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TESTO Mangiare un pane di comunione con il Risorto e con i poveri

Il pane della domenica  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (25/05/2008)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

La mia carne è vero cibo, e il mio sangue vera bevanda

Nelle nostre famiglie i tavoli sono quadrati o rotondi. Gesù, da carpentiere creativo, ha inventato una tavola fatta a croce. Su questa si deve imparare a masticare per sfamare altri.

Nel sesto capitolo del vangelo secondo Giovanni sono descritti due giorni del carpentiere di Nazaret. Il primo giorno (vv. 1-21) è caratterizzato da due segni: il segno sulla terra (mattina) e il segno sul mare (sera). Il secondo giorno si svolge nella sinagoga di Cafarnao intorno al dialogo sul pane della vita (vv. 22-59) ed è, successivamente, segnato dalla crisi dei discepoli (vv. 60-71). Il passo specifico di oggi ci colloca nella seconda parte del capitolo che concerne il dialogo sul pane. Gesù offre tre affermazioni decisive e progressive: a) il pane si mangia con la fede (vv. 44-47); b) il pane dal cielo è carne per la vita del mondo (vv. 48-51); c) la carne e il sangue sono il pane di morte per la vita (vv. 53-58). I giudei hanno già mormorato contro Gesù perché ha affermato: "Io-sono il pane sceso dal cielo" (è invece un uomo con nome e cognome, con una storia!). Ora litigano tra di loro su come Gesù possa dare la sua carne da mangiare (v. 52). Il primo problema per loro è il mistero della carne (incarnazione) del Figlio (la sua origine), il secondo è il mistero della sua carne di morte per la salvezza: non comprendono né l'una né l'altra.

Gesù presenta a tutti la realtà di un pane che scende dal cielo e dà la vita (cfr. vv. 48-51), è la sua carne per la vita del mondo. Ciò che nutre il mondo, alla fine vuol dirci Gesù, è la sua carne data nella morte. Carne da masticare e bere per avere la vita eterna, cibo vero e bevanda vera: chi mangia e beve, rimane in Gesù e vive per lui. Nella sua morte per il mondo Gesù è principalmente pane di vita: il cibo eucaristico ripresenta la carne data per far vivere il mondo. Per intendere il messaggio è bene ricordare che il termine "pane" corrisponde al binomio "carne e sangue", e che al "credere" corrisponde il "masticare/bere".

Credere in Gesù, pane vivente, è in definitiva mangiare la sua carne e bere il suo sangue. L'uomo diventa ciò che mangia: assimilare Gesù significa essere in lui, diventare figli nel Figlio. Carne e sangue sono la croce del Figlio. Qui Gesù infatti darà il suo corpo e verserà il suo sangue. Il Figlio dell'uomo crocifisso è l'Agnello pasquale, cibo che fa uscire dalla schiavitù. La carne è la Parola fatta stile di vita e il sangue è lo Spirito (cfr. Gal 2,20).

L'eucaristia ci dice che Pane e Parola in Gesù non si contraddicono: la sua mensa è luogo dove si condivide nella relazione. Gesù stesso è stato tentato di staccare il pane dalla relazione, cioè di sfamarsi da solo ("Comanda che questa pietra diventi pane!"). Perciò l'eucaristia indica che il modo in cui ci si relaziona con lui/cibo dipende dal modo in cui ci si relaziona con gli altri. Il pane infatti nutre se mangiato in un clima relazionale, cioè nella compagnia degli uomini. L'eucaristia ci suggerisce anche che ogni relazione ha un momento drammatico, in cui si comprende che amare comporta in qualche modo morire: si mangia e si beve sempre dell'amore sacrificato di qualcuno. «Nella processione del Corpus Domini, accompagniamo il Risorto nel suo cammino verso il mondo intero.

E, proprio facendo questo, rispondiamo anche al suo mandato: "Prendete e mangiate... Bevetene tutti" (Mt 26,26s). Non si può "mangiare" il Risorto, presente nella figura del pane, come un semplice pezzo di pane. Mangiare questo pane è comunicare, è entrare nella comunione con la persona del Signore vivo. Questa comunione, questo atto del "mangiare", è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di colui che è il Signore, di colui che è il mio Creatore e Redentore. Scopo di questa comunione è l'assimilazione della mia vita alla sua, la mia trasformazione e conformazione a colui che è Amore vivo». Mangiare Gesù e vivere per lui, significa alla fine rinunciare a guidare la propria vita. Occorre mettere Gesù al posto del nostro "io" e non solo avere Gesù come modello da imitare (Benedetto XVI).

Solo in questo modo il cibarsi del suo corpo significherà sfamare i poveri. Ce lo esemplifica un piccolo aneddoto. Presso una giovane chiesa latino-americana un sacerdote nota che un bambino si è accostato all'eucaristia per la terza volta nello stesso giorno. Egli chiama il bambino in disparte e con amore lo esorta: "Gesù si riceve una sola volta al giorno". Il bambino alza gli occhi un po' colpevoli e un po' supplicanti verso il prete e dice: "Ma io ho fame".

"L'eucaristia pone così il problema della nostra vita sopra un gioco supremo d'amore, di scelta, di fedeltà, il quale gioco, se accettato da religioso si fa sociale. L'Amore ricevuto da Cristo nell'eucaristia è comunione con lui e per ciò stesso si trasforma e si manifesta in comunione nostra con i fratelli, effettivi o possibili quali sono tutti gli uomini per noi. Nutriti del Corpo reale e sacramentale di Cristo, noi diventiamo sempre più intimamente il Corpo mistico di Cristo: «il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1Cor 10, 16e ss.) (Paolo VI)."

Commento di don Giuseppe Masiero

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2007

 

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