TESTO Commento Giovanni 10,1-10
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IV Domenica di Pasqua (Anno A) (13/04/2008)
Vangelo: Gv 10,1-10
1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Domenica scorsa nel brano degli Atti ascoltavamo l'annuncio pasquale per bocca di Pietro (At 2, 22-33). Quale reazione suscita nell'uditorio? "Si sentirono trafiggere il cuore" (At 2, 36-41: I lettura). Cioè il centro più profondo della persona viene sconvolto: le sicurezze, le convinzioni più pacificamente radicate, tutto viene scosso violentemente. Vedono aprirsi davanti orizzonti impensatamente nuovi che dilatano il cuore in una speranza, in una fiducia mai conosciuta prima d'ora, e in un gusto di vivere, in una gioia straripante. L'esistenza intera viene rivoluzionata da cima a fondo. Insomma, è la notizia che da sempre aspettavano. E allora: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". L'ascolto del Vangelo non ti porta semplicemente a concludere: "Che bello! Interessante!". Ma: "Come non essere più quello di prima? Come cambiare la mia vita?". Ogni annuncio – dall'omelia alla catechesi e al colloquio spicciolo – dovrebbe sempre provocare una tale reazione: "Che cosa dobbiamo fare?". L'annuncio cristiano non è mai un'informazione neutra che ti lascia come ti trova, ma provoca una decisione, una prassi. A questo punto Pietro non fa' che esplicitare l'esigenza contenuta nell'annuncio: la conversione e il battesimo, che ottengono il perdono dei peccati e il dono dello Spirito, cioè la vita nuova e l'ingresso nella Chiesa. Tutto questo accadde quella prima volta e continua ad accadere. Una comunità cristiana nasce, rinasce, si sviluppa nella misura in cui si lascia afferrare e plasmare ogni volta dalla parola di Dio. Lo sperimentiamo?
Il testo evangelico odierno apre un lungo discorso dove Gesù rivela chi è per gli uomini e soprattutto per i suoi discepoli, che cosa fa per loro e come essi si comportano con Lui.
Gesù presenta se stesso in contrapposizione a coloro che non sono pastori, ma "ladri e briganti": cioè i responsabili di Israele, che non promuovono il vero bene del popolo, e quanti, mossi da un falso messianismo, procurano la sua rovina.
Le immagini che Gesù porta potrebbero ispirarsi alle usanze della vita pastorale nella Palestina di allora. Alla sera i pastori conducono il loro gregge in un recinto per la notte. Un recinto comune serve a diversi greggi sotto la custodia di un guardiano notturno. Al mattino ogni pastore chiama le sue pecore, ciascuna col proprio nome, ed esse - pur mescolate durante la notte con quelle di altri greggi - riconoscono la sua voce e lo seguono.
Più sicuramente, però, Gesù si riferisce all'immagine biblica, molto nota, di Dio pastore che ama il suo popolo, raffigurato come un gregge: si prende cura di esso, condanna i falsi pastori, lo riconduce dall'esilio e lo raduna dalla dispersione. Basti ricordare testi come Ez. 34 e il sal. 23 (salmo responsoriale di questa domenica).
Più direttamente ancora, Gesù si richiama alla situazione che sta vivendo a Gerusalemme. In questa parte del Vangelo Gesù si trova appunto nella città santa durante la festa delle Capanne e nel Tempio offre la sua rivelazione. Egli è la "luce del mondo" e lo ha mostrato guarendo un uomo cieco dalla nascita (Gv 9). Quest'uomo ha ricuperato la salute integrale arrivando alla fede piena in Gesù e testimoniandolo coraggiosamente, al punto da subire l'espulsione dalla comunità. Gesù rivolge il presente discorso agli avversari che hanno scacciato il cieco guarito. Si presenta ad essi come il vero Pastore del popolo. In effetti, nell'A.T. le "pecore" indicano spesso i membri del popolo di Israele. Il termine "recinto", poi, non designa mai un recinto per le pecore, ma indica quasi sempre il vestibolo davanti alla Tenda nel deserto o davanti al Tempio. Indica quindi simbolicamente il Tempio di Gerusalemme, che rappresenta il giudaismo. Il pastore legittimo delle pecore, colui che entra per la porta, è Gesù, nuovo Pastore di Israele, che si è presentato al Tempio di Gerusalemme per rivelarsi ai Giudei durante la festa delle Capanne. Tutte le pecore del recinto (cioè tutti i Giudei) hanno potuto conoscere la sua dottrina, ma solo alcune di esse sono le "sue pecore". Tra esse il cieco guarito. Egli le "conduce fuori" (come Dio aveva fatto uscire il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto). Costituisce così un nuovo gregge (la Chiesa). I rapporti tra il Pastore e le sue pecore sono descritti in questi termini: "cammina davanti a loro e le pecore lo seguono". Cioè Egli le guida ed esse vivono con Lui, condividono il suo progetto, attuano la sua volontà.
