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TESTO Non vi sono venti favorevoli per chi non sa dove andare

Marco Pedron  

X Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/06/2008)

Vangelo: Mt 9,9-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 9mentre andava via, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

10Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. 11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Gesù chiama quest'uomo Matteo Levi, un uomo che stava bene, che non aveva problemi economici, che poteva veramente ritenersi "nato con la camicia", che aveva un posto di prestigio. E quest'uomo, senza esitazione, lascia il suo posto e lo segue. Perché? Per quale motivo lascia una posizione di privilegio per seguire Gesù? Per quale motivo lo ha fatto?

Alcuni degli apostoli erano pescatori, non erano ricchi ma avevano di che vivere e a quel tempo era già molto. Matteo era addirittura ricco.

Di tutti coloro che seguirono Gesù, si dice sempre la stessa cosa: "Lasciato tutto lo seguirono". E' interessante che si dica sempre "lasciato tutto": in pratica avevano qualcosa da lasciare. Non erano senza niente, non si dice: "Poiché non avevano niente seguirono Gesù". Ma "lasciato tutto"... La domanda rimane: "Perché lo hanno fatto? Perché lo hanno seguito? Perché prendere una strada incerta per lasciarne una sicura?" Che cosa hanno trovato lì?

"Padre, io ho la Porsche, sono rispettato e onorato. Ho un posto di prestigio, sono sposato, ho due figli e credo che mia moglie mi ami veramente. Non mi manca nulla padre, ho tutto. Ma, vede, in realtà io non ho niente perché io non sono felice". "Non so perché vivo. Ho vent'anni ma che me ne faccio di tutti questi anni se non so per chi o per come usarli? Che me ne faccio? Mi sembrano una maledizione!".

I nostri giovani hanno di certo infinitamente di più dei nostri nonni. Hanno più libertà sociale (non ci sono più regimi dittatoriali) e più libertà personale (possono fare cose che i nostri nonni neppure si sognavano). Ma non sono più felici. Perché? Hanno di più, sono più liberi, ma non più felici.

E' come avere un pianoforte: sì bello, ma se non sai suonarlo a che ti serve? Se non sai usarlo che te ne fai? Ai nostri giovani non manca la libertà e neanche i soldi e neanche la ricchezza. Manca il senso della vita. Cioè: non sanno trovare una ragione valida per vivere. E infatti abbiamo una generazione di annoiati, di teledipendenti, di "rimbambiti" davanti a qualche programma televisivo o a qualche "reality" (non vi fa pensare: si guarda un reality perché non si riesce a vivere la realtà!). Abbiamo giovani e adulti che "sballano" perché d'altronde che altro potrebbero fare? Non sanno che altro fare. Non ci hanno ragioni, motivi, un senso, per vivere. Ogni giorno, in Italia, due giovani si tolgono la vita. Negli ultimi 20 anni la percentuale di suicidi è aumentata del 30%. D'altronde quando la vita non ha senso la si può anche perdere.

Sono andato a giocare a calcio e ho lasciato lì una maglietta. Ma non mi interessava, era senza importanza e non sono neppure tornato indietro a riprendermela. Ciò che non ha valore lo si può perdere, tanto!

"Non vi sono venti favorevoli per chi non sa dove andare" (Seneca).

Ti faccio una domanda. Non devi rispondere a me, devi solo rispondere a te ed essere vero: "Sei felice?".

Devo chiedermi se sono soddisfatto della mia vita e devo darmi una risposta vera, per non continuare a mentirmi, per non scendere a compromessi e adattarmi. Se non sono felice vuol dire allora che manca un senso alla mia vita, un significato, uno scopo. E se non c'è un motivo per vivere non c'è nessun motivo per vivere.

Ci sono tre tipi di malattie: quelle fisiche (mal di denti), quelle psichiche (aver paura) e quelle spirituali. Gli animali hanno sia le fisiche sia le psichiche: hanno sia mal di denti che paura. Ma non hanno malattie spirituali: gli animali non soffrono d'angoscia, l'uomo sì.

