TESTO Un cuore trafitto
don Marco Pratesi Il grano e la zizzania
IV Domenica di Pasqua (Anno A) (13/04/2008)
Brano biblico: At 2,14.36-41
1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
«Salvatevi da questa generazione perversa!» (v. 40). La generazione a cui Pietro si rivolge è ogni generazione, che nasce in qualche modo "storta" (questa la parola greca). Perché? Nel contesto è chiaro: quella generazione ha crocifisso il Messia, che Dio ha invece esaltato (v. 36). Più storta di così! Ha rifiutato e umiliato colui che Dio ha amato e glorificato. In questa scelta sbagliata "precipita", si concentra ogni dissenso e contrasto fra le vie di Dio e quelle umane (cf. Is 55,8).
Ogni generazione, tutti noi, siamo storti, in quanto discordanti e lontani da Dio. Senza bisogno di entrare nel campo della mistica, lo si può tranquillamente affermare: ogni generazione crocifigge il Messia. Quali sono i nostri criteri di scelta, quali le nostre vie? Non si sfugge. I criteri mondani portano a crocifiggere il Cristo, in qualunque modo egli si presenti: "via, toglicelo di torno, crocifiggilo" (cf. Lc 23,21). L'esame più severo e rivelatore è l'atteggiamento nei confronti di chi non conta, non ha nulla da darci e da opporci, di chi è in qualsiasi modo "povero".
In questo senso non è molto importante stabilire a chi precisamente vada attribuita la responsabilità della morte di Gesù, e non ha senso imputare agli Ebrei il "deicidio". Ognuno di noi potrebbe essere al posto di ognuno dei protagonisti della passione, dai soldati a Giuda. Essi sono in qualche modo rappresentati dell'umanità intera, incapace di accogliere la novità sorprendente di un Dio che si manifesta così. Non è quello che ci accade, forse ogni giorno?
Accorgersi di questa stortura non è scontato, non è farina del nostro sacco, ma dono, che nel testo di Atti è detto così: "si sentirono trafiggere il cuore" (v. 37, più semplicemente: "furono trafitti al cuore", "ebbero il cuore trapassato", Vulgata: conpuncti sunt corde). Avere il cuore trafitto è dono dall'alto. "Trafitto da un raggio di sole", dice il famoso verso di Quasimodo, ed è ben qui il caso, ma di un sole che è a sua volta il cuore trafitto del Cristo risorto. La devozione al Sacro Cuore è probabilmente ben più che una semplice devozione.
La tradizione cristiana ha chiamato questa esperienza, ma la parola italiana risulta piuttosto depotenziata, "compunzione". È dono essenziale, non per deprimerci o umiliarci, ma per scoprire fino a che punto siamo amati e perdonati. È dono, spesso legato a quello delle lacrime, che esercita una critica severa nel confronti di un cristianesimo sia cerebrale che sentimentalistico, i quali, entrambi, sono alla fin fine alienanti perché sganciati dalla vita.
In questa crogiolo muore l'orgoglio e nasce la docilità: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?» (v. 37). Questo: lasciarci battezzare nel Nome di Gesù, ovvero immergere nella sua misericordia, accogliendo in essa il dono del suo Spirito, salvezza alla nostra stortura.