TESTO Commento su Matteo 9,36-10,8
Omelie.org - autori vari Home Page
XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/06/2008)
Vangelo: Mt 9,36-10,8

In quel tempo, Gesù, 36vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
1Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
2I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
5Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Dipende dal punto di vista
Mi capita a volte, viaggiando in aereo, di immaginare che Dio veda la terra in questo modo, da questo punto di vista. Con uno sguardo posso abbracciare grandi estensioni di terra, intere città; così mi viene spontaneo abbracciare anche i tempi della mia vita e di coloro che amo, le storie, le corse che facciamo per raggiungere la felicità. Sembra addirittura che da lassù le cose si semplifichino...
Diciamo spesso che può capire quello che passa una persona solo chi vive la sua stessa esperienza, chi assume il suo stesso "punto di vista", chi "si mette nei suoi panni". Capire, in fondo, non è solo frutto dell'intelligenza, ma anche del vedere, del sentire, dell'esperienza diretta, della vita. Solo quando capiamo così, riconosciamo come vero e importante ciò che un'altra persona dice o sente.
Questa esperienza, comune tra noi uomini, può essere il punto di partenza per accogliere e comprendere la Parola di Dio di questa domenica. Ascoltando infatti le letture vi trovo un filo conduttore di questo tipo: per vivere la vita cristiana non si deve fare innanzitutto uno sforzo mentale o di volontà, ma occorre imparare ad ascoltare quello che Dio ci propone; più concretamente, occorre imparare a vedere le cose (la vita, il mondo) come le vede Dio, mettersi nei suoi panni, e da lì, tirare le conseguenze. Vediamo se questo filo ci aiuta a cucire le letture e la nostra vita.
Dio invita Mosè ad entrare nel suo punto di vista
Il popolo di Israele, dopo poche settimane dal miracoloso passaggio del mare che gli ha permesso di scappare dall'esercito degli egiziani, arriva al deserto del Sinai, ai piedi dei monti che si alzano maestosi in quella regione. Mosè sale da solo sul monte. Qui Dio lo chiama, gli affida la missione di portare un annuncio al suo popolo, che sta giù, ai piedi della montagna. Perché Mosè deve salire da solo sul monte? Perché lo aspetta un incontro con Dio, e il monte è simbolo della vicinanza con Dio, che non abita sulla terra ma "nei cieli". L'incontro è personale, Mosè deve fare un'esperienza di Dio che non è possibile fare mentre sta in mezzo a tutti.
Perché, quando già è salito, Dio lo chiama di nuovo? Perché vuole che si avvicini, non fisicamente, ma interiormente, al suo modo di vedere i fatti accaduti. È a questo punto che Dio parla: "ecco cosa devi dire ai figli di Israele..." Dio, attraverso Mosè, invita il popolo ad aprire gli occhi sul passato, per riconoscere che quello che è accaduto nell'uscita dall'Egitto è stato fatto da Dio che, come su ali di aquila, ha condotto il suo popolo fino a Lui. Più che verso la terra, il popolo cammina verso il Signore, e la terra-libertà sono segni della sua bontà. Invita poi ad aprire gli occhi sul futuro: tutta la terra-umanità è proprietà di Dio; ma egli ha scelto un popolo come proprietà speciale, perché sia segno per gli altri che Dio è il Signore di tutta la terra. Il popolo potrà essere questo segno leggibile se osserverà le condizioni dell'alleanza che Dio vuole fare con lui (i comandamenti). Questa "visione delle cose" Dio comunica a Mosè, affinché la comunichi al suo popolo. Per fare questo Mosè deve prima fare sua questa lettura della storia e per questo deve salire sul monte (da dove si possono vedere le cose da un altro punto di vista, dall'alto, in un certo senso come le vede Dio). Ciò è necessario, perché (come sappiamo dalla storia della Bibbia) non sarà sempre facile per il popolo accogliere il progetto di Dio, e Mosè avrà il suo bel da fare per convincere il popolo a fidarsi di Dio fino in fondo: se non avesse imparato a vedere la storia dal punto di vista di Dio, non avrebbe potuto guidare il suo popolo.
Gesù invita i discepoli ad entrare nel suo punto di vista
Nel Vangelo di Matteo non c'è nessuno che sale. Al contrario, è Dio che scende: Gesù percorre le città e i villaggi della Galilea dedicandosi alle opere che caratterizzano la prima parte della sua missione pubblica: insegna nelle sinagoghe, cioè interpreta il significato della legge di Mosè, però non come gli altri maestri, bensì annunciandone il compimento, perché dice che il Regno è presente. Il segno visibile per tutti di questo annuncio è il suo potere di curare malattie (Matteo nel suo vangelo ci ha già dato raccontato questo duplice aspetto della missione di Gesù: con il discorso della montagna, nei capitoli 5-7, e con i primi dieci miracoli di Gesù, nei capitoli 8 e 9). L'agire di Gesù è accompagnato e sollecitato dal suo sguardo, che il vangelo di oggi esplicita: vedendo le folle ne percepisce la stanchezza, non solo fisica, ma spirituale. Nel linguaggio biblico (di cui Matteo è esperto) si direbbe che sono come "pecore senza pastore": chi cammina senza guida, senza obiettivo sicuro, non può non stancarsi.
