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TESTO Tutto dipende dal nostro fascino per Gesù

padre Gian Franco Scarpitta  

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XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (31/08/2008)

Vangelo: Mt 16,21-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Una delle lacune che parecchie volte si sperimenta nella nostra vita cristiana è la mancanza di coraggio nella testimonianza della nostra fede, la tendenza a restare nell'isolamento e a non esporci quando si tratti di combattere per i valori e di affrontare rischi di denigrazione e di riprovazione degli avversari. Molte volte avviene che anche gli operatori pastorali, i catechisti e non di rado anche i sacerdoti si sentano a proprio agio quando si trovano a parlare in chiesa o nelle sale parrocchiali ai fedeli già disposti ad ascoltarli, ma che provino timore e apprensione tutte le volte che debbano comunicare la Parola di Dio nelle circostanze nelle quali sanno che potrebbero essere avversati o peggio ancora derisi e quando c'è da intervenire concretamente per rivendicare la priorità del vangelo in una discussione o in una situazione concreta che si verifichi per esempio al bar o in autobus si ha la tendenza comune a nasconderci o ad eludere il discorso.

E del resto è anche vero che i cristiani al giorno d'oggi non sono affatto elogiati dal comune sentire della nostra società sempre più perversa e ostinata, e non è raro il caso in cui più che ad evangelizzare ci si trovi a doverci difendere dagli attacchi laicisti e anticristiani, dalle avversità alla morale e agli insegnamenti del papa e dei vescovi che vengono osteggiati da ogni parte.

. E' mia esperienza personale che il fenomeno aberrante dei preti pedofili (che va certo arginato con decisione) si stia trasformando in un comune pretesto per biasimare il clero cattolico.

Non siamo poi così lontani dal cristianesimo primitivo, che imponeva agli apostoli e a tutti i seri seguaci del Signore di accettare umiliazioni, controversie, derisioni e perfino la tortura fisica e la morte a motivo delle proprie convinzioni.

Tutto questo da una parte dovrebbe risvegliare in noi la consapevolezza che è urgente che ciascuno sia una prova vivente di quello che crede e che professa poiché non c'è reazione migliore agli improperi dei nostri avversari se non quella di una reale testimonianza di quanto noi ci crede e una vera messa in pratica del Vangelo, perché come dice Pietro la nostra condotta irreprensibile possa giovare a quelli che ci ascoltano e che ci osservano, e il buon esempio nonché l'entusiasmo e la gioia del nostro cristianesimo non mancheranno di interessare anche altri; da'altro canto non possiamo però tener conto che la persecuzione, le pene e le lotte a cui siamo costretti, accanto alle cattiverie che ci provengono dai nostri avversari sono all'ordine del giorno nella nostra vita cristiana e che la vera testimonianza di fede dovrebbe istigarci ad avere addirittura lo stesso atteggiamento di Sant'Ignazio di Antiochia che avrebbe voluto spronare lui stesso le belve affinché lo sbranassero per farlo morire martire: la fondatezza delle nostre convinzioni religiose, la nostra familiarità con Dio e la nostra professione di Cristo come Signore e Salvatore unico nostro riferimento dovrebbe inculcarci fiducia e coraggio nell'affrontare anche l'inverosimile pur di testimoniare con gioia e con entusiasmo la validità della scelta cristiana.

Molte volte il nostro atteggiamento è paragonabile a quello di Pietro, che aveva conosciuto e apprezzato Gesù Cristo ma non nella profondità che sarebbe stata necessaria, poiché nutriva nei suoi confronti un rispetto del tutto filantropico, tipico di chi mostra sollecitudine e riverenza in nome di una sincera amicizia consolidata; ma questo non era sufficiente poiché di Gesù andava apprezzato e stimato il suo essere Messia e Salvatore che doveva per forza recarsi a Gerusalemme dove sarebbe stato ucciso. Non si rimprovera a Pietro la sollecitudine con cui da amico vuole risparmiare a Gesù una morte crudele e infame, ma la sua lacuna nel non aver assimilato in Lui il Messia e di non aver pertanto riposto in ogni sua azione, proposito, discorso e insegnamento tutta la sua fiducia senza porre obiezioni. Non avrebbe certo preso in disparte il Signore per redarguirlo, se avesse compreso che in Lui vi era un disegno di salvezza del Padre che andava ben oltre la filantropia e il sentimento umano di amicizia, e avrebbe anzi incoraggiato il Signore a recarsi nella capitale del Regno di Giuda. Di più, avrebbe avuto lui stesso il coraggio apostolico di cui si parlava prima almeno quanto basta per non rinnegare Gesù tre volte per motivi di umana vigliaccheria.

