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TESTO Commento su Matteo 5,1-12a

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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/02/2008)

Vangelo: Mt 5,1-12a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

3«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

4Beati quelli che sono nel pianto,

perché saranno consolati.

5Beati i miti,

perché avranno in eredità la terra.

6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

7Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

8Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

9Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

10Beati i perseguitati per la giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

L'UMILE È VERAMENTE UOMO

La parola "umile" deriva dal latino "humus", che significa "terra". Potremmo dire che l'umile è una persona che sa di essere "terrestre", sa di vivere sulla terra, di essere plasmato di terra, di ritornare un giono alla terra.

Nella Bibbia l'umile è colui che conosce veramente se stesso, sa bene i propri limiti, non si valuta più del dovuto.

Nella Scrittura l'umile è dunque l'unico, autentico, realista. E se la parola "uomo" deriva, in ebraico, proprio da "terra", allora è chiaro che solo l'umile (chi ha consapevolezza di venire dalla terra) è veramente un uomo.

Gli altri, quelli che si valutano più del dovuto, hanno dimenticato la loro condizione, non sono più umani.

Tra pochi giorni cominceremo la Quaresima e la Chiesa ci ripeterà, nel rito penitenziale delle ceneri: "Ricordati che sei humus e in humus ritornerai!".

Potremmo dire anche: "Ricordati che, per tua propria condizione, per il fatto di essere umano, sei chiamato all'umiltà.

Ricordati che la tua condizione umana è una condizione umile".

Nelle Fonti francescane si narra di come S. Francesco, trovandosi alla Porziuncola e sentendo che "sorella morte" stava arrivando, chiese ai suoi frati di essere deposto nudo, sulla terra. Morì disteso sulla nuda terra, sentendo la terra col suo corpo, stringendola con le mani. Egli aveva davvero una coscienza profonda della propria condizione di uomo e di creatura: ritornava a "sora nostra madre terra", da cui era stato tratto.

Nel suo cuore aveva la coscienza che solo Dio è tutto nella vita dell'uomo: "Deus meus et omnia!".

La liturgia di oggi ci fa riflettere su questo tema così importante della vita cristiana: l'umiltà. Essa è considerata, nella tradizione della Chiesa la madre di tutte le virtù.

Come nella corona del Rosario c'é un filo che permette ai grani di stare insieme, come in una magnifica collana esiste un sostegno nascosto che regge e fa apparire la bellezza di tutte le perle, così è l'umiltà nella vita del cristiano: essa è il filo sottile, che sostiene e unisce tutte le altre virtù.

Nelle letture della Messa odierna l'umiltà ci viene presentata più che come frutto di una conquista dolorosa, come una naturale condizione umana, da mantenere sapientemente per giungere a Dio.

In particolare, le tre letture ci propongono tre punti di vista, che potremmo chiamare: l'umiltà della quantità, l'umiltà della qualità, l'umiltà della sostanza.

L'UMILTÁ DELLA QUANTITÁ

Spesso nella Scrittura troviamo ripetuto questo concetto: per Dio non è importante la quantità, anzi, facilmente la quantità, il numero, le manie di grandezza, diventano un serio ostacolo per capire il progetto di Dio sulla storia.

Ci sono molti esempi nella Bibbia, che ci dimostrano come, per Dio, il numero non conti nulla e spesso sia perfino un problema, nell'attuare i suoi disegni.

Uno dei più significativi si trova certamente nel libro dei Giudici, dove si racconta la storia di Gedeone in guerra contro i Madianiti.

"Dio disse a Gedeone: 'Il popolo che sta con te è troppo numeroso perché io consegni Madian nelle vostre mani. Israele potrebbe gloriarsi contro di me dicendo: è la mia mano che mi ha liberato'" (Gdc 7, 2). Gedeone è chiamato a fare una selezione, a trattenere con sé "un resto". In questo modo, proprio attraverso la coscienza della propria piccolezza, Israele può riconoscere che la vittoria viene solo da Dio. L'umiltà è, qui, riconoscimento della realtà, cioè della propria quantità. Proprio questo è affermato nella prima lettura odierna, dal libro del profeta Sofonia. Si parla ugualmente di un "resto di Israele" che pone la propria speranza non nel numero, ma nel nome del Signore, cioè nella sua azione. L'umiltà viene qui presentata come un atto di fede in Dio, e non come un confidare nella quantità.

Anche oggi la Chiesa è chiamata a questa continua conversione: la ricerca dell'umiltà, il rifiuto della logica dei numeri. La Chiesa, ciascuno di noi, è chiamato ad appoggiarsi non tanto sulle strutture umane e sulle certezze che provengono dalla quantità, ma piuttosto a "porre in pratica i suoi precetti, praticare la giustizia, porre la propria speranza nel Signore". Anni fa in Italia, con un sistema politico in cui un piccolo partito poteva fare da ago della bilancia e decidere il destino del Paese, era diventata famosa l'esortazione al realismo di un famoso politico: "I voti non si pesano, ma si contano".

