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TESTO La chiamata degli apostoli

padre Antonio Rungi

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/06/2008)

Vangelo: Mt 9,36-10,8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 9,36-10,8

In quel tempo, Gesù, 36vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

1Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.

2I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.

5Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

Oggi celebriamo l'undicesima domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico e la parola di Dio mette al centro della nostra riflessione la chiamata dei Dodici Apostoli di Gesù. E' il Vangelo di Matteo a descriverci il momento e tutto ciò che è conseguenza immediata di tale chiamata, quale l'invio nella missione alle pecore perdute d'Israele. Questa chiamata all'evangelizzazione pone al centro della nostra riflessione e preghiera il problema delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, ovvero di quelle speciali vocazioni al servizio di Cristo e della Chiesa di cui parla Gesù nel Vangelo odierno. Siccome il campo missionario è davvero sterminato, nel senso che l'opera della redenzione portata a compimento da Cristo nella sua Pasqua di Morte e Risurrezione deve essere fatta conoscere fini agli estremi confini della terra, come aveva raccomandato Gesù ai discepoli prima di salire al cielo, si richiede un numero considerevole di apostoli. Gesù al suo tempo ne scelse dodici inizialmente, poi crebbero successivamente con altri 72 e man mano aumentarono in ragione dell'adesione individuale, della disponibilità personale e delle qualità soggettive a svolgere tale ministero a servizio della Chiesa. Oggi il problema vocazionale è molto avvertito soprattutto in Italia e nell'Occidente in generale, in quanto sono pochi coloro che rispondono con gioia, maturità, formazione vera, alla chiamata di Dio di mettersi al servizio del vangelo, in quanto sono in gioco altri interessi e si preferisce vivere da semplice battezzato o addirittura da miscredente o ateo. Ma leggendo attentamente il testo del Vangelo ci accorgiamo quanta ansia pastorale e missionaria sta nel cuore di Gesù, soprattutto quanto constata di persona quell'immensa popolazione che lo seguiva e che era senza guida e pastore.

Ciò che devono fare i pastori, quale delega diretta di Gesù, è scritto nel testo di oggi: predicare, guarire gli infermi, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni. La modalità di questo servizio sta nel fatto che ciò che si ha avuto gratuitamente lo si deve dare senza attendersi nulla in cambio. L'apostolo e il missionario di Cristo non è l'uomo che esercita il ministero come un lavoro da ricompensare e da valorizzare per stare meglio e vivere più comodamente. Al contrario è l'uomo della generosità, della donazione, del servizio non ricompensato, se non in quella realtà futura che è il Regno dei cieli.

Strettamente collegato al tema della chiamata dei dodici è il brano della prima lettura odierna, tratta dal Libro dell'Esodo, ove si narra appunto dell'arrivo degli Israeliti al deserto del Sinai e della chiamata di Mosè sul Monte della prima alleanza. Durante il dialogo tra Dio e Mosè vengono date precise disposizioni dal Signore al condottiero del popolo eletto: osservare la legge di Dio, custodire l'alleanza sinaitica, vivere davvero come popolo del Signore che appartiene a Lui solo. Un popolo di sacerdoti e una nazione di santi, nella misura in cui attuano e praticano la legge di Dio, garanzia per tale popolo di felicità e lunga vita.

San Paolo Apostolo nel brano della sua lettera ai Romani che oggi leggiamo ad approfondimento ulteriore del tema di questa domenica che è la chiamata di Israele nell'Antico Testamento, degli Apostoli nel Nuovo Testamento, ci informa esattamente sulla missione di Cristo rispetto all'umanità, quella della salvezza del genere umano. Tutto il ragionamento dell'Apostolo delle Genti verte sulla giustificazione, nel senso che Paolo vuole fare risaltare il grande mistero della redenzione avvenuta con la morte e risurrezione del Signore. Noi peccatori, Lui Santo, noi deboli, Lui Forte, noi in conflitto con noi stessi, con gli altri e con Dio, Lui in pace con se stesso e con il Padre che lo ha inviato nel mondo. Noi ingiusti e ingrati, Lui giusto e riconoscente.

La chiave di lettura del messaggio che ci viene dalla parola di Dio di questa domenica undicesima del tempo ordinario sta proprio in quella chiamata che poi diventa missione: così per Mosè, così per Gesù, così per quanti sono scelti da Cristo, Figlio di Dio a continuare la sua presenza nel mondo in generale e nel mondo in cui viviamo, perché ogni chiamata si rapporta e si raccorda al tempo in cui il Signore la rivolge e alla persona alla quale viene rivolta. Non tutti rispondono come Mosè con un sì convinto a Dio; non tutti rispondono con altrettanti sì convinti come quelli dei Dodici o dei Settantadue; molti rispondono con un no chiaro, all'inizio o addirittura nel corso d'opera, quando magari hanno accettato la sfida e poi si ritirano ed indietreggiano alle prime difficoltà. Quante vocazioni perse lungo la strada, quanti hanno messo mano all'aratro e si sono voltati indietro per non continuare. Per quanti hanno fatto questo la misericordia di Dio, ma anche il monito di Gesù che richiama proprio il dovere della fedeltà, della coerenza e dell stabilità degli intenti nella vocazione ricevuta. Coloro che hanno messo mano all'aratro e si sono voltati indietro non sono degni di Gesù, né del suo Regno. Parole dure, ma che ci fanno capire che con Dio non si scherza e il sì detto a Dio è un sì irrevocabile e che non ammette tentennamenti e ripensamenti, ma coraggio e fedeltà fino alla morte. D'altra parte, tranne il figlio della perdizione, ovvero Giuda Iscariota, il traditore, tutti coloro che accettarono di seguire Gesù, nonostante le fragilità, i ripensamenti occasionali, i dubbi, le cadute, arrivarono fino alla fine nel testimoniare la fede a Cristo fino, in moltissimi casi, al martirio come avvenne allora, come sta avvenendo ai nostri giorni. Segno evidente che c'è un filo sottile, che è lo Spirito Santo, che guida la storia della testimonianza cristiana e la fedeltà al vangelo da oltre 2000 anni.

 

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