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TESTO La Parola e il da farsi

padre Gian Franco Scarpitta  

IX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/06/2008)

Vangelo: Mt 7,21-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 21Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. 23Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.

24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

Costruire la casa sulla sabbia è tipico quindi delle persone imprudenti, che omettono di considerare i pro e i contro di ogni loro proposito, realizzando i progetti con l'esclusivo interesse del proprio vantaggio immediato e senza sacrifici. Come si suol dire, è un atteggiamento di chi vuol avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Chi infatti edificherebbe la casa sulla pura sabbia senza affrontare una minima spesa per le fondamenta e per consolidare almeno la struttura basale? Colui che tende ad ottenere l'abitazione ottimale senza sacrificio alcuno e senza la dovuta considerazione che realizzare opere veramente consistenti e di particolare rilevanza comporta fatica, impegno, ansia, lotta e sacrifici, ma che le ricompense future saranno tante quante le disfatte rovinose per chi avrà voluto realizzare l'opera senza i dovuti accorgimenti e i particolari rilievi.

Tutto questo sta a significare che l'ascolto della parola di Dio, la vita di fede e di speranza e in definitiva lo stesso cristianesimo è ben lungi dalla pura idolatria vuota e fanatica propria di chi crede di risolvere i propri problemi di coscienza con la sola preghiera, le funzioni religiose, le pie pratiche che molte volte ostentano mera falsità e ipocrisia per cui appena usciti dalle chiese ci si dispone al pettegolezzo, alla maldicenza e alla cattiveria trovando ogni pretesto per omettere la concretezza delle opere di bene e della carità verso il prossimo. Quanta gente calpesta le navate delle nostre chiese sgranando i rosari e inginocchiandosi piamente durante la Consacrazione sull'altare, ricevendo l'Eucarestia tutti i giorni per poi mostrare insensibilità e protervia nei confronti del prossimo, assurgendo ogni scusa per giustificare le proprie nefandezze?

Come potremmo pretendere che i giovani, solitamente distanti dalla vita ecclesiale a partire dai 18 anni di età, ascoltino le nostre rimostranze e i rimbrotti affinché vi facciano ritorno, quando già con le critiche e i giudizi non ci mostriamo evangelicamente esemplari e in più dimostriamo loro atteggiamenti del tutto opposti a quelli che si richiederebbero da chi segue devotamente la pratica del culto?

Così pure non va trascurato che parecchia gente fa ricorso ai Sacramenti quasi a mo' di copertura sociale dei propri misfatti e delle cattiverie verso il prossimo, quasi a voler dimostrare che la Chiesa o il sacerdote approvano determinati atteggiamenti!

Inteso come ostentazione di doppiezza e di mera esteriorità e limitato alla banalità delle vuote pratiche religiose il cristianesimo è cosa fin troppo facile poiché non comporta sacrificio alcuno e lo sforzo delle preghiere e delle piccole offerte in chiesa non è affatto determinante: non costa alcuna fatica recarsi in chiesa e poi assumere atteggiamenti da istrioni e saltimbanchi. Ma la nostra fede non ammette semplicismi di tal fatta: il cristianesimo è ben lungi dall'identificarsi con il bigottismo o con il mero paganesimo dei feticci che legittimavano tutte le mancanze e tutti i peccati: se dovessimo interpretarlo in questi termini non soltanto non sarà gradito a Dio, ma verterà anche a nostro danno rivelandosi pernicioso come esiziale per noi è qualsiasi peccato che noi commettiamo poiché il male commesso o il bene omesso oltre che offendere Dio e gli altri danneggiano noi stessi. Anzi, la mancata traduzione nella prassi delle nostre convinzioni religiose costituisce già in se stessa peccato e motivo di condanna: non potrà non ritorcerci contro noi stessi procurandoci la disistima e il sospetto di chi ci sta intorno, ottenendoci l'altrui ripulsa e antipatia per isolarci sempre più dal contesto comunitario e finalmente non potrà che procurarci la condanna definitiva eterna.

Su questo punto Gesù è molto categorico e non ammette repliche né obiezioni: nella pagina odierna di vangelo afferma che neppure cacciare i demoni nel suo nome ottiene la vita e la salvezza quando si trascuri la messa in pratica dei comandamenti di Dio e poiché sintesi di tutti i comandamenti è l'amore siamo condannati in partenza quando nonostante le nostre attitudini religiose saremmo stati negligenti e refrattari nell'amare gli altri senza riserve.

Mancare di tradurre in pratica la Parola ascoltata tutti i giorni è fra l'altro sinonimo di omissione della testimonianza missionaria di Gesù e per questo Egli stesso si rivolge in termini del tutto categorici: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, le prostitute prenderanno il vostro posto nel regno dei cieli."

Assai più sacrificato ma meritorio di ricompense è invece l'atteggiamento di chi mette in pratica la parola di Dio nella concretezza del bene e nella trasparenza delle azioni e delle intenzioni, queste intese come atto di pura sincerità e vera disponibilità d'animo: come il cittadino che costruisce la casa sulla sabbia, chi mette in pratica la Parola di Dio senza riserve e ritrosie e in modo franco e spontaneo dovrà affrontare sacrifici, prove, derisioni, umiliazioni nonché l'arroganza e la cattiveria degli avversari, ma già nel ritrovarsi utile agli altri si sentirà spronato e motivato, mentre nella consapevolezza che il suo frutto comunque rimane troverà la gioia nella perseveranza nel bene e in futuro il premio promesso dal Signore.

Chi realizza nella vita quanto afferma di credere con le proprie labbra otterrà forse un frutto non immediato ma futuro come il contadino che ha vangato e dissodato il terreno per potervi seminare e dopo lunga attesa ottiene il frutto della fedeltà alla propria terra e come diceva Mouliere nell'opera "Il malato immaginario" il frutto tardivo è quello che più produce soddisfazioni e benefici.

Mi piace a tal proposito confidare a tutti il pensiero che mi rivolsero alcuni giovani della comunità ecclesiale in cui operavo precedentemente al momento del mio trasferimento nella sede attuale (che è Palermo): per iscritto mi confidarono che durante la mia permanenza fra di loro, non avevano affatto capito "che tu avevi nei nostri riguardi amore, sincerità di cuore, disponibilità e attenzione e soltanto troppo tardi ce ne stiamo rendendo conto ma saremo fedeli su quanto ci hai dato..."

Tutto quello che avevo realizzato con estrema fatica durante quei tre anni con loro aveva dato il frutto sperato solo negli ultimi mesi della mia permanenza sul posto, ma in quel momento compresi che tutte le ansie e le lotte, i malintesi che ne erano scaturiti avrebbero dato ( e di fatto hanno dato) il loro risultato non immediatamente ma in tempi futuri. Era necessaria tanta fatica perché adesso vi sia un po' di consenso e a volte si deve fallire spesso per avere successo una volta soltanto.

Senza il dolore è impossibile l'amore, ma l'amore attuato è la ricompensa del dolore.

Per dirla con San Giacomo: "Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la Parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla" (1,22-25).

In tutti i casi, la Parola di Dio si ascolta con estrema attenzione, la si medita ma il non metterla in pratica corrisponde a vanificare tutto questo.

Evidentemente perché la Parola, che in ebraico è tradotta con "Dabar" ha un duplice senso: parola e atto; Dio cioè parla mentre agisce e agisce mentre parla. Noi non siamo Dio, ma possiamo fare altrettanto.

 

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