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TESTO Rimproverare e correggere, cioè amare

padre Gian Franco Scarpitta  

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (07/09/2008)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Forse non in forma proprio esplicita, nelle precedenti riflessioni sulla Chiesa che si costruisce sotto la guida ministeriale del successore di Pietro, facevamo riferimento alla caratteristica irrinunciabile dell'unità e dell'inseparabilità intrinseca che deve caratterizzare la comunità ecclesiale poiché un gruppo, sebbene sottomesso ad una sola autorità, non potrebbe mai sussistere se non ricerca in se stesso la concordia e l'unione di intenti, l'armonia e la solidarietà e la mutua accettazione nonostante le immancabili differenze. Un gruppo deve essere insomma un vivaio di comunione e la chiesa non trova altra definizione più appropriata per potersi qualificare e affermare nella sua impostazione di annuncio missionario che nell'essere comunità di uomini che si incontrano e condividono una sola fede, un solo Signore, un solo Battesimo poiché uno solo è Dio padre di tutti che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef 4, 5 – 6) e la comunione non può non qualificare la Chiesa come elemento missionario ma prima ancora come realtà scompaginata in se stessa. A realizzare la comunione è lo spirito di accettazione reciproca fra i membri, il rispetto delle diversità, la disponibilità ad accogliersi gli uni gli altri amandosi sinceramente come Cristo ha voluto nel suo "nuovo comandamento" (Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi, da questo capiranno che siete miei discepoli") e che riflette la vicenda dell'amore intrinseco che vive Dio in quanto comunità di persone: il Padre che ama il Figlio nello Spirito Santo.

La comunità cristiana è tuttavia una comunità di esseri umani fragili e possibili di lacune e ognuno ha le sue pecchie e le limitazioni che lo distinguono e in un certo qual modo lo separano dagli altri. Occorre accettare che altri non siano come noi e non pretendere che si plasmino secondo le nostre intenzioni o a misura delle nostre preferenze e soprattutto accettare i difetti degli altri proprio come noi vorremmo siano accettati i nostri limiti e pertanto considerare anche che potrà esservi sempre chi devia dal retto comportamento o commette un errore a svantaggio della comunità intera, di se stesso o della propria famiglia... Ma quale atteggiamento va esternato nei confronti di coloro che sbagliano e che con le loro devianze apportano sempre, ora più ora meno, anche nell'intimo e nel privato, un certo squilibrio nella vita comune? Perché qualsiasi errore commesso e specialmente qualsiasi peccato, per quanto noi non ce ne rendiamo conto, comporta sempre un certo disagio anche in seno alla vita sociale e alla famiglia.

Personalmente ritengo che se c'è una prerogativa dell'amore vicendevole che viene spesso trascurata o della quale volutamente non ci sia accorge o ci si vergogna è quella del RIMPROVERO. Comunemente esso viene inteso come un intervento drastico per il quale una persona viene redarguita attraverso grida e improperi, ma in realtà consiste semplicemente nella disapprovazione dell'altrui atteggiamento errato e nel richiamo al retto comportamento. Il rimprovero può essere infatti rivolto anche con toni affettuosi e pacati, attraverso un colloquio sereno e fraterno, ma comunque con l'unica finalità dell'emendazione di colui che sappiamo sta sbagliando.

Richiamare il fratello che sbaglia non è affatto un atto di protervia nei suoi confronti, a meno che non lo si faccia con spirito di autoritarismo tale da umiliarlo e sottometterlo, e anzi in certi casi omettere al rimprovero costituisce una grave lacuna all'amore fraterno della quale siamo responsabili davanti a Dio. Chi commette un errore o manifesta un perenne difetto nella propria persona o nei suoi atti, piuttosto che deriso alle spalle, schernito e reso oggetto di cattiverie e di pettegolezzi, va caritatevolmente richiamato alla rettitudine e aiutato a superare l'errore e la difficoltà che lo sta interessando e se avremo omesso di correggere chi sbaglia, avremo mancato ad una delle più importanti caratteristiche del comandamento supremo e insostituibile dell'amore

