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TESTO La fede pasquale, da nostalgia a memoria

don Maurizio Prandi

III Domenica di Pasqua (Anno A) (06/04/2008)

Vangelo: Lc 24,13-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,13-35

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Domenica scorsa ci siamo lasciati una definizione credo davvero molto bella della fede: la nostra è una fede pasquale, dove per fede pasquale intendiamo tutto ciò che di più concreto ci possa essere per avvicinarla alla nostra vita concreta. Dicevo: una fede incarnata, umanissima, una fede ferita, una fede non facile, una fede che paga il prezzo della fatica che accompagna una vita non sempre accolta, capita, riconosciuta... c'è come una fede dei super-uomini, incrollabile nell'adesione alla freddezza (e talvolta alla lapidarietà) dei dogmi, a ciò che viene imposto dall'alto. La sento però una fede come dire... disincarnata, lontana dalla vita e dall'esperienza degli uomini e delle donne di oggi. Una fede che diventa concetto, pensiero astratto, dottrina, è praticamente impossibile che possa diventare vita... Legato a questo allora mi piace molto il percorso che Gesù fa fare ai suoi discepoli e anche a noi in questo tempo di Pasqua e che se volete sono davvero tipici della fede così come la stiamo definendo: toccare e guardare... toccare e guardare, perché Gesù conosce bene il pericolo di avvicinarsi a Lui soltanto con nozioni e ragionamenti scolastici ed è per questo che rimanda ai verbi dell'esperienza, perché i percorsi nei quali entra solo la testa e non entrano le mani gli occhi e il cuore non portano da nessuna parte. La fede, la fede nel Signore Risorto, è scoperta anche per le mani, è scoperta anche per gli occhi, fa vibrare il cuore(A. Casati).

Potremmo quasi intitolare così questa parte di omelia: i segni di riconoscimento. Sono i più diversi... i due discepoli di Emmaus infatti raccontano di come hanno riconosciuto Gesù nello spezzare il pane, e Gesù per farsi riconoscere ha mostrato le mani e i piedi... lì c'è la prova. Certo la prova sono le ferite, ma i discepoli dovevano conoscere bene quelle mani e quei piedi. Gesù per farsi riconoscere sceglie le strade della semplicità e della povertà: spezzare il pane, e la strada della Croce: le ferite. Sono queste la traccia del suo martirio che lo accompagna nella sua nuova condizione di Risorto. E' bellissimo che la Risurrezione non cancelli la Croce, non faccia dimenticare la Croce, anzi... sono proprio le ferite che indicano la permanenza dell'amore. Gesù domenica scorsa ha fatto vedere le sue mani ferite ricordate... le stesse mani che hanno spezzato il pane, che hanno toccato la suocera di Pietro, che hanno guarito, che hanno creato (pensiamo al cieco nato e a come gli è stata donata-creata la vista), quelle mani che hanno lavato i piedi dei discepoli, quelle mani che hanno accarezzato, quelle mani che hanno stretto altre mani a loro volta ferite... A quelle mani il Padre ha affidato ogni cosa (perché nessuno le possa rapire dalla mia mano). Le ferite, che sono le ferite dell'amore che si dona, dicono che tutto quello che da Gesù è stato ricevuto, è stato anche dato al Padre, insieme alla vita del Figlio... ecco che la promessa di Gesù è stata mantenuta: nulla è andato perduto, ma tutto è stato custodito fino alla fine. Proprio quelle ferite che i due di Emmaus vogliono in un certo qual modo cancellare... sono incapaci di legare il crocifisso alla promessa della liberazione che loro intendevano in senso unicamente politico e glorioso. Ecco allora che Gesù fa compiere loro un percorso per così dire, a ritroso, un percorso che fa ardere il cuore nel petto e che li porta a riconoscere il limite della loro visione troppo terrena, troppo scontata, direi normale del Messia: noi speravamo che fosse lui a liberare Israele. E' quasi, scrive don Giuseppe Angelini, la confessione di un peccato, la confessione di una precisa attesa nei confronti di Gesù, attesa che però è sbagliata, perché speravano da Gesù altro rispetto a quello che lui aveva promesso di dare. Proprio per questo erano stati delusi dalla sua morte e non riuscivano a riconoscerlo nel momento in cui egli tornava accanto a loro. Qui mi pare di poter dire che comincia la fede pasquale, ovvero quella fede che ti consente come un passaggio, quello dalla nostalgia alla memoria. Percorrono una strada i due discepoli, un cammino. I pellegrini, quando tornavano da Gerusalemme, percorrevano proprio la strada di Emmaus, che tutti chiamavano, appunto, la via del ritorno... Per Cleofa e il suo amico però, questa è la via dell'abbandono, della delusione invincibile, della speranza delusa, della sconfitta. Di conseguenza Gerusalemme non è più il luogo della speranza, della partenza perché l'annuncio del Regno giunga fino ai confini del mondo... per i due discepoli Gerusalemme è diventato un punto di fuga. Tutto, per i discepoli, (e per noi), si gioca allora sulla memoria e sulla diversità che esiste tra questa e il semplice ricordo: conversavano di quanto era accaduto... ricordavano le cose passate in una forma che assume le sembianze della nostalgia. Ecco che, chiusi in un passato che oramai pare essere vuoto di promesse i due discepoli sono incapaci di cogliere la novità che nel presente si fa loro compagna di cammino. E' come se la nostalgia formasse in loro il carattere della ineluttabilità... sono solo capaci di frasi del tipo non c'è più niente da fare... oramai è tutto finito... impossibile tornare a sperare... si, le donne hanno detto qualcosa, hanno detto che gli angeli...ma è impossibile tornare a sperare... La nostalgia rischia di cancellare la speranza, di chiudere gli occhi, di impedire di vedere colui che invece è presente.

Anche questa settimana allora ci diamo un compito. Provare a capire se nella nostra vita c'è stato un momento in cui la delusione per qualcosa che è avvenuto ci ha portato a chiuderci in passato dominato dalla nostalgia. Nella luce dello Spirito del Risorto anche noi allora possiamo celebrare l'Eucaristia e coglierla come quello spazio di memoria in cui il nostro oggi, concretamente vissuto, si può caricare di attesa e di speranza nell'ascolto della Parola e nella condivisione del pane da Lui spezzato.

 

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