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TESTO Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente

Marco Pedron  

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (24/08/2008)

Vangelo: Mt 16,13-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Nel vangelo di oggi Gesù si rivolge si suoi discepoli. All'inizio fa un discorso generico, da giornali, da opinionisti, quasi da gossip: "Cosa dice la gente su di me?". A noi può suonare strano che Gesù si interessi di che cosa la gente dica o pensi di lui. Ma non dobbiamo mai dimenticare in quale società Gesù ha vissuto. La società del tempo era fondata sull'onore/disonore. Le persone più che chiedersi: "Cosa io penso di me stesso?", oppure: "Cosa pensa Dio di me?", si chiedevano: "Cosa pensa il villaggio di me? Cosa pensano gli altri di me?". Il valore delle persone era stimato e dipendeva da quello che la gente diceva. L'onore del clan, della famiglia, della tribù era la cosa più importante: veniva anche prima delle persone.

Al fondo di questo sistema c'è la paura di non essere nessuno, di non essere amati, considerati, voluti. La paura di non essere nessuno è terribile: "Nessuno mi considera, nessuno mi apprezza, nessuno mi vuole. Allora si è alla ricerca disperata di amore e di riconoscimento". Più questa paura è forte e più la nostra vita è una vita d'immagine, fittizia, irreale. Non conta più ciò che siamo noi, il nostro progetto, ciò che viviamo o ciò che sentiamo, ciò che Dio ci sussurra al nostro cuore, ma conta non sfigurare, essere accettati, apprezzati, non isolati.

In un libro c'è una frase terribile ma vera. Il demonio parla ad un uomo e gli dice: "Dammi la tua anima e la tua vita e io ti darò la rispettabilità". Il prezzo dell'essere rispettati e onorati è la nostra anima!

Anche a Gesù, come di certo a noi, interessava cosa la gente pensava di Lui, ma non ne era schiavo!

I discepoli riportano alcune risposte: "Giovanni Battista, Elia, Geremia, uno dei profeti". Tutte cose vere.

Sono un po' bugiardi, però, perché di Gesù si dicevano anche tante altre cose. Si diceva che era un poco di buono, uno che stava con le donne, che aveva certi atteggiamenti scandalosi e ambigui perché le toccava, che stava in compagnia di gente scomunicata come i pubblicani, uno che mangiava e che beveva, un eretico.

Tutto questo non glielo dicono, anche se sia loro che Gesù conoscevano benissimo queste voci.

Gesù fu un uomo tanto amato quanto odiato, perché non fu un uomo indifferente. Incontrarlo faceva la differenza, ti toccava, incontrarlo ti piaceva o ti infastidiva, non era mai neutrale.

Quando i discepoli riportano le opinioni che si sentono dire in giro, Gesù ha già guarito centinaia di persone, ha risorto morti, ha moltiplicato pane per migliaia di persone, ha sedato tempeste. Ma tutto questo non è bastato? "Ma che cosa doveva fare perché gli credessero?".
La fede non è questione di cosa si vede, ma se si vede.

La gente dice che se vedesse allora crederebbe. Pensate sia davvero così? Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere.

Ciò che si dice in giro è vero, ma parziale perché non definisce il centro di chi era Gesù. Sono tutte supposizioni, opinioni, ragionamenti, ipotesi, congetture, giudizi o pregiudizi. Sono titoli, anche elevati, ma non colgono chi è veramente Gesù: la Vita.

Giovanni Battista era un grande asceta.

L'ascesi, il perfezionarsi, il combattere i nostri difetti, i nostri vizi, è importante ma se l'ascesi diventa la negazione della vita, se l'ascesi diventa la rinuncia alla vita allora è contro la vita.

Molte persone "perfette" sono cariche di aggressività: giudicano tutti e non hanno né pietà né misericordia.

L'educazione un tempo era a volte così, un'educazione di rinuncia: "Non fare questo, non fare quello; rinuncia a divertirti, a mangiare una pizza o a bere una birra; non comprarti nessun bel vestito, non mostrare mai la tua rabbia, sorridi sempre e pensa a chi non ha tutto questo".

Ma questo rinunciare a tutto diventava un no alla vita. Mentre Dio ci chiama a dire sì a questa vita.

Elia fu il più grande profeta dell'Antico Testamento.

Era così rigoroso che in un giorno solo uccise quattrocentocinquanta sacerdoti di Baal. E' importante essere combattivi e lottare, ma se si fa della vita una lotta allora si diventa degli arrabbiati.