Se un fratello è nel torto ma in nome di una falsa amicizia o per paura di essere da lui contraddetti o di perdere la sua stima lo si lascia persistere in questa sua lacuna, non si esercita certo carità nei suoi confronti poiché lo si lascia nell'illusione di essere nel giusto o di agire correttamente; è invece atto di amore e di serietà intervenire in suo favore attraverso la correzione fraterna, anche a costo di rischiare che egli non ci ascolti o ci si metta contro giacché è prevedibile che il nostro interlocutore rifiuti la nostra correzione perché ostinato nelle sue intenzioni.

Ma appunto perché si tratta di un importante caratteristica dell'amore la Scrittura non omette di esortaci al richiamo del fratello che sbaglia fornendoci anche tutti i mezzi per esercitare in concreto questo atto di carità; cosicché il libro del Deuteronomio, a cui Gesù si rifà nella pagina del vangelo odierna, esorta a rimproverare il peccatore affinché si ravveda e cambi vita anche ricorrendo alla testimonianza di due o tre persone, perché la correzione avvenga con estremo impegno e interessi tutta la comunità: "... qualunque peccato questi abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o tre testimoni"(Dt 19, 15) e il Levitico esorta espressamente: "Rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui" (Lv 19, 17) e anche il capitolo 33 di Ezechiele richiama tutti a che il fratello peccatore venga da noi ammonito, perché del suo errore Dio chiederà conto anche a noi. Se ci avrà ascoltato nell'esortazione, allora lo avremo riconquistato, se non avrà voluto darci ascolto nonostante tutti i nostri sforzi, saremo certi di aver ottemperato al nostro dovere di fratelli non importa quali siano stati i risultati. L'importante sarà aver fatto il possibile sia singolarmente sia in ambito comunitario per riconciliare il peccatore con Dio e con l'intera comunità.

La Chiesa intera è una comunità penitenziale che si converte a Dio ammettendo e superando le proprie colpe, e nella quale ci si aiuta vicendevolmente a raggiungere le perfezione e ad evitare il peccato e ogni sorta di errore e di imperfezione, quindi non può non essere premura della comunità ecclesiale per intero rimproverare chi ha sbagliato.

In modo particolare però Gesù affida agli apostoli e ai loro successori l'incarico di disciplinare e richiamare all'ordine i rei e i peccatori e a loro concede anche la facoltà speciale di legare e di sciogliere, il che in definitiva vuol dire ammettere ed estromettere nel vincolo delle comunione ecclesiale. Premura dei pastori è quella di fare in modo che nella comunità chi devia dalla verità e dalla buona condotta possa emendarsi e cambiare vita, e si sfruttano tutte le risorse affinché il reo ritorni nel vivo della comunione con gli altri fratelli, questo non omettendo alle cosiddette pene medicinali, atte cioè ad ottenere il recupero di chi sbaglia. Ma quando, specialmente nella forma grave, il reo rifiuta la sollecitudine della comunità ecclesiale e persiste nel voler procedere secondo i propri itinerari e le erronee convinzioni e atteggiamenti impropri, da parte dei ministri non si potrà fare altro che allontanare il soggetto (Consideralo un pubblicano) con il penoso ricorso alla scomunica o a pene affini, prima che questi possa inficiare il resto della comunità ecclesiale con la propria condotta perversa. Gli Atti degli apostoli descrivono non di rado simili drastici ricorsi.

Ma quello che più deve attirare la nostra attenzione è il fatto che la Chiesa intera (Tutti i battezzati) dovrebbe davvero avere a cuore la redenzione dei peccatori e il recupero di quanti sbagliano a partire dalle singole associazioni, dalle parrocchie e da qualsiasi realtà locale, senza che si mostri lontananza e indifferenza, ma coltivando la medesima sollecitudine degli apostoli comunicata dalla Parola e dall'esempio dello stesso Signore.

 

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