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TESTO Commento su Giovanni 20,19-31

don Maurizio Prandi

II Domenica di Pasqua (Anno A) (03/04/2005)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Viviamo questo momento in comunione particolare di preghiera con tutta la Chiesa, con gli occhi ma soprattutto con il cuore rivolto a Roma. Pervasi, credo, prima di tutto da un gran senso di gratitudine per tutto quello che in Giovanni Paolo II° da Dio c'è stato donato. Sento che poche volte come in questi giorni possiamo dire vere le parole che abbiamo ascoltato dalla prima lettura: erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. In questi giorni tanto abbiamo ascoltato del magistero di G.P. II e ben visibile è stata l'unione e la preghiera dei cristiani e non solo loro... Da un lato mi dico... e pensare che dovrebbe essere questa la "normalità" per noi... sento che proprio qui ci viene fatto un altro preziosissimo dono: G.P. II ci rinvia alla nostra normalità, fatta di ascolto, unione fraterna, frazione del pane, preghiere... una normalità che purtroppo vivo (forse viviamo) in casi straordinari, troppo isolati, eccezionali. Eppure è questa l'assiduità che ci viene chiesta, non altre assiduità.

Possiamo allora riscoprirci chiesa così come la liturgia della parola oggi ce la descrive: Convocazione di uomini e donne liberati attorno a Gesù Cristo Risorto.

Insisto su questo "liberati" perché mi pare un elemento qualificante. Liberati dalla paura, paura della morte, della solitudine, della persecuzione: viene Gesù, in modo misterioso, e la paura si trasforma in gioia. Pace a voi! E' la pace di Gesù che è liberazione dall'angoscia della morte che turbava il cuore dei discepoli e li teneva prigionieri della paura. Questa pace è il primo dono del Risorto, dono che ci consente un atteggiamento credente di fronte alla realtà: la paura è l'atteggiamento di chi percepisce la realtà e gli altri come ostili e pensando ai discepoli viene da dire che per forza rimanevano chiusi nel cenacolo... pensando a noi e alle nostre paure di fronte alla morte o ai cambiamenti che la vita spesso ci domanda, per non dire di quelli che il vangelo ci domanda, viene da domandarsi perché tanta ritrosia, perché tanta fatica nell'affidarsi e nel vivere quella gioia che è fiducia e pace con la quale il credente guarda il mondo che è intorno a lui.

Ma poi c'è un altro tipo di libertà alla quale siamo chiamati secondo il libro degli Atti: la libertà che proviene dalla comunione fraterna, la quale è manifestazione visibile della libertà dei figli di Dio. Erano perseveranti nella comunanza della loro vita. Mi piace che questo termine in greco perché dice come questa comunione, prima di essere distribuzione o partecipazione di beni, è condivisione dell'esistenza: i liberati dalla paura di morte hanno la possibilità di vivere insieme con rapporti gratuiti realizzando così un ideale di amicizia e di fraternità. Un ideale non di privazione dei beni, ma di partecipazione dei beni; libertà dal possesso ossessivo e idolatrico che nasce dalla paura della morte e che porta all'accapparramento. Vivo qui una forte domanda allora proprio sul mio ministero, sulla responsabilità che Dio attraverso il vescovo mi ha affidato, che sento, sulla scorta di questo testo, quella di costruire comunità di persone che si amano e non soltanto distributori di servizi religiosi... come legare le persone tra di loro? Come cancellare le invidie, le seti di potere, le voglie di protagonismo? E' una domanda che rimane aperta per me ma che trova, nella seconda parte del vangelo una risposta che può essere anche più che parziale.

Il secondo dono che il Risorto fa ai discepoli infatti, è quello dello Spirito Santo. Viene donato lo Spirito con un gesto, quello del soffiare sui discepoli, che non può non farci pensare alla Creazione dell'uomo. Nello Spirito è la vita, è la vera vita, la vita alla quale siamo chiamati ad attingere, ad abbeverarci. Ed è quella vita che ci spinge alla reciproca accoglienza, è la vita che spinge al perdono, la vita che fa spazio alle sorelle ai fratelli, a Dio. La vita che mi impedisce di giudicare e che mi chiede continuamente di convertirmi e di perdonare. Mi piace tantissimo il mostrare le piaghe da parte di Gesù legato alle parole del perdono. Come dire che le ferite rimangono e che perdonare lo si può fare ma solo se siamo disposti a pagare un prezzo. Ogni volta che perdoniamo non rendiamo vano il sacrificio di Gesù, ogni volta che perdoniamo non rendiamo vano il suo perdono.

Un'ultima sottolineatura che mi pare possa significativamente informare le nostre comunità è lo stile del risorto, che non è certamente da ascrivere alle categorie del trionfalismo o della potenza come tanti potrebbero essere tentati di pensare. Gesù risorge in modo umile e il cammino di misericordia e di perdono fatto nella passione e nella morte, pari pari lo ripropone al momento della risurrezione.

La risurrezione poi, è tutta nelle piaghe, nelle ferite non cancellate, non guarite; queste ci dicono la continuità tra la croce e la risurrezione: il pensiero va a tutte quelle situazioni umane legate ai più poveri nelle quali il Signore mostra a noi le sue piaghe, come a dire che questi sono i segni della risurrezione, gli unici segni attraverso i quali siamo chiamati a credere profondamente nella risurrezione. Oggi, in modo particolare, Giovanni Paolo II° ci mostra quelle ferite... attraverso di lui incontriamo il Risorto.

 

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