Oggi, meditando la Parola, potremmo dire il contrario: "I cristiani non si contano, ma si pesano".

Dio non guarda il numero, ma l'umiltà, cioè la coscienza del proprio limite che, sola, può generare la fiducia vera, la giustizia, il rifiuto dell'iniquità. Questa umiltà ha un grande peso ai suoi occhi, un grande valore.

L'UMILTÀ DELLA QUALITÀ

La seconda lettura ci parla invece del profilo umano della primitiva comunità cristiana di Corinto.

Noi non abbiamo notizie precise, dati certi, circa le comunità cristiane dei primi secoli: non sappiamo esattamente quanti fossero i cristiani. Sappiamo però di che qualità erano, nel senso che conosciamo un po' il loro profilo sociale. Tra essi c'erano pure dei ricchi e persone abbienti, ma la maggioranza erano persone semplici, ordinarie.

Gli studiosi si sono meravigliati, ad esempio, del linguaggio usato da alcuni Padri della Chiesa nelle omelie ai fedeli: hanno osservato che essi, pur essendo persone molto colte, usano un linguaggio semplicissimo, popolare, a volte quasi rozzo, nella predicazione alla gente. È questa la cosiddetta lingua della evangelizatio pauperum: il linguaggio che loro usavano per evangelizzare i poveri, la comunità cristiana, formata nella grande maggioranza da persone semplici.

S. Paolo ripete oggi questo pensiero: "Non ci sono tra voi molti saggi, non molti potenti, non molti nobili...". Sembra ripetere le parole di Gesù: "Ti benedico, Padre, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate agli umili".

Viene riproposto lo stesso punto di vista della prima lettura: "Dio ha scelto ciò che nel mondo è senza importanza e disprezzato... perché nessuno possa gloriarsi davanti a lui", cioè perché nessuno diventi non-umano, perché nessuno si allontani dalla sua condizione di umiltà. Perché nessuno possa dire che la rivelazione di Dio è frutto di un pensiero umano: essa, al contrario, è un'invenzione originale e unica dell'amore di Dio.

Se nella prima lettura l'allontanamento dall'umiltà poteva essere causato dalla quantità, nella seconda esso appare come possibilmente causato dalla qualità delle persone.

Anche qui sentiamo un richiamo forte e attuale per noi oggi. La Chiesa è chiamata ad annunciare Gesù Cristo, e questi crocifisso. Il suo annunzio non è basato su discorsi persuasivi di sapienza umana, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza. I cristiani non sono chiamati a testimoniare una sapienza umana o una filosofia di vita, ma il loro rapporto personale con Gesù di Nazareth, un rapporto che si trasforma in carità, servizio, umanità.

"Bisogna che la verità rinasca ogni giorno dalla nostra carne e sangue, perché non si cristallizzi in ideologia" (E.Mounier). Bisogna che i cristiani mantengano la qualità del loro rapporto personale con Gesù, l'umiltà, cioè la loro umanità perché il cristianesimo non si riduca a morale, a pura corrente di spiritualità o a sapienza di vita, ma possa cambiare la storia dal di dentro.

L'UMILTÁ DELLA SOSTANZA

Il Vangelo ci presenta il manifesto dell'identità cristiana, le Beatitudini.

Anche qui, al primo posto c'é l'umiltà, condizione di tutte le altre Beatitudini.

Cosa significa, infatti "Beati i poveri in spirito"? La miglior esegesi la troviamo nelle altre due letture della Messa: poveri in spirito sono coloro che "confideranno unicamente nel nome del Signore" (prima lettura), coloro che sanno che solamente "Gesù Cristo è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e liberazione di Dio" (seconda lettura). La povertà di spirito dovrebbe essere il naturale riconoscimento di ciò che siamo: della nostra creaturalità, della nostra sostanza. Siamo piccoli. E Dio è grande.

Ciò che è sostanziale purtroppo non ci viene naturale: è difficile fidarci completamente di Dio

Povero in spirito è chi si fa come un bimbo e si fida di Dio come di un papà: "Lasciate che i bimbi vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno dei cieli".
Beati i bimbi, perché di essi è il Regno dei Cieli.

Povera in Spirito è Maria: "Sia fatto di me secondo la tua volontà".

Povero in spirito è Gesù nei Getsemani: "Padre, non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu".

Povera in spirito è Madre Teresa di Calcutta, che non sente l'amore di Dio, ma continua a fidarsi.

I poveri in spirito sono gli umili, quelli che sono stati al loro posto sulla terra.

A loro Gesù promette che saranno al loro posto anche in Cielo.

Per diventare celesti è necessario, quindi, essere veramente umani.

Commento a cura di padre Alvise Bellinato

 

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