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TESTO Intimità: entrare nel profondo

don Maurizio Prandi

VI Domenica di Pasqua (Anno A) (27/04/2008)

Vangelo: Gv 14,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Leggo e interpreto le parole che Gesù oggi ci rivolge come una conferma di quanto domenica scorsa vi dicevo circa la fede come movimento di affetti ovvero la fede come un qualcosa che è strettamente legato agli affetti e alla affettività.

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui. Mi piace molto questo dimorare nell'amore reciproco, questo dimorare in una intimità che nulla respinge di te. La parola intimità viene dal latino intimare, che significa essere in rapporto con ciò che vi è di più profondo nell'altra persona: è a questo livello di conoscenza che siamo chiamati da Dio per quello che riguarda il rapporto con Lui e con i nostri fratelli e sorelle. Mi pare di capire anche che questo livello non lo si raggiunge con lo sforzo minimo di una messa alla settimana, ma domanda tempo, pazienza, desiderio. Con queste parole Gesù ci dice che la fede è anche amore, non è semplicemente qualcosa di razionalistico, qualcosa di confinato semplicemente nella testa, nella ragione. No! La fede è fatta anche di cuore, è fatta di affetto e chiede, come scrive don A. Casati, spazi, anche spazi di cuore, spazi di relazione. In questo senso allora non possiamo lasciar cadere l'invito che la seconda lettura ci fa mediante l'apostolo Pietro: Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Devo capire bene però che cosa significa tutto questo, in particolare che cosa si intende per ragione, perché il rischio di fare della fede un ambito dimostrativo mi pare molto forte.

Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori. Forse quello che abbiamo sempre cercato di fare, come chiesa è stato insegnare ad adorare nella chiesa, ma non certamente nei cuori. E' importante, importantissimo un luogo, uno spazio sacro che custodisca la preghiera, ma è certamente anche importante fare memoria di quanto Gesù ha detto alla donna samaritana: Né a Gerusalemme né sul monte Garizim adorerete il Padre... il Padre va adorato in Spirito e verità. Sento l'invito di Gesù e quello di Pietro molto vicini: nel silenzio del cuore, nella verità profonda di noi Dio prende dimora, Dio fa la sua casa. Ecco che torna l'importanza della relazione personale, del tempo che questa chiede, della alimentazione necessaria, come in qualsiasi altra relazione.

Sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Mi pare, come accennavo prima, che ai nostri giorni il dibattito che si apre su cosa voglia dire rendere ragione sia tutto su un versante prettamente dimostrativo. Come dire che se io so rendere ragione della mia fede, di ciò in cui credo, anche chi fa della ragione una bandiera non potrà controbattere nulla. Credo però che così rimaniamo comunque distanti dagli uomini e dalle donne di oggi: trovo difficile ad esempio poter dimostrare che sia ragionevole che il Figlio di Dio decida di morire in quel modo sulla croce. San Paolo ha scritto che per il mondo la croce è follia, stoltezza, e allora è proprio a partire da quella follia, da quella stoltezza che Dio ha scelto che possiamo incontrare il mondo di oggi. Leggevo i giorni scorsi un testo molto interessante di T. Radcliff, che dal 1992 al 2001 è stato maestro generale dell'ordine dei domenicani: in quel testo viene spiegato bene che cosa S. Tommaso d'Aquino intenda per "ragione". Lo fa in un passaggio sulla castità, dove dice che la castità consiste nel vivere secondo l'ordine della ragione. Di fronte all'apparente freddezza di questa affermazione, se andiamo a vedere che cosa Tommaso intendeva per ratio, si possono aprire per noi possibilità di riflessioni importanti. Nella Summa Teologica egli scrive che vivere secondo la ratio significa vivere nel mondo reale, conformemente alla verità delle cose concrete; mi sembra bello questo: la ragione mi chiama a vivere nella realtà di quello che sono io e di quello che sono realmente le persone che amo, per le quali divento allora capace di donare la mia vita.

Tutto questo dovrebbe aiutarmi a capire che il compito del rendere ragione della speranza non si realizza certo mediante ragionamenti, mediante parole e neppure mediante i soli sentimenti interiori. Gesù ci ha mostrato una via che anche noi siamo chiamati a seguire il compito del rendere ragione esige un preciso comportamento che Pietro ci aiuta a precisare: un comportamento fatto di dolcezza e rispetto e di retta coscienza. Leggo qui un invito ben preciso per me, per noi: Pietro raccomanda la mansuetudine di Cristo, l'imitazione di Lui, l'obbedienza (e qui torniamo al vangelo) ai suoi comandamenti.

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Anche io lo amerò e mi manifesterò a lui. Fa', o Signore Gesù, che i tuoi comandamenti possano diventare per noi un fatto di cuore, di amore; perché possiamo capire che solo mediante la loro pratica il nostro amore per Te diventa vero. E in quella pratica possiamo aprirci a comprendere la grandezza del tuo amore per noi, credere nel tuo amore per noi, metterlo a fondamento della nostra povera vita, per riconoscere in essa la grandezza e la bellezza di ciò che tu attendi da noi.

 

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