Ci sono delle persone che sono sempre in guerra con tutti; trovano nemici dappertutto, vedono eretici in ogni gruppo, si identificano in qualche moralizzatore e giustiziere, come Charles Bronson o Rambo, perché vogliono eliminare tutto il male dalla faccia della terra.

Allora la vita diventa una guerra, un combattimento. L'aggressività che hanno dentro la agiscono sempre fuori attaccando tutto e tutti: non si accorgono che la vera guerra, che combattono fuori, è dentro di loro.

Geremia nella Bibbia è il simbolo del giusto che soffre.
Anche Gesù ha sofferto, ma non solo.

Per alcune persone la vita è solo dolore, solo sofferenza, solo una "valle di lacrime". In realtà parlano della loro vita non della Vita, né di Dio.

Nella nostra vita incontreremo certamente il dolore e la sofferenza e dovremmo imparare a starci dentro, a viverla e a non fuggirla. Ma la vita non è tutta qui. Gesù è venuto non perché soffriamo ma perché possiamo attraversare il dolore e la paura; Gesù è venuto a portarci la buona novella, un messaggio di felicità e di speranza.

Gesù, poi, approfondisce la domanda: "E voi chi dite che io sia?".

Quando tu hai fame, non ti interessa sapere che gli altri hanno mangiato. Quando sei triste e nel mezzo del dolore, non ti aiuta sapere che gli altri sono felici. Ciò che gli altri vivono è un affare loro. Che il mio amico o il mio confessore sappia chi è Dio non mi serve.

Viene un momento in cui noi dobbiamo porci certe domande e affrontare certi questioni. Nelle questioni fondamentali ciò che è decisivo è la nostra decisione personale. Non ciò che fanno o credono gli altri, non ciò che fa la maggioranza, ma ciò che io vivo.

Chi è Dio per me? E qui le risposte degli altri o dei libri o quello che gli altri fanno, non centra, non mi serve. Quand'è che lo sento vicino? Quand'è che mi parla? Lo percepisco? L'ho mai incontrato? Lo sento? E come puoi dire di conoscere uno con cui non sei in comunicazione? Cos'ha cambiato Cristo nella mia vita? Cos'ha modificato del mio carattere, della mia persona? Perché se non ha cambiato niente vuol dire che non conta niente.

C'è una storia che racconta così. "Così ti sei convertito a Cristo?". "Sì". "Allora devi sapere un sacco di cose su di lui. Dimmi, in che paese è nato?". "Non lo so". "Quanti anni aveva quand'è morto?". "Non lo so". "Quante prediche ha pronunciato?". "Non lo so". "Sai decisamente ben poco per essere un uomo che afferma di essersi convertito a Cristo!". "Hai ragione. Mi vergogno di quanto poco so di lui. Ma quello che so è questo: tre anni fa ero un ubriacone. Ero pieno di debiti. La mia famiglia cadeva a pezzi. Mia moglie e i miei figli avevano paura del mio ritorno a casa ogni sera. Ma ora ho smesso di bere; non abbiamo più debiti; i miei figli attendono con ansia il mio ritorno a casa la sera. Tutto questo Cristo l'ha fatto per me. E questo è quello che so di Cristo".

Solo chi l'ha incontrato, solo chi ne ha fatto esperienza sa chi è. E ne è certo, non c'è alcun dubbio, non ha ragione di dubitare perché l'hai incontrato, visto, toccato. I discepoli dopo averlo visto camminare sulle acque gli dicono: "Tu sei veramente il figlio di Dio" (15,33).

Una donna ha raccontato questo fatto. Le diagnosticano un forma particolarmente aggressiva di tumore. Non le danno molte speranze. Una notte fa un sogno: in questo sogno le appare un uomo simile ad un angelo che le dice: "Non ti preoccupare. Se non hai paura tutto andrà bene". Il giorno dopo e tutti i giorni dopo la donna ha una forza irresistibile. Si opera, supera le chemioterapie e guarisce dalla malattia. Questa donna non era mai più stata in chiesa dalla Cresima e quando parla di quest'episodio dice: "Io non ho dubbi. Io Dio l'ho incontrato. Sono certa che c'è. Mi ha dato la forza di affrontare la mia paura. Non credo perché mi ha guarita, credo perché quando mi sono svegliata io non aveva più paura".

Dopo aver incontrato Dio le persone non saranno mai più me stesse. Perché lasciarlo entrare è come aprire le porte ad un uragano o come innamorarsi di qualcuno: ti cambia la vita.

