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TESTO Commento su Matteo 16,13-20

Omelie.org - autori vari  

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (24/08/2008)

Vangelo: Mt 16,13-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Fin da bambini capiamo che, nel corso della nostra vita, siamo costantemente in relazione con gli altri. Vi ricordate, da piccoli come erano importanti le "classifiche" degli affetti? La mia mamma, il mio papà, i fratelli, le sorelle, i nonni e poi gli amici: il mio migliore amico/a, l'altro amico e quello che non posso proprio vedere... crescendo impariamo a non fare graduatorie, oppure magari dentro di noi classifichiamo gli altri nella nostra scala affettiva ma sappiamo non farlo vedere (o per lo meno ci proviamo...).

La relazione con l'altro passa anche attraverso il nostro identificarlo rispetto al nostro "io", non uno fra i tanti che incontriamo e che non conosciamo, oppure conosciamo di vista o anche con cui parliamo anche (perché magari è un compagno di classe, o un collega o un'appartenente alla nostra comunità parrocchiale), ma uno che ha una sua identità specifica, che è per noi un "tu", un qualcuno con cui la nostra esistenza "si mischia" ed evolve, un qualcuno con cui si ha un rapporto forte, un qualcuno che esiste nel nostro orizzonte e la cui esistenza fa comunque parte della nostra vita.

A pensarci bene, io ho la mia famiglia, gli amici cari e amici semplici, alcuni preti, molti colleghi, molti alunni e diversi, ex-alunni che rientrano in questa tipologia: coloro senza i quali la mia vita non avrebbe senso, coloro che sono come la musica di fondo della mia vita: io lo so che loro sono importanti e so che ruolo hanno nella mia vita... E cosi immagino anche per voi: pensate mentalmente mentre leggete o ascoltate queste mia parole: chi sono i vostri "altri"? Chi identificate accanto a voi? Qual è la musica della vostra esistenza, da chi è composta?

Su questo impianto voglio sviluppare la riflessione relativa al Vangelo che proclamiamo in questa Ventunesima Domenica del Tempo Ordinario che corrisponde a Matteo 16, 13-20 ed è una Parola che come vedremo ci chiama e ci impegna in prima persona.

Il brano del Vangelo

Riconsideriamo il brano del Vangelo letto: inizia proprio col riconoscimento dell'identità di cui parlavamo poco prima.

Gesù è arrivato nella regione di Cesarèa coi suoi discepoli, è in cammino coi suoi e mentre procedono insieme sviluppa un discorso su come viene percepita la sua identità.

Domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?».

Curiosa domanda che ha già in germe una risposta, che per noi che leggiamo oggi non è evidente, ma per l'uditore del tempo era evidente: il richiamo della nota profezia di Daniele 7,13: "Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d'uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui".

Un brano che potrebbe essere letto da Gesù per suggerire in qualche modo che egli è il Messia atteso da Israele.

Gesù chiede loro come viene identificato dalla "gente", cioè da quelli che non sono lì a camminare, da quelli che assistono dall'esterno, dalla massa indefinita e generica che guarda senza mischiarsi, che osserva, che commenta.

Rispondono i discepoli riportando le varie teorie, che probabilmente hanno sentito: la gente giudica che Gesù possa essere Giovanni il Battista oppure Elia o anche per altri Geremia o anche un profeta.

Le risposte sono rassicuranti, semplici, in continuità con le attese di Israele: Gesù è un profeta, si tratta solo di stabilire quale profeta.

Mi piace pensare che Gesù prima di proseguire abbia ascoltato le risposte e dopo un po' di silenzio, quasi a significare uno stacco rispetto a quanto sentito, abbia detto: «Ma voi, chi dite che io sia?». Questa domanda riecheggia attraverso i secoli, e attraversa la storia collettiva ed individuale dell'umanità.

Anche qui mi piace immaginare un silenzio dei discepoli prima della risposta, un silenzio che è pensiero nel cammino, che è riflessione, che è momento di pausa davanti al Mistero e al riconoscimento del medesimo .

Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Come fa Simon Pietro a saperlo? Come fa', primo fra tutti gli uomini, a pronunciare queste parole che sono poi divenute spontanee nel cuore e sulle labbra di chi, in ogni tempo ha avuto, ha e avrà fede nel Signore?

Non la carne né il sangue, dice il Signore, portano alla professione di fede, ma Dio medesimo porta a riconoscere in Gesù il Signore. E' la grazia della fede, su cui nulla l'uomo può senza l'aiuto di Dio: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato (Gv 6,44a).

E poi queste celeberrime parole che sono stata nterpretate come l'edificazione della Chiesa da parte di Gesù: "E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla erra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli", parole che in questa versione troviamo solo nel Vangelo di Matteo, pur trovando tuttavia il medesimo concetto anche in altri Vangeli: Gesù affida la sua Chiesa a Pietro e ai suoi successori perché con l'aiuto dello Spirito Santo, possa iniziare a costruire sulla terra del Regno dei Cieli .

Il cristiano è uno che riconosce il Signore

La lettura di questo brano mi porta ad un pensiero che vorrei sviluppare con voi: il cristiano è chiamato ad essere una persona particolare, una persona che sa fare scelte "diverse" rispetto a quelle della maggioranza, una persona che sa vivere in questo mondo con lo sguardo rivolto al Regno.
Ma che cosa vuol dire essere cristiani oggi?

Il Vangelo di oggi ci dice chiaramente che essere cristiani significa innanzitutto riconoscere in Gesù il Signore, e questo non avviene mediante un ragionamento razionale, una buona educazione in tale senso, un "sentito dire" ma viene da una consapevolezza personale, dal riconoscere l'identità di Gesù, dall'aver fatto in prima persona l'esperienza del Signore, sapendone dare testimonianza.

Un sapere dire con umiltà "io so che il Signore mi ha dato tante cose e che lo ha potuto/saputo fare perché Lui è Dio"

Una testimonianza di fede richiede da parte di ognuno di noi l'umiltà di riconoscere che c'è qualche cosa di più grande di quello che percepiamo, che non siamo padroni della nostra vita, che non siamo capaci di affrontare tutto con le nostre forze umana.

La fede è una grazia, è dono di Dio ma l'uomo deve avere la capacità di vedere e riconoscere il Signore, l'umiltà di identificarlo.

Deve essere capace di uscire dalla genericità, non più appartenente alla "gente", non più uno di quelli che stanno ad aspettare, ma uno che con Pietro sa fermarsi e utilizzando la sua esperienza di vita dire a Gesù "tu sei il Signore". E' un diventare un "noi" in cui l'individualità del singolo è pronta a ridimensionarsi davanti alla grandezza di Dio, a fondersi con i fratelli della stessa fede.

La professione di fede reale, vissuta col cuore e non per tradizione o precetto, richiede il coraggio di una diversità e la forza dell'annullamento delle proprie passioni, l'impegno di vincere il peccato, con l'aiuto di Dio.

Dalla fede scaturisce, in maniera conseguente, il frutto di una testimonianza attiva e continua in tutte le dimensioni della propria vita, infatti come può chi ha capito col cuore e con la mente un evento così grande, un evento di salvezza e di redenzione, non raccontarlo a quelli che lo circondano, non farne parte agli altri?

Molte volte si sente obbiettare che la testimonianza è difficile, che non viene capita, che esistono delle forme di pudore per cui di certe cose si ha difficoltà a parlare in un contesto che è sempre più secolarizzato...

In realtà il Signore nel Vangelo di oggi ci dice di fare proprio il contrario con questa dualità: "la gente" - "voi". Si tratta solo di capire e rispondere alle seguenti domande: "da che parte vogliamo stare? Vogliamo stare genericamente con i discepoli, che andrebbe bene lo stesso, oppure vogliamo come Pietro "fare un salto di qualità" assumendoci in prima persona la responsabilità di riconoscere il Signore e, pur con i limiti che derivano dall'essere peccatori (e come sappiamo anche Pietro sarà schiavo della sua debolezza...), renderne testimonianza?

Il cristiano è quindi uno che riconosce il Signore ed ha fede in Lui.

