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TESTO Gesù è il Messia

don Marco Pratesi  

III Domenica di Pasqua (Anno A) (06/04/2008)

Brano biblico: At 2,14.22-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,13-35

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Nel discorso immediatamente seguente la Pentecoste (At 2,15-36), Pietro fa numerosi riferimenti all'Antico Testamento (Gl 2,28-32; Sal 16,8-11; 2Sam 7,12-13; Sal 110,1). Pietro (o, se preferiamo, Luca) mette in luce una continuità nel piano di Dio, una unità del suo progetto. Per limitarci alla pericope liturgica odierna: nel salmo 16 Davide parla non di sé ma del Messia e della sua risurrezione.

Quando si legge la Bibbia occorre tener presente che il discorso di Dio, dalla Genesi all'Apocalisse, è uno. La fede dei patriarchi, dei profeti, di Davide è dunque la nostra (e viceversa)? Certo. Non solo i Padri della Chiesa ne sono (di certo) convinti, ma anche gli Apostoli, anche Pietro, anche Paolo. Per loro, ebrei, non c'è contrasto tra la loro fede ebraica e la loro fede in Gesù. Riconoscendo in lui il Messia essi non pensano affatto di cambiare religione. Credono invece che in lui si sia realizzata la promessa fatta ai padri, la loro speranza (cf. At 13,23.32; 26,8). Questo non toglie che l'Antico Testamento conservi una sua consistenza anche senza riferimento a Cristo, sia per un ebreo (non cristiano) che per un cristiano che voglia esplorare il senso nativo del testo. Così, per restare al nostro brano, certamente il Salmo 16 (salmo responsoriale) offre una speranza che mantiene un suo interesse anche senza relazione a Gesù. Ma Gesù rimane, scoperto o meno, il fondamento sul quale tale speranza si basa; o, se si preferisce, il suo vertice; o anche: il suo cuore. Può capitare di non scorgere questo fondamento, ma solo quanto su di esso sta; nondimeno il fondamento è là, e senza di esso quella speranza sarebbe infondata, o comunque meno fondata.

La fede cristiana nasce dall'interazione di questi due poli: l'esperienza degli Apostoli e la Scrittura ebraica. Questa ha permesso di cogliere la portata della Pasqua di Gesù, e a sua volta si è illuminata di senso nuovo proprio nel confronto, anche duro, anche scioccante, con essa. I due poli vanno tenuti insieme, nella chiara consapevolezza che la vicenda di Gesù si spiega nel confronto con l'Antico Testamento e che questo prende il suo senso ultimo solo alla luce di quella.

Si perde questa chiarezza sia nella tendenza, propria di certo Cristianesimo "moderno" ma poco illuminato, a contrapporre l'Antico al Nuovo Testamento; sia in quel "rispetto" alla fede ebraica, per il quale l'adesione a Gesù come Messia è al più una delle possibili opzioni: non si vuole "scippare" all'Ebraismo le proprie Scritture cristianizzandole. È curioso che tale volontà di "tutela" delle Scritture ebraiche arrivi allo stesso risultato della loro svalutazione: la separazione dei due Testamenti. Le conseguenze per la fede cristiana sono devastanti (orripilanti alcune "proposte pastorali" sulla prima lettura nella Messa e sulla preghiera dei Salmi): la sua riduzione a gnosi, e la perdita della centralità e unicità della Pasqua di Cristo. Sia allora lecito dirlo con parresìa, ovvero senza peli sulla lingua: Gesù, il crocifisso risorto, è il Messia Salvatore di tutti (cf. At 2,36).

 

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