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TESTO Commento su Giovanni 3,13-17

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Esaltazione della Santa Croce (14/09/2008)

Vangelo: Gv 3,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,13-17

13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

"Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini: apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente sino alla morte e alla morte di croce".

Sino alla morte, alla morte di croce... e sembra quasi un controsenso utilizzare il termine "esaltazione" per uno strumento, la croce che, per quanto santa possa essere, rimane sempre nel comune immaginario uno strumento di sofferenza e di morte. Eppure per il cristiano, ma anche per il non credente, è proprio da quei due pezzi di legno incrociati che scaturisce tutta la forza della fede e dello scandalo che porterà ognuno a fare scelte che loro malgrado influenzeranno tutta la loro vita.

Il cristiano, il credente, quindi ognuno di noi, deve esaltarsi nel mistero della sofferenza del Cristo umano per esserne suo portatore nella propria piccola realtà domestica, lavorativa, sociale e poterla trasformare in speranza, gioia e amore nella certezza del Cristo divino risorto e assunto alla destra del Padre nella gloria dello Spirito Santo. Nella nostra vita, nella nostra realtà familiare, esaltazione della croce è non conformarsi al mondo pur vivendo nel mondo (Rm 12, 1-2), è la condivisione con il prossimo delle difficoltà, è il servizio nascosto, umile, utile, per la Comunità, è la pazienza e l'accettazione per tutto quello che vorremmo e non otteniamo, è rendere concreto l'annuncio evangelico: ama il tuo prossimo come ami te stesso.

La croce o meglio Colui che, appeso alla croce, attira tutti a sé si pone come spartiacque tra la scelta dell'assoluto e la scelta del relativismo che la società moderna presenta come linea comportamentale dell'essere oggi, per la quale il nostro agire, il nostro credere, il nostro amare non devono essere gessati in strutture normative religiose o di fede, ma devono trovare la loro massima espressione nella temporaneità delle azioni, ossia il tutto è "liquidità" che prende forma rispetto al contenitore che viene scelto in relazione alla causa-effetto-azione del nostro agire, del nostro credere, del nostro amare, modificando così repentinamente, e senza sensi di colpa, i nostri comportamenti socio-umani e morali.

Ed il rischio è che il nostro comodo relativismo, la nostra "liquidità" comportamentale, la nostra flessibilità morale diventino giustificativi per una apatia o un assunzione ai minimi termini dell'impegno di attenzione verso il prossimo e testimonianza del nostro fragile credere.

E allora quella Croce, impiantata sulla roccia e innalzata verso il cielo duemila anni fa, è e sarà sempre simbolo di altre migliaia di croci personali, familiari, sociali quale sfida alla mentalità del relativismo e dell'edonismo sociale e personale, distruttore dell'attenzione verso l'altro.

La testimonianza, l'impegno, il sacrificio, la solidarietà, il coraggio, l'amore e il perdono devono quindi diventare caratteristiche e comportamenti di vita per la sequela di Colui che ha saputo abbandonarsi al progetto di Dio Padre per la salvezza dell'Umanità.

Così anche noi, ognuno di noi, ogni giorno deve sapersi abbandonare con fiducia in quelle braccia aperte del Cristo in croce, con la speranza e certezza che l'amore dello Spirito Santo saprà sopperire alle carenze del nostro povero amore umano.

Riflessioni:

- Ogni giorno siamo chiamati a vivere nel mondo. Vivo conformandomi alle suggestioni del mondo o, pur con sofferenza, so rinunciare alle stesse testimoniando coerentemente la mia fede cristiana?

- Cosa significa per me la croce? Sofferenza? Rifiuto del dolore? Incapacità di accettare le difficoltà della vita? O invece per me la croce significa strumento di sfida per amare profondamente Dio e la sua Chiesa?

- Calandomi nel quotidiano, quali le azioni che concretamente posso e voglio compiere per testimoniare la mia attenzione e disponibilità nella mia famiglia, nel lavoro, nel sociale, nella Chiesa perché il segno della croce non sia solo un segno rituale, ma sia veramente la chiave di accensione del motore della mia vita?

Commento a cura di Cristina e Gabriele - CPM Pisa

 

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