Quando non si è assimilato realmente il dono della salvezza e non lo si è assunto in prima persona lasciandoci plasmare da esso e impostando su di esso tutta la nostra vita, avremo certamente fede nel Signore ma non usciremo mai dalla mediocrità da cui siamo avvinti e che impedisce il coraggio della verità e lo zelo di annunciarla a chi non l'ha ricevuta senza riserve e con tutte le iniziative.

Il nostro atteggiamento dovrebbe insomma portarci ad emulare Geremia, profeta certamente molto timido e sensibile (al contrario di Pietro) anch'egli tendenzialmente votato al silenzio e al nascondimento, ma che non può fare a meno di affrontare ogni sorta di male perché sedotto dal Signore, da Questi affascinato e in forza di questi spronato a parlare nel suo nome anche quando non vorrebbe. La carica spirituale di questo profeta fa sempre si che egli superi la paura in ogni circostanza, comunichi la Parola anche ai nemici e affronti anche la pena della cisterna dove piangerà, ma resterà forte della convinzione di aver operato per il Signore.

Affascinati da Cristo non possiamo esimerci di affascinare gli altri e anche nelle nostre attività parrocchiali non si dovrebbe aver paura di proporre solo ed esclusivamente Cristo quale nostro oggetto di fede lasciando che sia il Signore a darci la ricompensa di nuovi interlocutori.

Da quello che possiamo riscontrare, infatti, non è affatto evangelizzazione quella che si svolge nelle nostre parrocchie, dal momento che (generalmente) non si è soliti proporre la Parola di Dio ai "lontani" e ai non praticanti, che al massimo vengono raggiunti dalla sola simpatia del parroco socievole e compagnone che si guarda bene dal contrariarli con i suoi "predicozzi"; ma la si propina sempre a coloro che bazzicano nei nostri ambienti e che si mostrano più sensibili ai discorsi spirituali. Evangelizzare in senso reale comporterebbe invece parlare sempre e con entusiasmo di Gesù in ogni circostanza, in ogni luogo e a qualsiasi tipo di pubblico, comunicare di nostra iniziativa il messaggio del Regno di Dio e esortare sempre e per ogni dove alla riscoperta dei valori cristiani e della vita in Cristo.

Perché nel protestantesimo italiano e nelle Sette vi è molto più successo pastorale che non nelle nostre attività apostoliche? Perché le chiese di altri culti sono sempre più piene, nonostante si pratichino funzioni ben più polpose e consistenti della nostra Messa?

Per il semplice motivo che l'apostolato degli altri culti pur non comunicando i veri contenuti della fede non omette gioia, entusiasmo e zelo apostolico nel parlare ad altri solo della Bibbia e della centralità del Cristo Signore senza prendere altri argomenti e senza il bisogno di ricorrere ad iniziative di sorta per evangelizzare l'amore palesato a Dio, la gioia della preghiera, della lode e dello studio biblico affascinano tutti seducendo e infondendo allo stesso tempo coraggio e perseveranza nell'avversità del ministero con la risultante dell'aumento degli adepti che molte volte vengono illusi di argomenti che di provenienza divina invece non sono.

Noi cattolici cristiani ci troviamo insomma ad assimilarci al bottegaio silenzioso incapace di vendere dell' ottima merce perché non sa descriverla ai passanti in quanto ignaro egli stesso di quello che sta vendendo e che possiede in magazzino, accanto al venditore sollecito nella propaganda che grida col megafono e trova tutti i sistemi per rifilare ai clienti la merce avariata e scadente e ciò si deve al mancato livore di fede e che dovrebbe caratterizzarci e che dovrebbe spronarci allo zelo apostolico e al coraggio della verità.

Ed è assai urgente che la verità e la testimonianza siano il nostro reale obiettivo.

 

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