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TESTO Se qualcuno vuol seguirmi...

mons. Antonio Riboldi

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (31/08/2008)

Vangelo: Mt 16,21-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

A volte i nostri progetti non conoscono la pienezza della gioia, perché forse in essi abbiamo realizzato quello che è puramente un bene transitorio: erano il “sogno della vita”, in cui si era riposta ogni aspettativa, ma poi si infrangono in un ‘vuoto’ che sbriciola ogni possibilità di gioia e allora è davvero grande la nostra sofferenza, che, a volte, finisce nella sensazione di un fallimento della vita stessa.

Se ricordiamo, il Vangelo della scorsa settimana, ci raccontava dell’improvvisa e imprevista domanda di Gesù a quanti lo seguivano, dodici uomini, tanto semplici nella vita e desiderosi di ‘sogni’: “Voi chi dite che io sia?”.

La risposta di Pietro era stata immediata: “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente”.

E Gesù: “Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne, né il sangue, te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io dico a te: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Possiamo immaginare la grande gioia di Pietro. Ma Pietro non era ancora ‘entrato’ nel grande mistero della presenza di Gesù tra di noi: la Sua missione, dataGli dal Padre, per la nostra salvezza. Una missione che Gesù stesso svela ai Suoi, ‘scandalizzando’ il generoso Pietro.

“Gesù - continua infatti il racconto di Matteo - cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto, da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi e venire ucciso e resuscitare il terzo giorno”.

Un discorso chiarificatore, che mostrò, in tutta la sua durezza, il perché Gesù era venuto tra noi, per tutti. Pietro non accetta questa durezza. Gesù non poteva, secondo lui, finire così, e forse lo pensiamo anche noi, quando vediamo, oggi, Gesù calpestato, crocifisso.

Pietro, allora, non aveva capito, e non capiamo noi, la logica dell’amore che, per salvare, si fa dono totale, fino alla morte per la nostra resurrezione.

Dio non si diverte a farci soffrire, ma permette la sofferenza - bagaglio del nostro essere creature limitate e finite - per la vita eterna.

“Pietro allora trasse in disparte Gesù - racconta Matteo - e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”. Ma Egli, voltandosi, disse a Pietro: ‘Lungi da me, satana!

Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini‘.

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà. Quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnasse il mondo intero e poi perdesse la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima? Poiché il Figlio dell‘uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli e renderà a ciascuno secondo le sue
azioni”. (Mì. 16,21-27)

Incredibile come Gesù affronti Pietro che, per il grande amore che aveva per il Maestro, cercava di sbarrare la strada al disegno del Padre, nel Figlio; un disegno che Lo portava a dare tutta la vita, per renderci veramente liberi, figli di Dio, eredi del Suo Regno.
Un duro prezzo quello che Gesù doveva pagare.

Pietro, in fondo, tentava di ‘fermare’ la via del dolore, seguendo il nostro istinto, che vorrebbe cancellare la sofferenza, - e tanti hanno pensato o pensano così, ricorrendo anche al suicidio o ad altro - ma così facendo Pietro, come noi, ostacola la via dell’amore.

Pietro non si era neppure posto la ragione di una ‘necessità del dolore’, nei disegni di Dio, e neppure si era chiesto quale potesse essere la strada per raggiungere la pienezza della felicità, che è l’aspirazione di tutti: felicità che è dono del Padre e va conquistata.
Ma lo sbaglio di Pietro, se ci pensiamo, è il nostro.

E pare di sentire rivolta a noi la risposta di Gesù: una risposta destinata a togliere ogni illusione, sempre: la sofferenza è necessaria, se vogliamo ‘pensare come Dio e non come gli uomini‘.

Eppure fa impressione come il mondo tenti tutte le vie per sopprimere quella sofferenza, che è l’ombra della croce, proiettata su di noi e che ci precede sempre.
Giusto alleviare le sofferenze di chi è malato, è carità.

Ma difficile curare le sofferenze del cuore, che sono quelle che fanno più male, colpiscono, a volte, il centro della ragione di vivere e portano alla disperazione.