Gli uomini sono depressi e pieni di angoscia perché non hanno motivi, non hanno scopi per vivere. Molte persone si alzano la mattina e non sanno il perché: lo fanno e basta, tocca! Lo si è fatto anche ieri mattina, lo si fa anche stamattina. P. Ricouer: "La confusione in cui si trovano gli uomini deriva dal fatto che essi, la sera, non sanno perché al mattino si sono alzati e perché domani ricominceranno".

Matteo e gli altri Undici hanno seguito Gesù non perché lui gli abbia promesso una vita facile, agiata, sulla cresta dell'onda, ricca o famosa ma solo perché Gesù ha promesso una vita significativa e ricca di senso. "Se mi seguite non vi annoierete più; se mi seguite la vostra vita troverà un senso, mille sensi, mille motivi".

Gesù forniva un senso all'esistenza: "Tu caro sei pescatore di pesci: riempi le reti ma non l'anima. Io ti do un motivo vero per vivere: pescatore di uomini, d'umanità, di vita".

Qui c'è un verbo: "Gesù vide". Cosa avrà visto Gesù dentro a quelle persone? Cosa avrà visto in Matteo? Non sappiamo cosa, ma sappiamo che ha visto qualcosa che gli altri non vedevano; Gesù ha visto qualcosa che neppure Matteo vedeva.

Tutti vedevano l'esattore delle tasse: un nemico, un usuraio, un ladro, insomma qualcosa di negativo. Gesù, invece, ha visto la positività di quest'uomo; non ha visto quello che era, quello che faceva, ma ha visto cosa poteva diventare, le risorse che aveva dentro, le ricchezze che il suo cuore custodiva. Gesù, insomma, lo ha guardato in maniera diversa da tutti gli altri.

Che cosa avevano di particolare lo sguardo e gli occhi di Madre Teresa? Che vedevano l'uomo dove tutto sembrava far vedere altro.

Mentre tutti lo guardavano, lo giudicavano e vedevano solo la parte nemica, l'esattore, Gesù ha visto in Matteo la sua parte pura, non contaminata, buona. Tutti noi abbiamo una parte buona, tutti abbiamo un luogo dove la cattiveria, l'odio, il marciume non può raggiungerci.

Allora quando mi guardo cosa vedo? Cosa voglio vedere? Perché è il mio sguardo ad essere decisivo. Alcune persone vedono solo la parte buona e, quindi, si credono perfette: "Sei perfetto perché non ti conosci, perché il tuo sguardo è lungo 5 cm. Guardati meglio e vedrai chi sei". Alcune persone hanno un'immaturità evidente ma loro non lo vedono. Non lo possono vedere perché non potrebbero accettare quello che vedrebbero. Altre, invece, pur avendo molte cose belle, buone, importanti, vedono solo il negativo.

Gesù vedeva sempre la realtà, che comprendeva il negativo, le ipocrisie e le falsità degli uomini, e siccome le faceva anche presenti non era molto amato! Ma quando guardava Gesù faceva sempre leva sul positivo delle persone. Zaccheo, la peccatrice, i lebbrosi, i peccatori, i pubblicani: Gesù non guardava a quello che erano ma a quello che potevano essere. "In te tutto è morto, tutto è spento. Qui la luce si è spenta ma io vedo la fiamma che può accendersi. Io vedo quello che puoi essere. Io vedo la tua positività".

E' inutile sottolineare il negativo delle persone: con il negativo non possiamo costruire nulla. E' inutile dire ad uno: "Tu non mi parli mai; tu non mi dici mai niente; se parlassi di più il nostro rapporto andrebbe meglio", perché anche lui sa di non parlare, conosce la sua difficoltà. Piuttosto agiamo sul positivo quando ci dice qualcosa: "Che bello quello che mi hai detto; non me l'aspettavo proprio da te"; oppure proponiamogli qualcosa che possiamo fare insieme: "Ti va di ascoltarmi (magari dopo anche lui mi dice qualcosa)".

