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TESTO Commento Giovanni 20,1-9

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Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno A) (23/03/2008)

Vangelo: Gv 20,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Carissimi, che cosa significa per noi essere riuniti in questo giorno di Pasqua?

Che cosa significa per la nostra vita quotidiana celebrare questa festa religiosa?

Qual è il segreto della Pasqua per farne esperienza, per gioirne pienamente?

Ludwig Andreas Feuerbach (1804 – 1872) è stato uno tra i più influenti critici della religione. La religione, secondo il suo pensiero, ha un'origine pratica: l'uomo avverte la propria insicurezza e cerca la salvezza in un essere personale, infinito, immortale e beato, cioè in Dio. Dunque «Non è Dio che crea l'uomo, ma l'uomo che crea l'idea di Dio» afferma Feuerbach (pronuncia "Foierbac").

Quando studiavo filosofia alle superiori, rimasi molto affascinato da questa teoria. Dio è la proiezione all'esterno del mio inconscio o della mia mente. Dio è il nome che io attribuisco all'insieme dei miei desideri, delle mie paure e insicurezze più profonde. Sono io che faccio esistere Dio per risolvere tutto ciò che non riesco a spiegarmi o per appoggiare su qualcuno la mia ansia del vivere e del morire.

Avevo diciassette anni e questa teoria (sviluppata ulteriormente con la scoperta di Nietzsche e di Freud) ebbe il potere di scuotere la mia fede nelle sue fondamenta. Quel Dio in cui credevo e che riverivo andando a Messa quasi tutte le domeniche, come voleva mia madre, non c'era più. Quella religione al sapore di tradizione ed eredità del catechismo, fatta di preghiere prima di addormentarsi o prima di affrontare il compito in classe, era svanita d'un tratto come l'infanzia. Come era successo per Babbo Natale, un giorno, all'improvviso, "Dio è morto". Ne fui addolorato ma anche contento.

Qual è il segreto della Pasqua per farne esperienza di vita?

Mi sono accorto che per tanto tempo (anche dopo aver ritrovato la fede) ho creduto in un Dio frutto dei miei pensieri, delle mie aspettative, del mio io punitivo o del mio senso del dovere. Un Dio da tenersi buono, con cui contrattare un aiuto pagandolo in qualche modo. Un Dio fatto così - che non esiste ma è semplicemente un totem davanti al quale mi prostro - è giusto che cada e vada in frantumi con la Pasqua. Così accade spesso che la nostra fede vacilli o addirittura crolli dinanzi alla notizia di una brutta malattia, oppure di fronte ad un'alluvione o un terremoto, alla violenza o all'omicidio di un innocente. Non si può né capire né vivere la Pasqua, se non inserendola nel dramma della nostra vita.

Fare Pasqua è dunque, prima di tutto, accettare un Dio Amore Crocifisso, che muore e viene sepolto... Accettare un Dio che non risponde alle mie attese trionfalistiche o alle mie continue pretese miracolistiche ("Speravamo che fosse Lui a liberare Israele!"). Fare entrare la Pasqua nella nostra vita significa accettare l'insuccesso e il fallimento, il rifiuto e l'incomprensione, l'impotenza e l'umiliazione, la sofferenza e la morte, come condizione naturale e passaggio obbligato della vita. Non potrò gioire della Pasqua, cioè della morte e risurrezione di Cristo, se prima non accetto la morte della religione a mio uso e consumo, la religione del super-uomo che non deve mai soffrire o quella di un Dio a mia immagine e somiglianza che agisca sempre come io penso che debba agire.

Qual è il segreto della Pasqua per gioirne pienamente?