E non è facile, credetelo, anche per noi Pastori, farsi Cirenei di tante situazioni, in cui davvero il peso della croce a volte provoca tante cadute, come fu per Gesù, nella salita al Calvario. Ci vuole tanto, ma tanto amore, fino a farsi carico della sofferenza dell’altro, come Maria sotto la croce del Figlio. Ma è difficile, oggi, incontrare chi, non solo capisca il dolore, ma accetti di condividerlo.

Eppure è nella condivisione che si scopre ed esperimenta l’amicizia vera.

Così il profeta Geremia, in uno ‘sfogo con Dio’, parla della sofferenza procuratagli dai suoi contemporanei:

“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso.

Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si fa beffe di me.

Quando parlo, devo gridare, devo proclamare: Violenza! Oppressione.

Così la parola del Signore è diventata per me, motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno.

Mi dicevo: ‘Non penserò più a Lui, non parlerò più in Suo nome!‘.

Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. (Ger. 20, 7-9)

E S. Paolo, scrivendo ai Romani, gli fa eco, come a confermarci tutti nell’inevitabilità della sofferenza, vissuta come amore: “Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto”. (Rom. 12, 1-2)

Facendoci condurre per mano dalla parola di Dio, mi viene oggi da pensare a tanti dei miei amici, che hanno la bontà di riflettere con me e farsi illuminare da Dio stesso, e stanno vivendo piccole o grandi sofferenze, forse non trovando conforto e ragione.

Momenti difficili, che chiedono parole che diano ‘sapore’ alle loro sofferenze.

Anch’io, esperto di tante sofferenze, conosco il dolore, e ho avuto il sostegno di tanti amici e fratelli, che mi sono stati vicini, ma il conforto ‘totale’ l’ho sempre trovato solo nel Signore.

A mia volta desidero farmi vicino con tanta amicizia, offrendo una preghiera-riflessione, che scrivevo in una guida ai misteri dolorosi del Rosario, anni fa.

‘Maria, Madre nostra, deve essere stato davvero difficile per te, come Mamma, accompagnare Gesù nella sua passione e morte. Noi uomini vorremmo essere sempre felici, dalla nascita alla morte, e dopo. Non vorremmo incontrare, né vedere il dolore, mai. Ed invece, dentro e fuori di noi, esso ci accompagna, come fosse la nostra ombra, come una parte di noi stessi.

Tu, Madre dolorosa, non sei sfuggita al dolore. Lo hai accolto a braccia aperte, come da giovinetta hai accolto l’Amore, nell’ Annunciazione dell’Angelo. Sapevi che dicendo ‘sì’ al tuo Signore e Creatore, la tua vita sarebbe diventata dura, molto dura; diventando Madre di Gesù, la tua vita, per immenso amore, sarebbe stata un condividere quello che il Figlio avrebbe vissuto, fino alla morte.

Il dolore, per te, altro non era che il modo di amare. All’appuntamento con la passione di tuo Figlio, tu eri lì. Gesù chiamava spesso quell’appuntamento la ‘sua ora’; noi, oggi, diremmo la grande Ora della storia dell’umanità. Ed è diventata anche ‘la tua ora’.

Vorrei che fosse anche la ‘mia ora’, quando sono chiamato a soffrire. Ma noi uomini, tanto deboli, quando avvertiamo la ‘nostra ora’, ci facciamo prendere dalla paura, se non dalla disperazione.

Gesù aveva fatto precedere la ‘sua ora’ da meravigliosi atti di amore nel Cenacolo. E Lui ha voluto insegnarci che il dolore, per essere sacro, deve sempre essere vissuto come amore. ‘Non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici’ disse Gesù.

E così, amore e dolore sono come due poli che, uniti, danno luce e mostrano il Cuore di Dio e il Tuo, o Madre. Ciò non toglie, o Maria, che nel dolore io senta tutta la sua durezza.

Anche Gesù, Tuo Figlio, nostro Signore, Dio da Dio, l’avvertì e la visse nel1a preghiera, accettandola come ‘volontà del Padre’ e sotto la croce, dove hai voluto ‘stare’, per vivere fino in fondo il dolore del Figlio, in qualche modo, per te, era come morire con Lui.

Aiutami nei momenti di dolore a farmi vicino a Te, sotto la croce, e rendimi capace di quell’amore che rende il dolore gloria.

 

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