Non possiamo costruire niente con ciò che non abbiamo. Possiamo costruire solo con ciò che c'è. Così è solo il positivo che ci aiuta a crescere, a cambiare, a dar fiducia a noi e agli altri. A farci così tanto male nella vita non è spesso la realtà ma come noi la vediamo, l'atteggiamento che abbiamo di fronte alla realtà. Due uomini guardano fuori dopo la pioggia: uno vede il fango, l'altro le stelle.

A volte le persone dicono: "La mia vita fa schifo". Allora io rispondo: "Sì fa veramente schifo la sua vita: io mi ucciderei!". "Beh, ma non fa poi così tanto schifo!". "Allora c'è qualcosa che le piace!". "Sì, ci sono alcune cose...".

"Mio figlio è un buono a nulla". Se penso così agirò di conseguenza e gli passerò il messaggio che sia un buono a nulla, e i suoi sbagli confermeranno la mia idea. Forse fatica in alcuni ambiti, ma non per questo è un buono a nulla. Dire ad uno che è un "buono a nulla" vuol dire dirgli che non vale niente su nessun campo. E crescerà proprio così!

"Non sarò mai nessuno". Se io penso di me così neppure inizierò qualcosa, tanto! Se io penso così, ogni tentativo verrà subito bloccato, non si sviluppa nessuna volontà di esser qualcuno. Se io penso di me così, ogni fallimento mi confermerà ciò che penso. Anzi avrò bisogno di far andare male le cose per confermare l'idea che io ho già in testa. Ma tutto sta in ciò che voglio credere. Perché non dirmi: "Forse non sarò il migliore ma posso provare ad essere qualcuno, ad essere me stesso". Perché noi diventiamo quello che abbiamo già deciso di essere nella nostra testa. E se penso di me così diventerò inevitabilmente così.

"Mio marito non mi capisce": questo atteggiamento negativo è decretare l'impossibilità di ogni rapporto. Ma anche un'evidente realtà dipende da come noi la vediamo. Perché non dire: "Mio marito fa molta difficoltà a capirmi". E'già molto diverso!

Guardo le persone che amo e mi chiedo se faccio come tutti o se faccio come Gesù. Quante sottolineature positive do a chi amo? Quante volte metto in luce il positivo? Quante volte gli dico "Grazie... ti voglio bene... che forte che sei... questa cosa sei capace di farla proprio bene... come ci sei riuscito bene... bravo... ecc..." e quante volte, invece, sottolineo solo ciò che non va, ciò che si sarebbe dovuto fare, ciò che io volevo che l'altro facesse. Per ogni sgridata almeno cinque rinforzi positivi (dicono gli psicologi).

Una adolescente scriveva al suo papà: "Se tu mi vedi bella io mi vedrò bella. Se tu mi vedi brutta io diventerò brutta". Se io ti vedo brutto (se sottolineo solo la parte negativa, ciò che dovresti essere, ciò che non sei, ciò che dovresti cambiare, i tuoi errori e sbagli) tu diventerai brutto. Se io ti vedo brutto anch'io diventerò brutto perché come io ti vedo così mi vedo.

Gesù vedeva le persone nella loro interezza. Gesù vedeva in loro il Dio che le abitava, ciò che potevano essere. E le chiamava perché lo seguissero, perché seguendo Lui realizzassero le loro possibilità profonde, diventassero la ricchezza che erano, le invitava ad essere ciò che potevano essere.

In questo brano c'è un comportamento nuovo di Gesù rispetto una regola del tempo: i suoi pasti. Quando si mangia insieme ci si siede alla stessa tavola e si prende lo stesso cibo. Allora non c'è chi sta meglio e chi sta peggio: tutto quello che è sulla tavola è di tutti e per tutti. Si è alla pari e non ci sono differenze.

Mi ricordo che mia nonna diceva: "La gallina migliore è per il prete; il vino migliore è per il prete...". E a me stava un po' antipatico il prete.

