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TESTO Commento su Giovanni 6,51-58

don Daniele Muraro  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (25/05/2008)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Nella celebrazione della santa Messa, c'è un momento momento centrale, sottolineato dallo squillo ripetuto del campanello. Si tratta della Consacrazione. Il sacerdote solleva uno dopo l'altra la patena con l'ostia consacrata e il calice e li espone all'adorazione dei fedeli. Alla fine proclama: "Mistero della fede!".

Dopo le parole del sacerdote tutti intervergono con una formula che interrompe la preghiera personale silenziosa. Possiamo intendere l'acclamazione di risposta come la continuazione della recita del Credo, con una differenza. Nel Credo sono contenute in generale le verità della nostra salvezza, all'interno della preghiera eucaristica invece si fa una professione di fede specifica: quel pane e quel vino presentati all'altare e su cui il sacerdote ha pronunciato le parole del rito sono diventati con l'azione dello Spirito santo il Corpo e il Sangue del Signore. È questo il mistero vivo della fede da adorare e proclamare!.

Per questo prima della risposta pubblica, durante l'adorazione silenziosa, concentrando i pensieri verso l'ostia santa, ciascuno può ripetere validamente dentro di sé la preghiera dell'apostolo san Tommaso nel Cenacolo: "Mio Signore e mio Dio!".

"È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi." dice la sequenza che si può leggere prima dell'Alleluja.

Anche san Paolo nella seconda lettura, rivolto ai cristiani di Corinto insisteva: "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?"

Per lui si trattava di una una realtà sicura e che sta a fondamento della consistenza stessa della Chiesa: i cristiani possono essere uniti fra di loro e formare come un corpo solo, perché prima sono uniti a Cristo e attraverso l'Eucaristia formano con Lui un corpo solo.

Si tratta di verità sublimi, che noi diamo per scontate, ma che risuonarono senz'altro difficili da accettare per i contemporanei di Gesù e degli apostoli.

«Come può costui darci la sua carne da mangiare?» fu la reazione dei Giudei che per primi ascoltarono la promessa del pane di vita fatta da Gesù e la spiegazione seguente: in quel pane ci sarebbe stato lui stesso personalmente.

Gesù istituì il sacramento dell'Eucaristia la sera dell'Ultima Cena, ma come abbiamo sentito dalla lettura del brano del Vangelo di oggi, questo proposito era maturato nel suo animo già da molto tempo prima.

Gesù parla per la prima volta di questo sacramento mentre si trova a Cafarnao durante una predica nella sinagoga. In quel momento c'era molto entusiasmo attorno alla figura di Gesù: Egli compiva molti miracoli e sapeva parlare bene.

Gesù però coglie tutti di sorpresa e dichiara che il meglio di se stesso lo doveva ancora dare: sarebbe stato il sacramento dell'Eucaristia. Non usa questo termine, ma le sue parole sono fin troppo precise: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo", "se uno mangia di questo pane vivrà in eterno", "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo".

Gli Ebrei del tempo di Gesù conoscevano dalle loro Sacre Scritture la manna, che era durata per quarant'anni e aveva permesso ai loro antenati di sopravvivere nel deserto, durante il tempo in cui erano vissuti da nomadi, prima di poter entrare nella terra promessa.

Anche quella era un "pane disceso dal cielo", nel senso che la mattina, uscendo dall'accampamento, poteva essere raccolta depositata sul terreno sotto forma di piccoli batuffoli. Il libro dell'Esodo ci dice che "era simile al seme del coriandolo e bianca; aveva il sapore di una focaccia con miele."

Il giorno stesso dell'ingresso del popolo nella terra di Israele il fenomeno della Manna era cessato. Un po' di questo alimento tuttavia era stato conservato dentro un vaso riposto dentro l'Arca dell'alleanza insieme alle tavole della legge di Mosé, i dieci comandamenti. L'Arca dell'alleanza la possiamo immaginare come un baule che durante il pellegrinaggio nel deserto veniva portato a spalle con delle stanghe e che poi dopo la costruzione del tempio in Gerusalemme era stato sistemato nel locale più interno del santuario, il santo dei santi.

Geaù va oltre il simbolo e proclama che quello che lasciava immaginare la manna, Egli era venuto a realizzarlo sul serio: la manna in quanto cibo aveva assicurato il sostentamento in un periodo difficile come il viaggio nel deserto, tuttavia la manna non poteva garantire una sopravvivenza eterna. Gesù invece vuole dare a tutti coloro che si nutriranno di Lui una vita oltre la morte, cioè la vita eterna, dopo la resurrezione finale. Lui lo può fare, perché perché Dio Padre lo ha mandato e in quanto Figlio del Dio scorre nelle sue vene ed è presente nel suo corpo la stessa vita del Padre.

"Conosci te stesso" era il motto che campeggiava scritto a caratteri cubitali sul frontone del tempio di Delfi. La sentenza valeva come un invito per il visitatore a stimare la propria condizione umana, ma anche a riconoscerne i limiti. L'uomo è capace di grandi imprese, ma alla fine deve rassegnarsi al tragico destino di morire.

Gesù va oltre la sapienza greca espressa nel motto di Delfi e invita tutti noi a conoscere Lui, la potenza della sua risurrezione, che segue necessariamente al dono della sua vita nella passione e morte.

Non si tratta più di un ragionamento sublime, uno di quelli che tanto attiravano i Greci, e nemmeno Gesù intende meravigliare con un miracolo strepitoso, uno di quelli che tanto piacevano ai Giudei del suo tempo.

Il ragionamento è semplice, lo può fare anche un bambino, e il miracolo è nascosto: un po' di pane e vino diventano il Corpo e il Sangue del Signore, ma l'invenzione può essere solo divina. Solo un Dio poteva dare se stesso all'uomo come cibo, perciò noi oggi adoriamo pubblicamente questo mistero del Corpo del Signore e diciamo la nostra fede in lui nostro Salvatore.

 

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