver fastidi, si dice sempre ‘sì’ a tutto, oppure ‘no’ senza spiegazioni?

Quale la ragione dei fatti di bullismo, della voglia di affermarsi su tutti, che è sintomo di superbia, o della ‘voglia di sballo’, segno di grande fragilità interiore?

Quante vite si salverebbero se l’amore di tutti facesse strada al bene!

In un mondo che va perdendo la capacità di amare - affermava Paolo VI - man mano che perde la capacità di conoscere Dio, e facendo dell’uomo centro supremo del suo pensiero e della sua attività, divinizza se stesso, spegne la luce della verità, vulnera i motivi dell’onestà e della gioia, noi proclameremo la legge dell’amore che si sublima, dell’amore che sale, dell’amore che osa prefiggere a suo termine l’infinita bontà. Risponderemo a Dio con l’offerta del nostro cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente. Sarà la nostra vita un incantevole dialogo con quel Dio che, dopo averci creati, redenti, associati alla sua vita, rivolge a noi la fatale domanda, che Cristo risorto rivolse a Pietro: ‘Mi ami tu?’. (discorso del 1956)

E’ quanto ci dice oggi S. Paolo, nella lettera ai Romani: “Fratelli, non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole, perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge”.

Infatti, il precetto: ‘Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare’ e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore”. (Rom. 13, 8-10)

Tornando al dovere di carità dell’ammonizione, credo che, chi ama il fratello, non può tacere di fronte ai suoi errori, magari compiuti senza sapere neppure che sono errori. Quante volte capita - a tutti! - di ‘uscire dalla strada buona della vita’ e non esserne pienamente consapevoli!
Se si ama davvero, non si può tacere.

Quando, da vescovo, mi trovai di fronte al grande male della criminalità, scrissi, assieme ai miei confratelli della Campania, una lettera pastorale che intitolai con le parole del profeta Isaia: ‘Per amore del mio popolo non tacerò’. Fu un atto di grande coraggio, ma necessario, perché, tacendo, come volevano gli affiliati alla camorra, era come fare strada a loro.

Ci sono troppi silenzi pericolosi, nella politica, nell’economia, nella scuola, nella famiglia: silenzi che fanno tanto male a tutti.

Ma è necessario che a muoverci nell’ammonimento sia, non l’esibizione di un’immunità personale dall’errore. Anzi, Gesù ci avverte: “Perché stai a guardare la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non t’accorgi della trave che è nel tuo occhio”? Come puoi dire al fratello: ‘Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio’, mentre nel tuo occhio hai una trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio, allora ci vedrai bene e potrai togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello”. (Mt. 7, 1-6)

Questo è il vero atteggiamento di umiltà e di amore con cui possiamo e dobbiamo ‘ammonire il fratello’. Ascoltiamo ancora Gesù: Disse ai suoi discepoli: Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà avrai guadagnato tuo fratello, ma se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea. E se non ascolterà neanche l’assemblea sia per te come un pagano o un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli. (Mt. 18, 15-20)

Fossimo capaci tutti di mostrare discretamente l’amore al fratello ammonendolo - sempre con umiltà e affetto sincero - certamente tanti, ma tanti, si salverebbero.

Quanto deve farci temere il silenzio sui mali attorno a noi, magari con la scusa ‘fanno tutti così’ oppure che male c’è?’!
Non è questo che Gesù ci insegna.

A volte basta uno sguardo dolce per far capire ad un fratello che sta sbagliando. Uno sguardo che tante volte ottiene più che una scarica di anatemi nelle prediche.

Mi scrive un’insegnante, che ora è in pensione: ‘L’attuale emergenza educativa mi preoccupa molto, ma ho la certezza e l’orgoglio di non avervi contribuito. Mai messi i remi in barca, anche nei momenti per me tragici. Ma oggi gli strumenti formativi, che in passato hanno funzionato, si rivelano inadeguati, anche per i docenti eccellenti, a contrastare la crisi di autorevolezza e la decadenza del ruolo carismatico che attraversa la scuola in tutti i suoi ordini. La riforma più urgente è una riforma morale; è il ripristino del senso delle regole, della legalità e della giustizia. Quando penso alla scuola la metafora che per prima mi viene in mente è quella di un tribunale dove i giudici assolvono indiscriminatamente tutti, colpevoli e innocenti. Se questo avvenisse nella società sarebbe il caos. Bisogna ripensare una scuola difficile, dove ad essere promossi siano l’impegno e la cultura e non viceversa, come accade da un po’. Molte coscienze giovanili più fragili si sono corrotte così’.

Una riflessione che va bene, ora che siamo alla vigilia di un nuovo anno scolastico, c’è davvero di mezzo il futuro, non solo degli studenti, ma della società.

Ascoltiamo il profeta Ezechiele: “Così dice il Signore: Figlio dell’uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti. Ascolterai una parola della mia bocca e tu li avvertirai da parte mia.

Se io dico all’empio: Empio tu morirai e tu non parli, per non distogliere l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te.

Ma se tu avrai ammonito l’empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per le sue iniquità, tu invece sarai salvo”. (Ez. 33, 7-9)

C’è solo da pregare che tra di noi, che ci vogliamo bene, torni con amore quanto dice il profeta: ‘essere sentinelle’ del prossimo; tutti, a vicenda. Come sarebbe bello sapere che c’è chi si interessa del nostro bene, pronto ad aiutarci, a correggere la rotta, quando usciamo di strada!

Ci fu un tempo in cui, da vescovo, alzai la voce contro la criminalità organizzata, ma tenendo sempre presente il motto di Giovanni XXIII: ‘condannare l’errore, ma amare l’errante’.

Uno che si definiva ‘capo’ - e lo era - chiese di incontrarmi. Dopo aver riflettuto e pregato, accettai la sua richiesta. Venne una sera e si trattenne con me per tre ore: un lungo tempo, in cui cercai di fargli capire l’enormità del male che commetteva e la necessità di cambiare rotta, per il bene suo e di tutta la comunità. Ascoltava ammirato che qualcuno avesse il coraggio di rinfacciargli il grande male che faceva. Era talmente stupito che ogni tanto mi interrompeva con una frase. ‘Lei mi sta nel mezzo del cuore’.

Se ne andò confuso e lentamente l’ammonizione si fece strada, al punto che un giorno mi fece sapere che aveva deciso di sciogliere il suo gruppo, che contava circa 400 uomini, come lui dediti al crimine.

La cosa si seppe e la criminalità non accettò questo atto di estinzione di una ‘famiglia potente’.

Fu immediatamente ucciso. Morì, ma non da criminale, ma, come più volte aveva affermato quella notte, ‘da cristiano’.

È stupendo, credetemi, essere cristiano, vescovo, e fare della propria vita un ‘essere sentinella’ di quanti il Signore affida. Si possono incontrare contrarietà, ma è bello sentirsi ‘sentinelle dei fratelli’, perché non si perdono. Nessuno.

 

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