Al tempo di Gesù vigeva la Legge di Santità (Lv 17-24) che diceva: "Obbedienza letterale alla legge; osservanza rituale del culto; mantenere puri il proprio gruppo e i simboli del proprio gruppo". Ma Gesù che fa? Gesù se ne infischia di questa legge e va a mangiare con gente certamente al di fuori di questa legge. Gesù mangia con gente chiaramente, per quel tempo, eretica.

Infatti di che cosa è accusato Gesù dai suoi contemporanei? Di mangiare con gli esattori delle tasse, con i pubblicani e con i peccatori (Mt 9,10-11); di mangiare troppo, di essere un mangione e un beone (Lc 7,34); di mangiare con quelli dell'altra sponda, con i farisei e con gli uomini di legge (Lc 7,36-50; 11,37-54). E infatti Gesù non faceva differenze di persona e mangiava con tutti: con i lebbrosi (Mc 14,3), accettava le donne di cattiva fama a cene di soli uomini (Lc 7,36-37), si autoinvitava a casa dei peccatori (Lc 19,1-10). Gesù mangiava con le donne e a quel tempo il posto della donna era in cucina (Marta rimane assai turbata quando la sorella Maria lascia la cucina, Lc 10,38-42).

Gli storici dicono che non ci fu mai un'epoca in cui la legge fosse così scrupolosamente osservata come al tempo di Gesù. I farisei o gli scribi non erano uomini malvagi, ma brave persone che seguivano la saggezza convenzionale. Erano dei bravi cittadini, delle brave persone religiose che non avevano ancora incontrato il regno di Dio e il vangelo. Voi capite chi era Gesù per le persone del tempo: Gesù era un eretico, uno "fuori", un pazzo, un matto. Gesù non poteva che essere ucciso perché sovvertiva tutte le regole del tempo.

Questo significa che per Gesù, quando la legge diventa un ostacolo alla compassione, all'amore umano, all'accoglienza e all'incontro con l'anima delle persone, lui non ne tiene conto. Ha capito il pieno significato della legge: la legge, le regole, le norme servono all'uomo e non l'uomo è servo delle regole. E lo diceva sempre: "Il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato".

Qui Gesù va a mangiare con i peccatori. Per noi oggi è difficile stabilire chi sia peccatore o no. Ma al tempo di Gesù tutto era molto più semplice. Se non si era in grado di seguire le norme di purificazione, i codici di purità e gli obblighi, se non si faceva, insomma, ciò che le regole dicevano si era peccatori. Quindi la maggior parte delle persone che non riuscivano neppure a vivere, neppure aveva di che sfamarsi, figurarsi se poteva pagare le decime del tempio o dedicare il congruo tempo alla lettura della Legge, erano peccatori. La maggior parte della gente non poteva permettersi il lusso di non essere peccatrice. Gesù, quindi, va a mangiare con gente che è oggettivamente peccatrice e tutti lo sapevano. Gesù è un "fuoriregola", un "fuorilegge" e fa cose che i "religiosi" non fanno; Gesù fa cose che loro mai si permetterebbero né di pensare né di fare. Scribi e farisei non erano ipocriti e arroganti ma persone che avevano fondato la loro vita sulle regole: "Se io faccio certe cose non posso che essere bravo, buono, rispettato e onorato".

Avere una famiglia, avere dei figli, avere una casa, avere un buon lavoro, possono diventare per noi delle regole con le quali noi ci sentiamo migliori degli altri e comunque non come loro. Ma Gesù ci sfida.

Alcune delle famiglie "perfette" della nostra società dove tutto sembra andare bene sono in realtà dei sepolcri imbiancati, degli involucri meravigliosi senza niente dentro, dei contenitori senza contenuto. E non provate a dirglielo perché vi sbraneranno: per Gesù è stato così!

Ma Gesù non sapeva che farsene delle "brave persone", di tutti questi "bravi esecutori", di questa gente "pia" e fedele alle regole. Non a caso chiama Matteo Levi. Ciò che cerca sono persone capaci di correre dei rischi, di abbandonare le proprie sicurezze e di mettersi in gioco.