Lo sguardo di Gesù si fa parola, con la quale condivide con i discepoli il suo "punto di vista". Anche Gesù usa un'immagine per dire quello che vede, non tolta dall'allevamento ma dall'agricoltura: le folle stanche agli occhi di Gesù appaiono come una messe abbondante, un campo pronto per la mietitura (come è diverso lo sguardo di Gesù da molte nostre letture del mondo!). La grandezza della messe mette subito in risalto la pochezza degli operai. Si, occorrono operai perché la messe non si perda, perché è urgente raccogliere i frutti di un lavoro che altri hanno fatto (chi? Dio?). Gesù chiede ai suoi discepoli non innanzitutto di andare al lavoro, ma di chiedere al padrone della messe che mandi gli operai necessari. Aumenta ancora la visione della realtà che Gesù vuole condividere con i suoi: quella non è una messe qualunque, il Padrone è Dio. E se è così, allora spetta a Lui mandare gli operai, in numero, tempi e modalità opportune. Ma se è così, perché i discepoli devono chiedere? Perché in questo modo imparano a condividere il punto di vista di Gesù, imparano che il loro compito non è subito quello di andare a mietere: devono prima ricordare che la messe è di Dio, che chi l'ha piantata e fatta crescere è lui, ed ora c'è un'urgenza e occorrono operai, che solo Lui può mandare.
Dopo questa condivisione del suo punto di vista, la parola di Gesù si fa' chiamata: chiama i dodici e dà loro il suo stesso potere di curare, che nella Bibbia è il segno dei tempi messianici. È in questo momento che Matteo introduce la lista ufficiale dei dodici apostoli, che rappresentano l'inizio del nuovo popolo di Dio (in continuità con le dodici tribù di Israele): sono di provenienza molto diversa, di tendenze religiose e politiche diverse, ciò che li fa gruppo è la stessa chiamata di Gesù e la stessa missione che Egli affida loro.
Dopo la chiamata, ecco l'invio: l'ambito, per il momento, è limitato al popolo di Israele, alle sue pecore perse (Israele è da sempre rappresentante di tutta l'umanità, alla quale si rivolge la missione del Cristo risuscitato). La loro missione è una sola: annunciare che il Regno di Dio è vicino, che Dio non sta lontano o fuori da quanto accade sulla terra, che si prende cura della gente. Con lo stesso potere di Gesù potranno curare malattie fisiche e spirituali, perché questi sono i segni visibili della vicinanza di Dio e del suo Regno. Così come la gratuità della loro missione: non stanno annunciando un bene che è loro, ma che è di Dio e che può essere soltanto regalato.
La missione è frutto di una chiamata; la chiamata è frutto di una condivisione dello stesso sguardo di Gesù; lo sguardo di Gesù è frutto della sua unione con Dio.
Paolo ci invita ad entrare nel punto di vista di Dio
Anche San Paolo nella seconda lettura sembra volerci fare entrare nel modo di vedere di Dio, per parlarci della morte di Gesù come rivelazione dell'amore incondizionato di Dio. Tra noi, a partire dal nostro modo di vedere le cose, è molto difficile (capita, ma raramente) che qualcuno dia la sua vita per una causa giusta, quando sta in gioco la vita di amici o persone innocenti. Assolutamente impossibile quando sta in pericolo la vita di persone ingiuste. Ecco invece quello che Dio ha fatto: ha offerto la vita del Figlio per noi che ci eravamo allontanati da lui con il peccato. Non ha esigito che prima ci convertissimo! Se Dio ha fatto questo per noi quando ci vedeva lontani e indifferenti, possiamo immaginare quanto non farà ora, vedendoci già riconciliati con Lui. Non c'è ragionevole motivo di dubitare del suo amore: c'è solo motivo per esserne orgogliosi!
Qual è il mio punto di vista?
La Parola di questa domenica è molto più che un appello vocazionale per qualcuno che si sente chiamato da Dio al servizio pastorale e apostolico nella Chiesa. È un richiamo forte a passare al punto di vista di Dio. Vedendo da qui, "fede" è la conseguenza, e "missione" diventa ogni luogo della nostra vita dove siamo chiamati a leggere la realtà con gli occhi di Dio e affrontarla sapendo che Lui ci è vicino: ciò non è un modo "poetico" di ignorarne la complessità della realtà, ma il modo più vero di rispondere alla chiamata della vita.
Commento a cura di Padre Gianmarco Paris