TESTO Legato per sempre
don Marco Pratesi Il grano e la zizzania
Sacratissimo Cuore di Gesù (Anno A) (30/05/2008)
Brano biblico: Dt 7,6-11
25In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Nel quadro dell'esortazione a differenziarsi dai popoli di Canaan (7,1-11), il passo del Deuteronomio riflette sul rapporto tra Dio a Israele, e ne individua il fondamento nell'elezione: Israele è la sua "proprietà particolare" e perciò popolo "santo" (o consacrato), perché Dio lo ha scelto e si sente legato, "attaccato" a lui (vv. 6-7).
L'elezione non riposa su alcun particolare merito da parte del popolo, che non ha potuto fare niente per meritarla o averne titolo qualsiasi: essa è per definizione gratuita e riposa unicamente in Dio. La gratuità che sta a fondamento dell'elezione viene però precisata in due aspetti. Si tratta in primo luogo di amore: Dio ha amato Israele (v. 8, cf. 4,37; 7,13; 10,15; 23,6). Qui c'è una sorpresa: Israele è stato amato perché piccolo e insignificante (v. 7; cf. 9,4-6)! Così grande, Dio si china sul piccolo, si innamora del piccolo, mostrando così la vera grandezza. Si tratta poi - secondo aspetto - della volontà di Dio di mantenere la promessa fatta ai patriarchi (v. 8). Anche questo ricorda all'israelita che Dio non gli usa misericordia per propri meriti, ma "per amore di Abramo, di Isacco, di Giacobbe" (cf. 10,14-15; Gen 26,24; Dn 3,35). Esiste un evento fondante che è sottratto alla mutevolezza delle situazioni e all'instabilità della umana fedeltà, e che stabilisce la fede d'Israele sulla roccia. È questione della fedeltà di Dio, per la quale egli non può venir meno alla parola data; e della sua bontà, per la quale egli è sbilanciato verso il bene nella proporzione di mille a uno: ricompensa la fedeltà per mille generazioni, mentre ripaga l'infedeltà soltanto in chi la commette (vv. 9-10).
A un Dio che è così, Israele deve rispondere riconoscendolo per quello che è, appunto come un Dio così. Tale riconoscimento diviene completo solo nella prassi: conoscere Dio significa lasciar cambiare la propria vita dal suo modo di essere, e perciò come Dio ama Israele, Israele ami Dio (cf. 6,5); come Dio vuol mantenere la sua promessa, Israele custodisca l'alleanza (v. 11). Così Israele realizzerà la sua vocazione di popolo particolare di Dio, popolo santo.
La festa del S. Cuore ci invita a leggere questo brano in riferimento a Gesù e al suo cuore. Lì noi ci scopriamo prediletti da un amore che ci sceglie per la santità, per essere come e con lui (perché se il Dio santo si è rivelato in Cristo essere santi significa essere come lui, "imparate da me", Mt 11,29). Nel cuore di Cristo ci scopriamo dunque "santi per vocazione" (Rm 1,6), scelti non per merito ma per pochezza (cf. 1Cor 1,26-28). Giacché l'amore di Dio non è motivato dalle nostre ricchezze, nemmeno spirituali, che sono suo dono - così Dio amerebbe solo se stesso. L'amore di Dio, che nel cuore di Cristo è per così dire "concentrato", si porta invece sulla piccolezza, sulla miseria, desidera riversarsi sulla povertà umana, sul peccato. Lì, in quel cuore trafitto che ha dato tutto (cf. Gv 19,34) noi scopriamo la fedeltà di Dio, tenacia davvero divina che rifiuta di smettere di amare e nonostante il rifiuto si dona sino alla fine (cf. Gv 13,1). Quell'episodio, quell'amore che si dona sulla croce, rimane per sempre evento fondante che stabilisce la nostra fede sulla roccia della fedeltà di Dio manifestata in Cristo.
Dobbiamo riconoscere, sperimentare, che Dio è così. La nostra vocazione, la santità, non è che questo. Ciò richiede prima di tutto l'arte di scoprire la nostra miseria, raggiungerla, e da lì gridare de profundis facendo appello alla misericordia. Solo in questo movimento possiamo scoprire la fedeltà di Dio e il suo amore. Solo in questo, e non in qualsivoglia autoedificazione morale o spirituale, possiamo realizzare la chiamata alla santità, avendo "gli stessi sentimento che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,5): "Gesù, mite e umile di Cuore, rendi il nostro cuore simile al Tuo!".
I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.