Poi c'è questa frase: "Misericordia io voglio e non sacrificio". Cioè: "La realtà dei rapporti è più importante della realtà rituale".

Le persone sono più importanti dell'ideologia; ciò che una persona è, è più importante di ciò che una persona fa. Non è il ruolo (ciò che fa) che conta ma ciò che la persona è e quello che vive.

Molte persone dicono: "Cosa dice la legge? Cosa dice la chiesa cattolica? In questa situazione cosa si deve fare?". E vogliono regole chiare, precise, che sentenzino se uno sbaglia o no, se uno è nel giusto o no. Sono spietate: non guardano alla persona, sono senza misericordia e hanno come unico criterio la legge. Gesù non era un tradizionalista e neppure un progressista: era un misericordioso: "Imparate bene che cosa significa: misericordia io voglio e non sacrificio" (Mt 9,13). La persona è sempre di più e sempre più importante di ogni regola. Non siate preoccupati tanto che le persone rispettino le regole, ma che le regole rispettino le persone.

E Gesù lo diceva anche ai suoi discepoli: "Se vi accettano (Mt 10,13-15) e accettano la misericordia e questo modo di vivere, rimanete lì. Ma se sono solo formalisti (a quel tempo tutti erano religiosi, non si poteva non esserlo!), se non c'è vita nella loro fede, andatevene.

Perciò dobbiamo andare dove siamo invitati, accolti e dove c'è bisogno di noi. Dobbiamo andare dove la vita è desiderata e cercata. Dobbiamo far emergere l'acqua che si nasconde in certi deserti; ma non si può nulla dove non c'è acqua. Certe persone non vogliono il vangelo e Gesù Cristo, vogliono solo sicurezze ulteriori che stabilizzino ancor di più la loro vita, che la confermino e che la pietrifichino. Ma non c'è vita in queste persone: c'è solo perfezione, modalità educate e controllate. Non dobbiamo mai dimenticare che non tutti vogliono Gesù Cristo e noi dobbiamo sempre, in nome di Gesù Cristo, rispettare le persone. Se non lo vogliono non vuol dire che ce l'hanno con noi (anche se di fatto se la prendono con noi), ma che rifiutano lui. Quindi noi prendiamo il nostro bagaglio e ce ne andiamo altrove con una grande serenità. Così non irritiamo loro e soprattutto non perdiamo tempo noi. Dice un proverbio: "E' inutile tentare di insegnare ad un maiale, perché lui si irrita e tu perdi tempo".

In certe liturgie, in certi gruppi di preghiera o cristiani non c'è desiderio di vita, di cambiamento, di crescita. Ciò che conta è solo fare un rito ("che bella messa!"). Se bastasse partecipare a delle messe, beh, noi preti saremmo a posto!

Avete mai osservato che Gesù incontra poca fede nel tempio, fa pochissimi grandi incontri in chiesa. Ne fa molti invece lungo le strade o nelle case. Perché? Perché il posto non è garanzia di incontro con Dio. E il rito senza il cuore non è nulla. Come il cuore senza il rito è evanescente. Il rito senza cuore diventa forma e il cuore senza rito non è concreto, si perde.

Gesù vuole misericordia, umanità, tenerezza, perdono, prima di ogni altra cosa, di ogni altra regola. Dio non vuole sudditi che obbediscano alle sue leggi. Il suddito è un marionetta che esegue: per lui la coscienza è già di troppo, perché non gli serve, non la usa. Dio non vuole esecutori, fedeli a ciò che è scritto, a ciò che si è stabilito. Sei milioni di ebrei sono morti perché alcuni capi nazisti hanno obbedito al pazzo di Hitler. Ma eseguire non ti esime da ciò che tu sei: un uomo capace di amore e di misericordia. Dio non vuole funzionari che eseguono, che solo fanno, che non si pongono il problema se ciò che fanno abbia un cuore o un'anima. Per loro vita, l'anima, le emozioni, la fede, è un di più. Sono una catena di montaggio: non c'è niente di personale in ciò che fanno.

Gesù vuole misericordia, compassione, tenerezza, amore: vuole, cioè, che il tuo cuore sia coinvolto in ciò che vivi. Come fisicamente non possiamo vivere senza cuore (senza un rene, una mano, una gamba sì, ma senza il cuore no) così una vita senza cuore, senza misericordia, per Dio, è assurda, è non vita.

Il mangiare di Gesù ci permette di riflettere con chi e come noi mangiamo. Io sono ciò che penso, ciò che vedo, ciò che sento, ciò che dico, ciò che ascolto. Ma io sono anche ciò che mangio e ciò che mangio diventa me. Ciò che mangio parla della mia anima e di ciò che io ho dentro. Il mangiare è un modo con cui noi compensiamo ciò che ci manca. Il nutrimento che ci manca dentro noi lo compensiamo riempiendoci con il nutrimento fisico. Se guardo a cosa mangio o a come mangio io posso, se voglio capire molte cose di me.

Se mangio troppe cose dolci non è, per caso, che io abbia bisogno di dolcezze, di affetto, di attenzioni, di coccole che magari non ricevo? Non è un caso che spesso ci accontentiamo con la cioccolata!

Se esagero con il sale non è che io sia ipercritico nei confronti delle persone? Se mangio troppo speziato non è che la mia vita sia poco stimolante? Se mangio troppa carne non è che io sia pieno di rabbia, di collera e che me la prenda con un pezzo di carne invece che imparare ad esprimere le mie emozioni? E non dobbiamo mai dimenticare che un animale è un cadavere!

E poi come mangio? Butto dentro tutto come una idrovora? Non è che sono così anche con la vita, che non la gusto? Mi riempio fino all'orlo? Non sono così anche nella vita? Di cosa ho paura? Che cosa temo che mi manchi o che mi venga sottratto? Mi riempio di cibo perché non sono pieno di fede o d'amore? Sono una persona "difficile" a tavola? Non è che sia così anche nella vita? Non è che per caso io tema le esperienze nuove? Ho l'abitudine di discutere o di litigare quando mangio? Non è che mi succeda così anche nella vita? Non è che mi rovino ogni cosa bella, ogni gustosità? La digestione, più che da quello che mangiamo, dipende dal clima di quando noi mangiamo.

Mangio quello che mi capita o scelgo ciò che voglio mangiare? Forse anche nella vita è così: prendo ciò che ho sottomano, la pria cosa che mi capita, o dopo essermi ascoltato, scelgo ciò che voglio? Sono senza appetito? Perché non voglio nutrirmi? Mi sento in colpa? Mi voglio punire? Voglio punire qualcuno? Il mio frigo e le mie dispense sono piene di tutto? Perché le cose poi vanno a male e finiscono nella pattumiera. Ti consideri una pattumiera, una schifezza? Perché hai bisogno di avere così tanto: cosa ti angoscia? Cos'hai paura di perdere? Ho bisogno di bere in maniera eccessiva? Che cosa sto annegando? Quali emozioni tento di non sentire, di anestetizzare, di mettere a tacere? C'è chi tenta di affogare l'angoscia nella droga, nelle medicine, nello zucchero o nell'alcool: ahimè, l'angoscia sa nuotare. Forse a molte persone tutto questo fa sorridere. Ma io ho colto che come mangio dice di me molto di più di quello che io penso e di ciò che io credo di me. Cioè come mangio è come vivo. Il mio cibo diventa me e io divento il cibo che assumo.

Pensiero della settimana
Se non puoi essere un pino sul monte,
sii una saggina nella valle,

ma sii la migliore, piccola saggina sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un grande albero, sii un cespuglio.
Se non puoi essere un'autostrada, sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole, sii una stella.
Sii sempre il meglio di ciò che sei.

La tua vita esiste ed ha senso non per ciò che potresti essere
ma per ciò che sei.

 

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