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TESTO Salvàti dai nemici

don Marco Pratesi  

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (22/06/2008)

Brano biblico: Ger 20,10-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

Il testo è parte dell'ultima delle "confessioni" di Geremia, testi nei quali si riflette la tormentata vicenda interiore del profeta (11,18-12,6; 15,10-21; 17,14-18; 18,18-23; 20,7-18). Per la precisione, ne costituisce la parte centrale, che esprime fiducia, laddove la prima e la terza dicono protesta e angoscia (vv. 7-10; 14-18). A sua volta la confessione è - nella redazione finale del libro - connessa allo scontro con Pascur, sovrintendente del tempio e (falso) profeta, il quale aveva fatto malmenare e arrestare Geremia (20,1-6).

"Terrore all'intorno" è il nome che in molti danno al profeta (cf. Sal 31,14), sintetizzando in modo sprezzante la sua predicazione, e richiamando in particolare il nome col quale egli ha rinominato lo stesso Pascur (cf. 20,3). Gli "uomini della pace", coloro coi quali il profeta intratteneva un rapporto di amicizia, sono oramai intenti a osservarlo con attenzione per cogliere gli indizi della sua caduta, attenti a spiare il momento del suo crollo. Attendono un suo passo falso, uno sviamento, per prevalere definitivamente su di lui e metterlo a tacere.

Si tratta di decidere chi ha ragione. Questo giudizio però ha luogo non sulla base di un dibattito razionale, ma sul piano della forza: avrà ragione chi riesce a prevalere sull'altro. Solo così lo scontro potrà decidersi, perché oramai le argomentazioni non hanno più niente da aggiungere, e le rispettive posizioni sono consolidate.

Si noti però che si tratta di un diverso prevalere: i nemici del profeta vogliono prendersi una loro vendetta, mentre Geremia la invoca da Dio. Il profeta è armato della sola parola (di Dio), i suoi nemici del loro potere. Per essi, vincere significa trovare il modo di far tacere il profeta; per lui, sfuggire alle loro trame e continuare la predicazione.

Di fronte a ciò, Geremia esprime la propria fiducia, richiamando quanto il Signore aveva promesso al momento della chiamata: "io sarò con te" (1,8). Il Signore stesso combatterà per lui come un prode. Questo significherà in pratica che l'azione dei suoi nemici si rivelerà inefficace e stolta, qualcosa di cui dovranno pentirsi, per cui provare imbarazzo e confusione. Saranno gli eventi a mostrare chi ha ragione.

In questa lite, Geremia si offre allo sguardo di Dio che scruta reni e cuore (nuova CEI: "cuore e mente"), le emozioni e gli orientamenti intimi: il Signore conosce la sua intenzione; e gli presenta la contesa che lo vede opposto ai nemici, scoprendo davanti a lui la sua angoscia e affidando a lui il compito di fare giustizia (cf. 11,20). Tale è la sua certezza, che già da subito intona un inno di ringraziamento a Dio che libera la vita (l'"anima", cf. Mt 10,28) del povero dalle mani del più forte di lui (cf. Sal 35,10; 142,7).

La rivelazione biblica sia vetero che neotestamentaria, ci avverte a chiare lettere che abbiamo da scontrarci con dei nemici. Chi è il nemico? È colui che vuole riunchiuderti definitivamente nel buio e farti gelare il cuore in petto (cf. Sal 143,3-4), uccidere in te la fiducia, soffocare il bene, chiuderti agli altri, mostrare falso ciò in cui credi, insomma distruggerti. Chi merita appieno questa definizione è "il nemico" per eccellenza, lo spirito del male (cf. Mt 13,39; Lc 10,19) con i suoi angeli. Ma certo si incontra qualcosa del genere anche nelle relazioni interumane (un po' tutto il Salterio ce lo ricorda), quando veniamo in contatto con persone che, più o meno consapevolmente e volontariamente, hanno - o possono avere - questi effetti. C'è una inevitabile lotta da sostenere per rimanere vivi, aperti, fiduciosi, positivi. Una lotta che possiamo vincere perché in Cristo siamo già salvi "dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano" (Lc 1,71) cosicché possiamo servire Dio "senza paura, per tutti i nostri giorni" (Lc 1,74). Per vincerla è fondamentale essere nell'atteggiamento del povero che grida al Signore, che non si fonda sulle proprie risorse, ma affida a lui la propria causa (cf. Rm 12,19; Eb 10,30), nella certezza assoluta che il Signore farà giustizia (cf. Lc 18,1-8, dove è questione di "vendetta"): perché nella misura in cui si ricerca la verità e l'amore Dio è con noi; e nella misura in cui queste cose sono combattute e oppresse è già all'opera il giudizio di Dio (cf. Sal 7) che sazia i poveri e spoglia i ricchi (cf. Lc 1,53).

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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