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TESTO Commento su Matteo 11,25-30

Suor Giuseppina Pisano o.p.

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (06/07/2008)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

"Cosi, dice il Signore: Esulta grandemente, figlia di Sion giubila grandemente, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile... annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra".

Sono le parole del profeta Zaccaria, che oggi la liturgia proclama nella prima delle letture, è l'annuncio remoto della venuta del Figlio di Dio tra gli uomini, colui che rivelerà al mondo il vero volto di Dio, colui che riconcilierà l'umanità al Padre, liberandola dal peccato, mediante il suo sacrificio sulla croce; colui che instaurerà sulla terra il regno di Dio, un regno di giustizia e di pace, un regno, non più fondato sul dominio dei potenti, ma sul servizio e sull'amore, un amore che privilegia gli ultimi, i poveri e gli emarginati.

Nelle parole di Zaccaria, dunque c'è già un annuncio del Vangelo, quello che, nella pienezza dei tempi, Gesù di Nazareth, predicherà dalle città, e villaggi della Galilea, fino a Gerusalemme, dove si concluderà la sua vita e la sua missione.

All'esultanza, di cui il Profeta scrive, fa eco nel breve passo del Vangelo, una preghiera, o meglio, un inno di benedizione e di lode, che Cristo rivolge al Padre, e che richiama alla mente la sua preghiera sacerdotale, durante l'ultima cena (cfr Gv 17); anche se, qui, la situazione è diversa; infatti, Gesù ha appena concluso la sua predicazione nelle città vicine al lago di Tiberiade, sperimentando il rifiuto di quegli abitanti, gente dura ad accogliere il messaggio della salvezza, persone, appartenenti alle classi più elevate, ricche, e colte dell'aristocrazia e, della classe sacerdotale.

Contro di loro Gesù, griderà il suo: "Guai!"; non una minaccia, ma un avvertimento forte, per quanti compromettono la loro salvezza, rifiutando il dono di Dio, che si rivela nella persona del Figlio Gesù; tuttavia, il rifiuto degli uomini, non è l'ultima parola, perché Dio, che distoglie lo sguardo dai superbi e fa grazia agli umili, rivolgerà la sua parola di salvezza a quei " piccoli" di cui il Cristo, oggi, ci parla.

I piccoli, non sono certo tali per l'età, ancora tenera, ma sono gli umili, coloro che si stimano povera cosa e si rivolgono a Dio per ascoltarlo e servirlo.

"Ha guardato all'umiltà della sua serva, canta Maria di Nazareth, che ha ricevuto l'annuncio della sua maternità divina, e, grandi cose ha fatto in me Colui che è il Potente" (Lc 1,48-49).

E' questa scelta, della quale Cristo esulta, e per la quale loda il Padre: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose, ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli".

I "piccoli"; l'espressione richiama alla mente i bambini, e noi sappiamo che essi hanno, nel Vangelo, un posto privilegiato, infatti: "Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, dice il Signore, non vi entrerà" (Lc 18,17).

Sì, il bambino non ha rilevanza nella società, ma nel pensiero di Gesù, questa creatura semplice, spontanea, capace di intuizione, di stupore, di gratuità e di fiducia, ha un valore immenso, tanto che, il Maestro, la indica come simbolo, affermando che, a quanti sono come lui è destinato il Regno dei cieli.

C'è, poi, un salmo, il Salmo 131, che descrive in maniera realistica e splendida, l'atteggiamento fondamentale di fiducia del bimbo, sia esso il neonato fragile ed indifeso, o il bambino un po' più grande; egli, sempre, vive la sua serenità tra le braccia della madre, e diventa, così, quasi icona dell'anima fedele che, con semplicità, si affida a Dio:

"Signore, non si inorgoglisce il mio cuore, e non si leva con superbia il mio sguardo, non vado in cerca di cose grandi... Io sono tranquillo e sereno. Come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia." (Sal 131).

E, come il bimbo che, conoscendo suo padre, e sua madre sta volentieri tra le loro braccia, perché son braccia sicure, che accolgono e proteggono; allo stesso modo, l'uomo semplice ed umile si affida al suo Dio, lo ascolta, e si lascia condurre da Lui, sicuro che, quella mano che lo porta, non gli farà percorrere vie pericolose, ma solo sentieri di salvezza.

Il bimbo sa, per una semplice intuizione, di potersi fidare, quando sente di essere amato; come il bimbo è l'uomo che si abbandona in Dio; è l'infanzia dello spirito, non un infantilismo sciocco e sentimentale, ma la forza di una fede semplice, che si traduce, immediatamente, in amore, che ascolta ed accoglie; è l'intuizione profonda di una Teresa di Lisieux, che fece, dell'infanzia spirituale il suo programma di vita e di santità.

A questi "piccoli", che, fuor di metafora, sono gli umili, i semplici, spesso gli ultimi nella scala sociale, il Figlio di Dio rivela i segreti del Padre, e li introduce nella comunione con Lui.

Quel Dio assolutamente inconoscibile, per l'uomo dell'Antica Alleanza, (Es 33,20), ora, si rivela nel Cristo: "Chi vede me vede il Padre" dirà un giorno, Gesù a Filippo (Gv 14,9); e ancora, a quel Dio, del quale non era consentito pronunciare il nome, ora, ci si può rivolgere col nome di Padre.

"Nessuno conosce il Figlio se non il Padre" – sono le parole del Signore –, "e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare", dono, questo, riservato a quei piccoli, che il Padre stesso ha privilegiato per la loro umiltà e semplicità, mentre gli occhi dei superbi, resteranno chiusi alla Verità.

L'umiltà e la semplicità sono, dunque, le disposizioni di spirito, che fanno degli ultimi, dei "piccoli", le uniche persone abilitate ad accogliere la rivelazione, e a ricevere, nel loro intimo, la luce stessa di Dio, attraverso la conoscenza del Figlio.

A questi piccoli, poi, Cristo rivolge il suo appello: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi, e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime".

I ricchi, i potenti, resteranno sempre prigionieri della loro arrogante autosufficienza, ma, quanti non hanno visibilità, quanti non hanno voce, e vivono ai margini della società, tutti coloro, che sono oggetto di disprezzo e di oppressione, sono anche, quelli che, nella sequela del Cristo, ritroveranno la loro dignità, e la gioia di vivere, nell'esperienza dell'amicizia di Dio, e del Figlio suo Gesù; e, se c'è un "giogo" da portare, esso non è certo opprimente.

Il Signore usa, riguardo a coloro che scelgono di seguirlo, un'immagine, che era, allora, familiare: il "giogo"; con questo termine veniva definita la Legge, quell'insieme di norme date da Dio al suo popolo, ma, che, col tempo, erano state moltiplicate, e rese gravose dai capi.

Il "giogo" di cui Gesù parla, è un altro, è la legge nuova, che egli ha portato, la legge di un amore che non conosce confini, una legge, indubbiamente esigente, ma, al tempo stesso, liberante; una legge, che non si presenta come un freddo e, spesso, pesante dovere, ma come un donarsi generoso e spontaneo; è la legge dell'amore, che ci rende simili a Dio, che ce lo fa sperimentare, perché come leggiamo in Giovanni: "Dio è amore, e chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio in Lui"

(1Gv 4,16); e non c'è felicità più grande e pace più sicura.


Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

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