Il cristiano è uno che riconosce la Chiesa

Ma la Parola letta oggi ci dice anche un'altra cosa, che per molti è difficile da digerire: non esiste salvezza al di fuori della Chiesa, perché essa è stata fondata da Cristo, e Pietro (ed i suoi successori) detengono le chiavi del Regno, e solo mediante loro si accede al Regno. Allora potremo fare un passo in più nella nostra riflessione: il cristiano è uno che riconosce la Chiesa. Magari è uno che ne vede i limiti e che, nonostante questo, è pronto a portare il suo apporto costruttivo. E' uno che sa che la Parola, l'Eucarestia, la remissione dei peccati, si attingono lì, nella Chiesa che il Signore ha istituito. Il cristiano è uno che crede nel valore non solo della testimonianza all'esterno, ma sa anche essere presente ed attivo nella Chiesa. Anche se talvolta ha delle difficoltà nella sua comunità parrocchiale o nel suo gruppo di riferimento, è talmente innamorato di Dio da andare avanti, nonostante le difficoltà e le incomprensioni perché, oltre la preghiera personale e l'ascolto individuale della Parola, solo nel rapporto con la Chiesa-comunità, dove si celebra l'Eucarestia, si riconosce il Signore.

Il cristiano è "uno che ha una marcia in più" perché sa, come dice San Paolo nella Lettera ai Colossesi (1,17-18), che Gesù "è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli è il capo del corpo, cioè della Chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato." Il cristiano è cosciente che la sua vita è qui ed ora, in un preciso periodo storico, ma sa anche che questa vita può cessare in ogni momento, ma non è la fine, perché c'è un dopo. Questo c'è stato promesso da Gesù e quindi chi crede sa che non finisce tutto, che c'è un legame fra "cielo e terra" e che questo passa attraverso la Chiesa.

Questo molte volte è difficile da accettare: forte è anche in molti cristiani la tentazione di una religione "fai da te". Una religione in cui il rapporto con Dio diventa rapporto individuale, (individualistico?) scegliendo di non avere contatti con la comunità cristiana.

Facili le obbiezioni su una Chiesa che a volte sembra lontana da una sensibilità comune "moderna" o arroccata su "questioni di principio".

Facili le obbiezioni su una Chiesa che non sempre riesce a trovare la strada giusta per toccare le coscienze.

Troppe le difficoltà a volte per inserirsi nelle parrocchie che a volte soffocano nella loro auto-referenzialità.

Potrei continuare ancora questa lista ma mi sembra più interessante rovesciarla e domandarvi (e domandarmi): che faccio io perché questa Chiesa che è lo strumento che mi (ci)porta a Cristo sia aperta a tutti, perché sia un luogo di testimonianza, di comunità, di amore reciproco? Che faccio io perché il Magistero della Chiesa venga compreso nella sua essenza e nel suo significato reale dalle persone che incontro nel mio procedere? Chi è per me realmente Gesù? E quanto sono capace si testimoniarlo?

Io credo che ognuno di noi può dare risposta a queste domande ed in questa domenica decidere se potere dire con Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" o in maniera velleitaria costruirsi una religione a propria misura.

Credo che, come dicevo all'inizio, siamo chiamati a decidere: che posto ha il Signore nella nostra vita?

E' in definitiva uno che incontriamo e che non riconosciamo, magari non ci interessa...

Oppure che conosciamo "di vista" per esempio essendo tiepidamente praticanti, di quelli che fanno ciò che la religione richiede, ma senza grandi slanci, l'importante è "stare nella norma".

Oppure Gesù uno che ha una sua identità specifica, che è per noi un "Tu", un qualcuno con cui la nostra esistenza "si mischia" ed evolve; un qualcuno con cui si ha un rapporto talmente forte che accettiamo che interroghi e sconvolga la nostra vita, talmente forte che siamo pronti ad una sequela totalizzante, talmente forte che la fiducia in Lui è alla base del nostro procedere in questa esistenza.

Oppure...

Preghiamo il Signore di camminare accanto a noi e di ricordarci sempre che solo tramite Lui c'è la salvezza.

A Colui che era, che è e che viene, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen!

 

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