È proprio per questo, proprio perché Dio è un'esperienza forte, coinvolgente, radicale che molti lo evitano. Preferiscono rinchiuderlo in certi schemi, in certi riti, in certe formule, per poterlo gestire. Preferiscono incontrare i pensieri su Dio o le preghiere a Dio piuttosto che Lui.

Quando scacciava i demoni la gente dice: "Mai vista una cosa simile": è ovvio che viene da Dio. Ma i farisei dicono: "Egli scaccia i demoni perché è il principe dei demoni" (9,32-34).

Le persone che vedevano certi miracoli lo riconoscevano (8,2; 9,27; 15,22). Ma conoscere Dio vuol dire essere coinvolti. Non è la conoscenza intellettuale, di chi sa una cosa, è la conoscenza dell'amore, di chi è attratto, tirato dentro in ciò che vede. Per cui altre persone che temevano il coinvolgimento, di fronte agli stessi eventi rimanevano scettiche (8,26-34).

Dio è un'esperienza, un incontro che tu puoi fare.

Se l'incontri non hai più dubbi: sai che c'è e lo sai per certo. Ti cambia la vita e ti fa vivere. E ti rendi conto che finora hai sopravvissuto, vegetato, dormito, portato sempre dei paraocchi. Chi lo incontra (conversione) dice sempre: "Finora ho chiamato vita quella che invece è morte; questa sì che è vita!". Chi lo incontra viene sconvolto, "ribaltato". Per questo all'inizio l'incontro è spaventoso.

Chi dubita in realtà non incontrato Lui, ma solo dei pensieri religiosi. E d'altronde è chiaro perché credere a qualcosa che non si è mai visto, incontrato, toccato, sperimentato non è possibile oltre che stupido.

Pietro nel vangelo non è il teologo, il filosofo. Pietro è l'istinto, l'intuizione, la passione. Dio lo cogli non con la mente, pensando e ripensando, perché Egli è un'intuizione, un amore, un fulmine. Come in amore: se sei innamorato lo senti, lo avverti, ti fa battere il cuore e tremare le gambe. L'amore non è un sillogismo, un calcolo, un pensiero. E' un e-videnza del cuore e non del pensiero.

E Gesù conferma questo dicendo a Pietro: "Beato te, Pietro, perché né la carne, né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli".

Carne e sangue è un immagine per dire l'umano, il terreno. Cioè: "Non lo hai imparato a scuola, non te l'ha insegnato qualcuno, non l'hai imparato sui libri, ma è la tua anima che l'ha percepito, colto".

Per gli ebrei conoscere è sperimentare. Quando nella Bibbia un uomo "conosce" una donna vuol dire che ha avuto con lei rapporti sessuali. La conoscenza è, cioè, esperienza: un conto è sapere una cosa ma un altro è percepirla. Una cosa è essere andati a tanti incontri spirituali, un'altra è sentire la presenza di Dio. Una cosa è sapere dell'amore, un'altra è amare. Una cosa è chiacchierare del progetto della nostra vita e una cosa molto diversa è viverlo.

Nessuno si è mai ubriacato con la parola "vino" e nessuno si è mai riscaldato con la parola "sole". Dio è una persona di cui inebriarsi, appassionarsi, innamorarsi.

Finché Dio non ti sconvolgerà la pancia, l'esistenza, non ti farà più dormire la notte, non ti creerà grattacapi, non ti farà entrare in conflitto con le persone, chiediti: cos'è quello che chiami Dio? Finché Dio non ti farà cantare di gioia infinita, non ti farà danzare insieme al vento o alla pioggia, non ti farà sentire il mondo come buono e uno, non ti farà sentire tutte le creature tue sorelle... Finché non sentirai la compassione e la misericordia riempire il tuo cuore, come un fiume in piena... Finché non vivrai il pianto dell'essere proprio tu amato da Lui, non chiamare Dio quella cosa.

Prima incontralo, e solo poi parleremo di Lui e ci rifletteremo insieme. Certo ci si può anche sposare senza amare l'altro, ma non si può definire questa cosa matrimonio. Si può anche dire di essere religiosi senza averlo incontrato, ma siamo onesti: non chiamiamolo Dio. Non possiamo sapere che sapore ha il gelato al cioccolato finché non lo assaggiamo. E, infatti, sapienza viene dal latino sapére, assaggiare, gustare. La saggezza della vita non nasce dai libri o dai convegni, nasce dal vivere, dall'esserci dentro, dal sperimentarla. E se non vuoi entrarci non puoi conoscerla. "Ero sordo come una campana. Vedevo la gente che si alzava e faceva ogni sorta di giravolta. La chiamavano danza. A me pareva così assurdo... Poi un giorno sentii la musica. E allora capii: quant'era bella la danza".

