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TESTO Quello che conta di fronte alle prove

padre Gian Franco Scarpitta  

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (22/06/2008)

Vangelo: Mt 10,26-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

Determinare la veridicità e la trasparenza di una chiamata vocazionale, questa è impresa ardua. Salvo il caso straordinario di chiamate divine a mezzo di apparizione o di miracolo, non si può mai essere certi in forma assoluta che lo stato vocazionale da noi assunto, sia questo il sacerdozio sia la vita religiosa o lo stato matrimoniale o professionale, che esso corrisponda alla volontà di Dio. Certo, la Chiesa interpreta le vocazioni attraverso determinati segni particolari e attenendosi alla risorsa orientatvia della Parola di Dio e della Tradizione, ma la certezza assoluta e definitiva di essere stati davvero destinati da Dio a uno specifico stato di vita o ad una missione particolare, questo potremo scoprirlo solamente quando ci troveremo davanti all'Altissimo al momento del giudizio particolare.

Dicevamo che la chiesa riconosce dei segni vocazionali; uno di questi è indubbiamente quello della PAURA dell'eletto: chiunque intraprenda un itinerario vocazionale addentrandsosi verso la scelta di una missione specifica riscontra sempre un certo grado di timore dell'insuccesso e della sconfitta e in ogni caso teme di non essere all'altezza del ruolo. E' il caso di Gedeone, che chiede un duplice segno di essere davvero chiamato dal Signore, di Mosè, che parte per la casa del Faraone intimorito e perplesso, di Giosuè, che il Signore deve consolare e risollevare e anche Elia non esce da questa impostazione, dovendo essere assistito da Dio sotto il ginepro, mentre ormai esausto ha deciso di cedere la sua vita. E questi sono solo alcuni esempi scritturali del timore della nuova missione che si intraprende, della paura dell'imprevisto che interessano tuttora anche le nuove leve dei futuri aspiranti al sacerdozio. Ricordo infatti che durante il Noviziato una sorta di paura del futuro pastorale e l'inquietitudine di non essere all'altezza del compito si impossessò di me per parecchi mesi, al punto che qualche volta mi domandai se fosse il caso di proseguire; ma poi grazie al Direttore Spirituale e alla letteura della Bibbia compresi che il timore rientra sempre nella normativa della vocazione e i dubbi e le angosce molte volte sono utili a mantenerci nell'umiltà per lavorare con attenzione e senza inutili stupide altezzosità e a non attribuire a noi stessi successi e competenze che invece appartengono a Chi ci ha indirizzati verso un determinato cammino.

Oltretutto anche la persecuzione, la disfatta e il senso di vuoto e di fallimento imperversavano presso gli uomini illustri della Scrittura e sono la componente attuale della vocazione a qualsiasi stato missioanrio, sia temporaneo che permanente.

Il Vangelo di oggi ci esorta a non temere denigrazioni, pregiudizi e invettive che ci possano essere rivolte da parte di terzi a motivo della nostra fede, ma qual è in fondo la chiave di volta per superare ogni timore se non la previa presa di coscienza che la persecuzione è caratteristica ineluttabile della missionarietà?

Chiunque voglia proporre un determinato programma ideologico, come anche una qualsiasi iniziativa del tutto originale, accanto alle approvazioni e al successo non può non aspettarsi reazioni di diniego, riprovazione, delusione... E questo specialmente quando ci si trova agli esordi di una determinata attività o di un determinato incarico o incombenza a cui far fronte: quando si comincia, non si ottengono mai riscontri in positivo. Piuttosto si è osservati dagli altri con una sorta di perplessità e di pregiudizio, non di rado si viene continuamente marcati stretti e osservati con estrema attenzione, per cadere poi oggetto di critiche e di insinuazioni e perfino i buoni propositi e le rette intenzioni possono essere matrice di sospetto.

Se poi si è convinti che ogni incombenza o ufficio corrisponde alla divina volontà (E per noi cristiani non può essere diversamente) allora questa assume le prerogative di missione, giacché comporta la testimonianza e la comunicazione della nostra fede, e nel suo stesso svolgersi realizza la comunicazione del Vangelo per la causa del Regno; e ciò è sufficiente a che siamo esposti ad ogni sorta di prova e di assillo persecutorio.

. Il vero discepolo se da una parte non si procura da se medesimo fastidio alcuno, dall'altra accetta con disinvoltura, senza fuggirle, tutte le immolazioni.

Quello che più è importante in ogni caso è la certezza di essere in ogni caso non i protagonisti ma gli esecutori della missione e di corrispondere ad un ufficio che in effetti non ci appartiene: noi adempiamo un ruolo di origine divina i cui risultati spettano allo stesso Signore padrone della storia e del destino di tutti e di ciascuno e per questo non vanno considerati eventuali (anzi certissimi) insuccessi ma occorre guardare sempre all'ideale che è Gesù Cristo unico soggetto e oggetto della vocazione e della missione e nel suo nome essere veramente orgogliosi di venire perseguitati nel suo nome.

Così suggerisce lo stesso Signore Gesù Cristo, fra l'altro fautore per noi del dono dello Spirito Santo, che più volte è di sprone all'inventiva e allo zelo missionario facendoci riguggire ogni inquietitudine e paura. Certo, ricevere delle percosse fisiche e morali non può non comportare scoramento, dolore, angoscia e tentazioni varie di resa, così come avviene al timido Geremia che, gettato in carcere, maledice addirittura il giorno della sua nascita, ma la sicurezza di essere oggetto della premurosa sollecitudine di Dio non deve sminuire la nostra costanza e perseveranza. La ricompensa prima o poi verrà. A cadere saranno proprio coloro che ci avranno costretti al martirio. Quello che conta è che non si ometta nulla di quanto è costitutivo della nostra missione e che sotto tutti glia aspetti della vita e in ogni ambito non si lesini nell'insistenza di testimonianza cristiana e si annunci sempre Gesù con l'ortoprassi e la linearità di vita forti che colui che ci ha inviati non mancherà mai di assisterci nelle prove.

 

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