Mi sono accorto che tante volte e a tante persone non riesce di correre e di entrare nel sepolcro vuoto. Non riesce di vedere la realtà con l'intelligenza delle Scritture (cfr Vangelo). D'interpretare i fatti in modo diverso da quello previsto dalla propria ragione ("Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!"). Così facendo non si permette al proprio passato di "aprirsi" ad un presente-futuro nuovo e ci si ritrova "chiusi" nel sepolcro. Si rimane sepolti all'interno di una scelta sbagliata o ci si accontenta di fuggire via dal sepolcro vuoto verso un ripiego immediato, prolungando così il dolore di una "perdita", che sia di un progetto o di un rapporto. Se, invece, accettassimo fino in fondo la legge della Pasqua! Potremmo vedere risorgere con Cristo quello stesso progetto o rapporto in un modo tanto diverso quanto più bello di come lo avremmo mai immaginato. Non si può né capire né gioire della Pasqua, se non inserendola nella poesia della nostra vita.

Fare Pasqua è, dunque, anche accettare che un Vero Uomo sia risorto, che il suo sepolcro sia aperto e vuoto. Che esista, cioè, una dimensione misteriosa dell'agire salvifico di Dio talmente perfetta da oltrepassare la nostra intelligenza. Del resto cosa hanno pensato i discepoli dinanzi alla croce? «Tutto è fallito». Cosa ha detto invece Gesù dinanzi alla stessa realtà? «Tutto è compiuto». Dio non vuole la croce ma dal momento che esiste, a causa del peccato, Egli l'ha fatta sua e in questo modo l'ha trasformata da uno strumento di tortura in uno strumento di salvezza. Per questo unico e meraviglioso motivo, una "disgrazia" può trasformarsi in una "grazia" più grande. Una brutta "crisi" può trasformarsi in una grandiosa "opportunità". La "morte" di una realtà/situazione può sempre trasformarsi in una "rinascita" della stessa realtà/situazione con caratteristiche completamente nuove e più belle di prima. Basta far entrare in contatto la mia croce con quella di Gesù. Accettare di essere sepolto con Lui nella morte della mia volontà umana per aprirmi alla sapienza della sua volontà divina.

La Pasqua secondo la Parola di Dio e l'Enciclica Spe Salvi

Celebrare la Pasqua significa uscire dal "sepolcro" dello scoraggiamento.

La parola "sepolcro" ricorre sei volte nel breve racconto del Vangelo che abbiamo ascoltato. Il sepolcro è l'espressione visibile dell'elemento più inquietante della nostra vita; è l'espressione materiale dell'aspetto più ineluttabile della nostra natura... Me lo diceva sempre, con un sorriso, il mio anziano zio Amleto: «Di 'certo' nella vita c'è solo la morte». Ebbene, dalla Pasqua di Cristo in poi, di 'certo' nella vita non c'è solo la morte ma anche la risurrezione. «Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura, e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future» (Spe Salvi, 7).

Celebrare la Pasqua significa affrontare la realtà così com'è.

«Lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti»– I Lettura.

Si tratta di un fatto oggettivo, esterno a me, a cui io partecipo attivamente. Così anche la realtà della mia vita può essere "oggettivamente" difficile e perfino mortificante. La Pasqua di Gesù, cioè la sua morte e risurrezione, trasforma il mio modo di viverla nel presente! «Il presente, anche un presente faticoso può essere vissuto o accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Spe Salvi, 1).

Celebrare la Pasqua significa cambiare qualcosa della propria vita.

«Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!» – II Lettura.

La realtà della Pasqua non è qualcosa da sapere o credere "dentro di me"! Gesù Risorto mi comunica la forza e il desiderio di vivere una nuova vita e mi chiede di aprirmi a un nuovo senso della vita: quello del suo vangelo. «Il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita (Spe Salvi, 2).

Celebrare la Pasqua significa riunirci nel giorno di Pasqua (e ogni domenica).

Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo – Salmo.

La Pasqua non è un fatto individuale ma comunitario! Con la Comunione al Corpo di Cristo Risorto nutro una caratteristica della mia vita: quella di essere in relazione con gli altri. «Le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro, concatenate l'una con l'altra. Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri, nel male come nel bene. La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri» (Spe Salvi, 9).

Commento a cura di don Giampaolo Perugini

 

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