La chiesa, allora, dev'essere il luogo dell'esperienza di Dio, dell'incontro con Lui. Altrimenti perde il suo centro, il suo essere, perde la sua vitalità.

Dio è una persona, un innamorato, uno che ti appassiona, uno che ti sconvolge la vita, uno che ti apre gli occhi, uno che ti fa vibrare dentro, uno che in certi giorni ti dà quattro sberle e in altre ti dà una valanga di carezze.

Quando vengo in chiesa o quando faccio un incontro di preghiera ciò che conta non è ciò che dico, ma se lo "tocco", se lo incontro, se Lui mi tocca. Andare in chiesa e non essere toccati è inutile. Se non c'è vita non c'è Dio.

L'uomo d'oggi ha un enorme bisogno di esperienze spirituali vere, di incontri. Si copre di mille cose, lavora sempre, riempie le giornate, riempie le banche e le case d'oggetti perché ha paura d'incontrarsi, di sperimentarsi, di vedere quello che è. Ha paura d'incontrarsi, perché ha paura di Dio e del suo profondo. Ha paura di scoprirsi sbagliato, fallito, inconcludente; ha paura di sentirsi giudicato anche dall'Alto oltre che dal basso (da sé e dagli altri).

E sperimentare vuol dire percepire, sentire, vivere, vibrare, fremere ed esprimere con la voce, con il canto, con l'emozione, con la conoscenza del cuore.

La chiesa allora dev'essere il luogo dove si è toccati da Dio, dove le persone possono piangere, ridere, sentirsi a casa (non giudicati), sentirsi compresi e ascoltati, dove possono dare spazio e voce a quello che hanno dentro, anche perché se non lo fanno lì rischiano di non farlo da nessun'altra parte. La chiesa dev'essere il luogo dove le persone sentono la vita che abita in loro, che altro è non che un riflesso della Vita in cui tutti siamo immersi.

Un tempo il sacerdote era il custode del fuoco, consigliere, interprete dei sogni, curatore d'anime e terapeuta. La chiesa ha questo compito: deve proteggere il fuoco sacro che c'è dentro ogni uomo, deve entrare in contatto e fare entrare in contatto gli uomini con il proprio spirito.

La chiesa dev'essere una casa per l'anima e per tutto ciò che vive nell'anima. Questa è la vera autorità (autorità viene da augeo, accrescere): far crescere, guidare la vita che c'è in ogni uomo. Se la chiesa non farà questo io credo che diventerà inutile e insignificante, semplicemente superflua.

Pietro viene dall'aramaico Kefa tradotto in greco Petros e vuol dire "pietra, roccia". In ebraico pietra è 'eben (a-b-n) mentre libenah (l-b-n-h) indica il mattone. In Genesi 11,3 quando gli uomini costruiscono la Torre di Babele si dice una frase che all'apparenza sembra strana: "Essi presero dei mattoni (libenah) al posto delle pietre ('eben)".

All'inizio si dice (Gn 11,1) che la terra aveva una lingua sola.

Ma quegli uomini, dice il testo, "erano emigrati dall'oriente", cioè si erano allontanati dal loro essere, dal loro profondo (l'oriente ti orienta, senza sei dis-orientato, senza riferimenti, perso) per andare nella piana di Sennaar (na'or vuol dire urlare, muggire). Cioè: mentre prima parlavano una lingua sola perché erano in contatto con il proprio essere, con Dio, con il proprio centro vitale, nel momento in cui si allontanano, quegli uomini "muggiscono" diventano come degli animali. E' per questo che usano mattoni e non pietre.

La parola "pietra" contiene sia la parola Figlio dell'Uomo (b-n), cioè quello che l'uomo deve diventare, una persona realizzata, completa, legata a Dio, sia la parola Padre (a-b). Legato a Dio l'uomo diventa veramente se stesso; allora diventa forte come una pietra, saldo, sicuro, perché il suo fondamento è Dio.

Nella parola "mattone", invece, è ancora presente il Figlio dell'Uomo (b-n) ma non Dio, il Padre. E senza Dio, senza il contatto con il suo profondo, con la sua sorgente, l'uomo è niente, secca e muore. E quando l'uomo non è più unito a Dio non si sente neppure più fratello dei suoi simili. L'unità finisce e come a Babele tutti si rivoltano contro tutti, perché non hanno più niente in comune (il Dio che li abita). Invece di costruire all'interno di sé (oriente) cerca gloria nella potenza (la torre di Babele).

Il mattone è l'uomo senza profondità, che vive nella superficie delle cose, che non accede alla sua natura profonda, al legame con Dio e con tutti gli esseri. Ma vivendo così, vive come le bestie e cerca solo la potenza delle cose.

Quando gli ebrei erano in schiavitù in Egitto il faraone li obbligava a costruire mattoni. Cercava di renderli a-tei, senza Dio, di privarli delle loro forze interne. E quando Mosè andò a chiedere la liberazione del popolo, il faraone fece togliere la paglia (teben, t-b-n) dal materiale per la fabbricazione dei mattoni. Cioè: avrebbero dovuto produrre un ugual numero di mattoni, ma la paglia se la dovevano cercare. Ma togliere la paglia voleva dire che era ritirata loro la dimensione di figli, di uomini (b-n): erano delle bestie.

L'uomo senza profondità, senza spirito è una bestia, ed è capace di tutto.

Pietro e chiunque altro, sarà roccia e fondamento se non perderà la sua natura profonda. Ma il giorno in cui tu ti distaccherai dalla tua natura divina, dalla Vita che c'è in te, in cui tu perderai, dimenticherai, ti verrà sottratta o non considererai più ciò che ti vive dentro (e dentro te vive l'Altissimo) tu diverrai automaticamente un uomo-mattone, un uomo di superficie.

E quanti uomini-mattone conosciamo? Quante persone non pensano che a costruire, guadagnare, accumulare? E la nostra società perché è fondata sulla finanza, sull'economia, sul denaro? Perché ha perso l'interiorità, ha perso un riferimento etico, profondo. Crede di poter vivere così, prescindendo dalla sua natura profonda, ma la fine è già segnata: questa strada non porta che a Babele, alla distruzione, alla divisione.

Una chiesa-pietra vuol dire una chiesa che richiami, che urli, che ri-cordi, che ri-animi l'uomo alla sua interiorità, alla vita che ha dentro. Altrimenti, se è solo organizzazione, mattone, rito, feste, gite è inutile; anzi è complice di questa società-mattone.

Poi Gesù dice: "Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia chiesa". Kefa in aramaico vuol dire appunto "pietra, roccia" e su quella roccia Gesù fonda la sua chiesa.

Ma la roccia di cui si parla qui non è tanto Pietro ma ciò che ha appena detto, la sua confessione: che Gesù, cioè, è il Figlio del Dio vivente. Quest'intuizione è la roccia che non farà crollare nessuna costruzione che si edificherà sopra di essa. La chiesa rimarrà viva se come base, come fondamento, avrà il Dio vivo.

E, infine: "A te darò le chiavi del regno dei cieli". La chiave apre al regno dei cieli. Mt 23,13 dice: "Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci".

Il Dio vivo è la chiave del regno dei cieli: non fate come i farisei che fanno di tutto per tenere lontane le persone da Dio, incutendogli paura e legandoli con prescrizioni e regole di ogni tipo.

"E tutto ciò che legherai o scioglierai sulla terra sarà legato o sciolto nei cieli". Legare e sciogliere presso i rabbini indica il dichiarare permessa o proibita una dottrina, e anche l'accogliere o l'escludere dalla comunità. Questa frase può anche riferirsi alla remissione dei peccati (Gv 20,23).

Ma il senso profondo è: se ti leghi a Cristo ti sciogli da tutto ciò che è male per te. L'essere unito, legato, al Dio vivo ti scioglie, ti libera da tutti i modelli che ti fanno ammalare, dai comportamenti devianti, aggressivi, da tutti i demoni (rabbie, risentimenti, ossessività, ecc) che hai dentro di te, da tutte le paure che ti impediscono di esprimerti e di essere veramente te stesso e da tutti i condizionamenti che ti soffocano. Se sei legato a Lui sei sciolto dal resto. E se sei legato al resto sei sciolto da Lui. Chi è legato a Lui è libero. E chi non è legato a Lui è legato a tutto il resto.

Pensiero della settimana

Inferno è essere legati da tutto e da tutti.
Paradiso è essere legati a tutti e a tutto.

 

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