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TESTO La nostra vita, custodita dall'amore di Dio

don Maurizio Prandi

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (22/06/2008)

Vangelo: Mt 10,26-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

Domenica scorsa, rispetto al vangelo e all'annuncio della Buona Novella del Regno, ci siamo detti una cosa molto bella ed importante credo: la missione nasce dalla compassione e la compassione non è, (come qualcuno potrebbe intendere), dire all'altro: poveretto, guarda come è ridotto, come lo compatisco! Il termine compassione viene da due parole (greca ed ebraica) che fanno riferimento alle viscere, all'utero femminile. Sentire compassione allora è un qualcosa che ti prende dentro, qualcosa di viscerale e mi pare che sia questa l'unica condizione per poter cogliere l'invito di Gesù a non temere, a non avere paura, a confidare in Dio. La missione, il predicare, come dice il vangelo di oggi dalle terrazze, è possibile solo nella misura in cui essa non diventa un fatto organizzativo... il rischio è che si faccia della missione un fatto di facciata, un muovere le pedine, una strategia. Mi pare proprio questo allora il primo grande invito che ci fa la liturgia della parola di questa domenica: confidare in Dio... e ce lo fa nella prima lettura: il Signore è al mio fianco... il Signore ha liberato la vita del povero, ma anche nel brano di vangelo, che per immagini ci racconta di una vita, la nostra, custodita dall'amore di Dio. Di una vicenda, quella di Geremia, assediato da amici e nemici: anche gli amici ce l'hanno con lui, e perché? Unicamente perché ha annunciato il volto di Dio e ha esortato le persone che lo ascoltavano a confidare unicamente in Dio. Per questo Geremia viene preso, legato, frustato nel tempio.

Qui mi pare che ci sia già un dato molto interessante per noi: prima che essere un problema, o meglio domanda, per quelli che sono "fuori" (i distanti, i lontani, gli atei, i non credenti...) Geremia è un problema per quelli che sono "dentro". Dico che questo dato è interessante perché è esattamente quello che capita anche ai giorni nostri: la parola di Dio, il Vangelo, che sono Buona Notizia, notizia della gratuità, gesti che consolano, gesti che guariscono, gesti che liberano la vita, che aprono la vita, che permettono alla vita di prendere il largo, proprio tra quelli che "sono dentro" trovano resistenza e rifiuto. Basta pensare a quanto problema hanno fatto certe prese di posizione di Mons. Tonino Bello vescovo di Molfetta (del quale per altro è da poco cominciato l'iter per la causa di beatificazione) o a quanta fatica ancora si fa per assimilare e far proprie le parole di Oscar Romero (Arcivescovo, ucciso in Salvador) contro la violenza e la dittatura militare: pensate che non lo si considera martire per la fede, ma solo per aver difeso i poveri e allora qui la causa di beatificazione è per così dire inceppata.

Tante persone che hanno fatto proprio l'invito a confidare in Dio e che ci hanno rimesso, e anche tanto, perché oggi come oggi per qualcuno è molto più importante che uno sia dipendente da quello che il mercato offre e del quale il mercato ti dice: guarda che non ne puoi fare a meno! Confidare in Dio sarebbe allora troppo pericoloso, perché rischierebbe di mettere in crisi tutto un sistema che di fatto è costruito per trovare certezze negli uomini, che tutto possono offrire, soprattutto ciò che è inutile e superfluo facendolo passare per necessario.

Mi piace molto l'invito del vangelo ad annunciare con coraggio, a dire apertamente, e mi fa venire in mente una riflessione che al campo con i ragazzi abbiamo fatto a proposito di Nicodemo, che va da Gesù di notte, per paura. La notte è il momento ideale per chi non vuole essere visto. Per chi non vuole farsi vedere a parlare con qualcuno. Chi ha vergogna di mostrare se stesso trova nella notte il momento ideale. La notte di Nicodemo, forse indica la paura di essere se stesso. Indica la paura di essere vero. La notte di Nicodemo indica la sua incapacità e la sua paura di essere libero. Bellissimo poi, che nel momento più difficile Nicodemo vada a chiedere il corpo di Gesù in pieno giorno: come se lo chiedesse urlando da un tetto!

Mi piace molto anche che nel vangelo ci sia scritto che nulla rimarrà nascosto, di sconosciuto a Dio, nemmeno quella tua sofferenza, quel tuo patire. Qualunque cosa di male possa capitare, questo non avviene senza che il Padre vostro lo sappia dice il vangelo. Per un "figlio" è una garanzia che anche il disagio o la sofferenza o, al limite, il martirio entrino nel disegno di Dio. Non cade un passero senza che Dio lo sappia, non vuole dire: non vi accadrà mai di cadere. Ma significa: se vi accade di cadere, Dio lo sa. Dentro alla vostra sofferenza Dio c'è, non siete abbandonati, c'è la sua presenza come presenza di salvezza, anche se evidentemente non viene percepita, e anche se a livello psicologico non fa un grande effetto, non si sente una grande consolazione; ma dentro ad una dimensione di fede c'è la possibilità di vivere ugualmente questa dimensione di presenza.

Mi piace concludere con un testo dei monaci di Tibhirine, che credo importante circa la persecuzione e il non temere: La nostra Chiesa è stata duramente scossa, soprattutto nella nostra Diocesi di Algeri. Ridotta, ferita, fa l'esperienza cruda dello spogliamento e della gratuità iscritti nell'Evangelo come in ciascuna delle nostre vocazioni alla sequela di Gesù. Vulnerabile, estremamente fragile, si scopre anche più libera e più credibile nel suo voto di 'amare fino alla fine... Presenza della morte. Per tradizione è assidua compagna del monaco. Questa compagnia ha assunto una intensità più concreta con le minacce dirette, gli omicidi avvenuti vicinissimo a noi, alcune visite... Si offre a noi come un prezioso test di verità, non certo comodo. Dopo il Natale 1993, noi tutti abbiamo scelto nuovamente di vivere qui insieme. Questa scelta (rinnovata) era stata preparata dalle precedenti rinunce di ciascuno (alla famiglia, alla comunità di origine, al paese...). La morte brutale (di uno di noi o di tutti insieme) sarebbe solo una conseguenza di questa scelta di vita alla sequela di Cristo (anche se non è direttamente prevista come tale nelle nostre costituzioni!). Il nostro vescovo ci invita spesso, con la parola e con l'esempio, a lasciarci così rinnovare nel fondamento stesso della nostra "offerta di vita". La nota di speranza deve emergere vittoriosa da tutto questo. È quanto si attende da noi, prima di ogni altra cosa. Con la pazienza che questa implica, fin nei dettagli di una vita condivisa (Monaci di Tibhirine in Più forti dell'odio pp. 135-6).

 

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