TESTO Beati i poveri in spirito
mons. Vincenzo Paglia Diocesi di Terni
IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/02/2008)
Vangelo: Mt 5,1-12a

In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».
Gesù salì sulla montagna. Dall'alto si può vedere la vita con un orizzonte largo, quello che spesso nella vita ordinaria perdiamo. Gesù parla guardando l'orizzonte della vita; non vuole sia piccolo e limitato a noi stessi. Quante volte infatti riduciamo tutto al nostro piccolo orizzonte: esiste quello che vedo e tocco io, perché vedo ed esisto solo io, le mie sensazioni, quello che ho, che vorrei, che mi è successo. L'orizzonte si restringe e si riempie di paure, di rancori, di inimicizia. Non dobbiamo tuttavia andare molto lontano per trovare il monte ove Gesù parla per aiutarci a vedere in maniera più ampia e profonda la nostra vita ed il futuro. La Liturgia che celebriamo è il monte santo dove ascoltiamo il Signore che parla. È il pulpito della sua parola e l'altare della sua mensa verso i quali tutti dobbiamo alzare gli occhi e soprattutto il cuore. "Beati", ossia "felici".
Gesù nel suo primo discorso parla di felicità; non fa un elenco di doveri, di opere da compiere, di condizioni da rispettare, di regole da osservare. Parla di come essere felici, ossia contenti e in pace, sazi e con il cuore risolto, senza rimorsi o ombre; spiega come essere pieni di amore per gli altri. Gesù sa che in ognuno di noi è nascosta una domanda di felicità. Gli uomini non la considerano per gli altri, perché pensano solo alla propria felicità e così poco la cercano e la trovano negli altri. Ma Gesù prende sul serio questa domanda di felicità di ciascuno, che magari si esprime in modi anche complicati, silenziosi, contraddittori. Non disprezza la ricerca di una vita piena dove nessuno porti via quello cui vogliamo bene. Gesù aveva davanti agli occhi ormai da più giorni quella folla di persone che lo seguivano; possiamo immaginarlo mentre le interroga e le ascolta. Ne ha grande compassione. Ed è proprio da questo sentimento che nasce questa pagina evangelica. Vedendo quella gente stanca e sfinita sale sul monte, Gesù inizia a parlare della felicità.
Chi è felice? Chi è davvero beato? Il profeta di Nazareth vuole proporre la sua idea di felicità e di beatitudine. Già i salmi avevano abituato i credenti di Israele al senso della beatitudine: "Beato l'uomo che spera nel Signore, beato l'uomo che ha cura del debole, beato l'uomo che confida nel Signore". Quest'uomo può dirsi felice. Gesù continua in questa linea e dice beati gli uomini e le donne poveri di spirito (e non vuol dire: ricchi di fatto, ma poveri spiritualmente), e poi beati i misericordiosi, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, i perseguitati a causa della giustizia ed anche coloro che sono insultati e perseguitati a causa del suo nome. Parole così non le avevano mai udite quei discepoli. E a noi che le ascoltiamo oggi paiono molto lontane, da noi e dal nostro mondo. Sono davvero parole irreali. Si, potremmo anche dire che sono belle, ma certamente impossibili. Eppure, non è così, per Gesù. Egli vuole per noi una felicità vera, piena, robusta, che resiste agli sbalzi di umore e che non soggiace ai ritmi della moda o delle esigenze dei consumi. In verità, quel che a noi sta più a cuore è vivere un po' meglio, un po' più tranquilli. E nulla più. Non ci va di essere "beati" davvero. La beatitudine perciò è diventata una parola estranea, troppo piena, eccessiva; è una parola così forte e così carica da essere troppo diversa dalle nostre soddisfazioni spesso insignificanti.
Beati i poveri di spirito, quelli che non coltivano un'idea alta di sé e non nascondono la loro debolezza; felici i misericordiosi, che danno senza calcolo; beati gli afflitti che sanno piangere con chi piange e non scappano davanti al male; beati i miti che non rispondono al male con il male ed hanno un cuore disarmato e paziente; beati gli affamati di giustizia che non accettano lo scandalo del male; beati i puri di cuore, ossia coloro che sono senza malizia e sospetti; e beati anche i perseguitati a causa della giustizia, come pure quelli che sono insultati e perseguitati a causa del suo nome. Queste parole di Gesù non riguardano il futuro. Gesù parla di una vita vera nell'oggi. E sembra suggerire il momento in cui si è felici. Quando siamo felici? Quando siamo stati miti; quando non abbiamo misurato l'amore ed abbiamo avuto misericordia; quando siamo stati vicini a chi era afflitto e ci siamo afflitti per lui. Sì, siamo stati felici, perché l'amore ha vinto il pianto ed il male. E lì abbiamo incontrato la compagnia buona dell'uomo più vero ed umano di tutti, Gesù, che ci ripeteva con dolcezza ed autorità: "Beati". Cerchiamo la felicità per gli altri: saremo motivo di gioia per loro e saremo beati noi. Perché non si è felici da soli. Davvero "beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano".