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TESTO La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda

mons. Vincenzo Paglia  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (25/05/2008)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

La festa del Corpus Domini esprime l'antico e radicato amore per l'Eucaristia, per il corpo e il sangue del Signore. L'apostolo Paolo scrive ai Corinzi: "Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo che è per voi. Allo stesso modo prese anche un calice e disse: Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo in memoria di me". Il Signore stesso esorta i discepoli di ogni tempo a ripetere in sua memoria quella santa cena. L'apostolo aggiunge: "Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga". Non è un'altra cena che si ripete, magari stancamente come tante volte noi rischiamo di fare. L'Eucaristia che celebriamo è sempre la Pasqua che Gesù ha celebrato. È questa la grazia dell'Eucaristia: essere partecipi dell'unica Pasqua del Signore.

La Chiesa custodisce la concretezza delle parole di Gesù e venera in quel pane e in quel vino il suo corpo e il suo sangue, perché ancora oggi lo si possa incontrare. Potremmo aggiungere che in quel pane e in quel vino non c'è il Signore presente in qualsiasi modo, vi è presente come corpo "spezzato" e come sangue "versato", ossia come colui che passa tra gli uomini non conservando se stesso, ma donando tutta la sua vita, sino alla morte in croce, sino a quando dal suo cuore non uscì "sangue ed acqua". Non risparmiò nulla di se stesso. Nulla trattenne per sé, sino alla fine. Quel corpo spezzato e quel sangue versato sono di scandalo per ognuno di noi e per il mondo, abituati come siamo a vivere per noi stessi e a trattenere il più possibile della nostra vita. Il pane e il vino, che più volte durante la santa liturgia ci vengono mostrati, contrastano con l'amore per noi stessi, con l'attenzione scrupolosa che abbiamo per il nostro corpo, con la meticolosa cura che poniamo per risparmiarci e per evitare impegni e fatica. Tuttavia, essi ci vengono donati e continuano ad essere spezzati e versati per noi, perché siamo liberati dalle nostre schiavitù, perché sia trasformata la nostra durezza, sgretolata la nostra avarizia, intaccato l'amore per noi stessi. Il pane e il vino, mentre ci strappano da un mondo ripiegato in se stesso e condannato alla solitudine, ci raccolgono assieme e ci trasformano nell'unico corpo di Cristo. L'apostolo Paolo, riconoscendo la ricchezza di questo mistero al quale partecipiamo, con severità ammonisce di accostarsi con timore e tremore perché: "Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno pertanto esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice" (1 Cor 11,28). Ma dopo questo esame chi mai di noi può avvicinarsi? Sappiamo bene quanto siamo deboli e peccatori, come cantiamo nel Salmo: "Riconosco la mia colpa e il mio peccato mi sta sempre dinanzi" (Sal 50,5). Ma la liturgia ci viene incontro e mette sulle nostre labbra le parole del centurione: "O Signore, non sono degno di sedere alla tua mensa, ma di' soltanto una parola ed io sarò salvato". Di' soltanto una parola: è la Parola del Signore che invita ad accostarsi e che rende degni, perché è una parola che perdona e guarisce. Alla tavola del Signore si giunge dopo l'ascolto della Parola, dopo che il cuore è stato da essa purificato e riscaldato. C'è allora come una continuità tra il pane della Parola e il pane dell'Eucaristia. È come un'unica mensa in cui il nutrimento è sempre lo stesso: il Signore Gesù, fattosi cibo per tutti.

 

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