Questa rivelazione iniziale di Gesù (vv. 1-6) è piuttosto oscura e non viene compresa. Gesù allora riprende l'immagine della "porta" e del "pastore" sviluppandole e applicandole a sé:
"Io sono la porta delle pecore". Una volta uscite dal recinto del giudaismo, le pecore devono passare attraverso la porta che è Gesù per accedere alla salvezza e alla vita: "Se uno entra attraverso di me sarà salvato". Altrove Gesù dirà: "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14,6). La salvezza sta appunto nel rapporto pieno col Padre.
La "porta", però, non è soltanto un luogo di passaggio attraverso cui si entra, ma appartiene già al recinto stesso. Nell'A.T. la "porta" della città o del Tempio indica spesso l'insieme della città o il Tempio stesso. Riferita a Gesù, l'immagine della "porta" non significa soltanto che per accedere alla salvezza, per incontrare il Padre, occorre passare attraverso di Lui (che è appunto il "mediatore" della salvezza). Ma indica inoltre che questi beni della vita e della salvezza le pecore li trovano in Gesù. Vale a dire, Gesù non è soltanto la porta, la via di accesso; è anche il nuovo recinto, il nuovo Tempio in cui i suoi possono trovare i beni messianici e incontrare il Padre. Cfr. "Io sono la risurrezione e la vita" (Gv 11,25).
La vita vuole diffondersi e autocomunicarsi: "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza". E' la vita divina che dal Padre trabocca nel Figlio e che il Figlio, divenuto uomo, partecipa a coloro che gli appartengono attraverso la fede. Nel brano successivo Gesù in modo chiaro ed esplicito presenterà se stesso come il Pastore "bello", autentico, e mostrerà che il dono della vita ai suoi scaturisce dal dono che Egli fa della sua propria vita, accettando la morte per amore.
Al di là dei suoi primi destinatari (i nemici di Gesù), la sua rivelazione oggi raggiunge noi e intende comunicarci una certezza di fede: Gesù è l'unico "Pastore", l'unica "Porta", l'unico che ci dà la vita vera e piena, l'unico che ci salva. L'unico che ci ama. L'iniziativa parte da Lui: "Chiama le sue pecore una per una". Tornano quanto mai appropriate le parole che Giovanni Paolo II rivolgeva ai giovani durante la Giornata Mondiale della Gioventù nel Giubileo del 2000: "Non pensate mai di essere ai suoi occhi degli sconosciuti, come numeri di una folla anonima. Ognuno di voi è prezioso per Cristo, è conosciuto personalmente, è amato teneramente, anche quando non se ne rende conto". Lui veramente ci libera e ci "conduce" alla vita piena. Ci trascina con sé nel seno del Padre. Egli è la "Porta del Padre" (Sant'Ignazio di Antiochia).
"Le sue pecore ascoltano...conoscono la sua voce". Sono felici di appartenergli, hanno un'intesa profonda con Lui. Lo seguono. Questo verbo esprime la relazione essenziale del discepolo col proprio maestro. Significa riconoscenza lieta e colma di stupore. Il motivo: "Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al Pastore e custode delle vostre anime" (1 Pt 2, 20-25: II lettura). Quale sicurezza maggiore di questa? Posso ripetere di Gesù: "Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla!". Significa attenzione a Lui, dialogo con Lui, prontezza a vivere la sua parola, testimonianza gioiosa e coraggiosa, disponibilità a soffrire per Lui e con Lui (cfr. 1 Pt 2, 20-25: II lettura), impegno ad accettare e a svolgere responsabilmente quei servizi nella Chiesa e nella società che Egli ci affida.
È il tema della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: "Chiamati a prendere il largo". Motivo ricorrente nel documento programmatico NMI, questa espressione si riferisce all'appello che Gesù rivolge ai discepoli perché gettino le reti e condividano la sua missione al servizio del Vangelo (cfr. Lc 5, 4ss). Un appello a realizzare l'icona evangelica del Pastore che "cammina davanti" alle sue pecore ed esse lo "seguono" ", attuando la propria specifica vocazione. La risposta a questo invito si costruisce nel dialogo con Cristo attraverso la preghiera e l'ascolto della sua parola. Chi infatti vive il Vangelo scopre qual è il compito specifico che Gesù intende affidargli, come afferma il Papa nel suo messaggio per la Giornata. Così, "i giovani sanno di aver bisogno di Cristo ma anche che Cristo ha voluto aver bisogno di loro". E gli adulti – genitori, educatori, sacerdoti, consacrati, catechisti - scoprono che è loro compito guidare i ragazzi e i giovani a discernere la loro vocazione. Che quanti Gesù chiama a consacrarsi in modo speciale a Lui nella vita sacerdotale, religiosa, missionaria, rispondano con fedeltà e gioia, dipende anche da te, dalla tua preghiera, dal tuo impegno.
Prova a recitare con calma e con attenzione il salmo responsoriale di questa domenica ("Il Signore è il mio pastore...") applicandolo alla tua relazione personale con Gesù.