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TESTO Un fuoco irresistibile

don Marco Pratesi  

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (31/08/2008)

Brano biblico: Ger 20,7-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 16,21-27

In quel tempo, 21Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

La drammatica pagina di Geremia è sicuramente sconcertante, e fa piazza pulita di ogni visione artificiale della vocazione, quasi che il fatto di essere chiamati da Dio comporti la risoluzione pressoché automatica di ogni tensione e problema, e l'avergli detto «sì» una volta sgombri il cammino da ogni ostacolo.

Geremia ha l'impressione che il Signore abbia esercitato - ed eserciti - su di lui una pressione intollerabile e trascinante. Si parla di seduzione, di violenza/violazione, di fuoco che, simile a un'eruzione vulcanica, risulta incontenibile. Si tratta della volontà di Dio su di lui: che egli sia profeta, che annunzi la parola del Signore. Geremia non dubita: mi sarò sbagliato nel sentire la chiamata? Ho forse dato retta a un falso spirito, a un idolo? La parola che annunzio sarà falsa? No, la sua esperienza di Dio è troppo forte, egli sa distinguere troppo bene la parola di Dio dalle altre parole. La sua non è una crisi di fede, quanto piuttosto di speranza. Perché la sua vita gli appare soltanto come fallimento e sconfitta, che in concreto significano per lui derisione, disprezzo e rifiuto. L'orizzonte è interamente buio, come è sottolineato dalle espressioni totalizzanti: «oggetto di derisione ogni giorno»;

«ognuno si beffa di me»; «causa di vergogna tutto il giorno» (vv. 7-8). Egli è nato «per vedere tormento e dolore, e per finire i giorni nella vergogna» (v. 18, non letto). La sua esperienza è quella di chi, messo in movimento da una parola di Dio che è (sempre) una promessa, si ritrova con il niente davanti. È quella di Israele che, di fronte a minacce molto concrete, protesta contro Dio: «ci hai fatti uscire dall'Egitto per farci morire?» (cf. Es 14,11; Nm 21,5; Dt 1,27). È quella del salmista che, davanti alla rovina della dinastia davidica, incalza Dio: «Dove sono finite le tue misericordie?» (cf. Sal 89,50). È quella degli apostoli che, durante la passione, vedono il loro maestro fallire miseramente, e le loro speranze crollare.

In una tale situazione non è più possibile barare, tergiversare o far finta di niente, bisogna scegliere: esigere di salvarsi o accettare di perdere la vita? La prima opzione significa ovviamente un'autosalvezza: si tratta di mettersi in salvo da soli, coi mezzi che si hanno. Anche Geremia accenna a un tentativo del genere: si è proposto di dimenticarsi del Signore e della sua parola, di non profetizzare più, di «ritirarsi a vita privata». Di fatto non può farlo, c'è in lui una resistenza a mettersi in salvo. Di fatto egli, come Abramo, «spera contro speranza» (Rm 4,18). Qui, in questa «terra di nessuno», in questa desolazione senza nome, si apre lo spazio per l'azione di Dio, che nell'esperienza definitivamente chiarificatrice di Gesù di Nazaret, assumerà i contorni della risurrezione. Da quel momento ogni uomo che ascolti la Parola lo saprà: pretendere di mettersi in salvo da soli è la strada della morte. Trova vita soltanto colui che sa spendere la propria vita affidandola alle mani paterne di Dio. Salvarsi da sé o lasciarsi salvare, tertium non datur. Ma ogni autosalvezza è autoillusione. Per questo la croce rimane spes unica: unica speranza.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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