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TESTO Omelia per l'8 luglio 2001 - 14a dom. T. Ordinario Anno C

Totustuus  

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (08/07/2001)

Vangelo: Lc 10,1-12 .17-20 (forma breve: Lc 10,1-9) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,1-12.17-20

In quel tempo, 1il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11“Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.

17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Forma breve (Lc 10,1-9):

In quel tempo, 1il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

NESSO TRA LE LETTURE

Cercare in tutto il fine: questa frase può sintetizzare i testi liturgici. Il fine della missione dei settantadue non è il successo, ma che "i loro nomi siano scritti nel cielo" (vangelo). L'Isaia post-esilico vede anticipatamente il fine di tutti i suoi sogni: la città di Gerusalemme che riunisce tutti i suoi figli, come una madre (prima lettura). L'esistenza cristiana non ha altro fine se non appropriarsi della vita di Cristo in tutta la sua realtà storica, specialmente nel mistero della croce. È ciò che ci insegna san Paolo con la sua parola e con la sua vita (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

1. Inscritti nel libro della vita. I 72 discepoli di Gesù, simbolo dei cristiani sparsi per il mondo, in quanto 72 sono tutti i popoli della terra (cf Gen 10), sono contenti della missione compiuta e si recano da Gesù per raccontargli le loro prodezze missionarie. Gesù li ascolta, ma allo stesso tempo li fa rendere conto di qualcosa di importante: le imprese missionarie non hanno valore in se stesse, ciò che realmente vale e che ci deve rallegrare profondamente è il nostro destino eterno con il Dio della vita. Questa ricerca gioiosa del vero fine dell'esistenza, spiega e dà senso alla gioia, in sé legittima e ragionevole, per i successi apostolici, così come dà senso alle difficoltà e alle avversità connaturali alla missione cristiana. Il discepolo di Gesù, in effetti, non predica la pace messianica, predica in mezzo a un mondo non poche volte ostile e restio ai valori del Regno, predica avvalendosi e ponendo la sua fiducia, più che nei mezzi umani, nella forza misteriosa di Dio. Indubbiamente, il successo non è un elemento essenziale nel bagaglio del missionario.

2. Madre di consolazione e di pace. Quando l'Isaia post-esilico scrive questo bellissimo testo, la diaspora giudaica è una grandezza estesa per tutto l'impero persiano e per il mediterraneo. Il profeta, sotto l'azione dello Spirito divino, sogna un popolo unito e unificato nella città mistica di Gerusalemme. Con occhio all'erta, guarda verso il futuro e prevede poeticamente il momento gioioso della riunificazione. Lo fa ricorrendo all'immagine di una madre di famiglia che riunisce attorno a sé tutti i suoi figli, tiene teneramente nelle sue braccia il più piccolo e lo alimenta con il proprio petto. Tutti, riunendosi di nuovo con la madre, si riempiono di consolazione e si sentono come inondati da una grande pace. Questa Gerusalemme, madre di consolazione e di pace, simboleggia il Dio della consolazione, simboleggia Cristo, che è la nostra pace, simboleggia la Chiesa, nel cui seno tutti siamo fratelli e dal cui amore sgorga la pace di Cristo, che dura per sempre. La Chiesa, quella di oggi come quella di sempre, è nella sua essenza, sebbene non sempre nei suoi uomini, madre di consolazione e di pace per tutti i popoli.

2. Porto nel mio corpo il tatuaggio di Gesù. Per un cristiano, ci dice san Paolo, non ha valore l'essere circonciso o no, ciò che vale è essere una nuova creatura. Tutto deve essere subordinato al conseguimento di questo fine. San Paolo è cosciente di averlo conseguito, dato che porta nel suo corpo il tatuaggio di Gesù. Cioè, porta in tutto il suo essere un segno dell'appartenere a Gesù, come lo schiavo portava un segno di appartenenza al suo padrone, o, come nelle religioni misteriche, l'iniziato portava in sé un segno di appartenenza ai suoi dèi. Come Paolo, così debbono essere tutti i cristiani, per questo può dire loro: "Siate imitatori miei, come io lo sono di Cristo". Questo è, inoltre, il fine della missione di Gesù Cristo: che l'uomo si appropri della redenzione operata da Gesù e giunga così ad essere e a manifestare agli altri che è appartenenza di Dio. Dopo venti secoli di cristianesimo, quanti portano inciso su se stessi il tatuaggio di Gesù Cristo?

SUGGERIMENTI PASTORALI

1. Cristiano, ossia, missionario. L'immagine del cristiano che va a messa, che crede nei dogmi della fede e adempie ai comandamenti, è incompleta e un po' antiquata. Ciò non basta, perché essere cristiani è avere una missione e realizzarla con zelo ed ardore nelle occupazioni della vita e nell'amplissima gamma di compiti ecclesiali oggi esistenti. Ancor di più, il senso di missione è lo stimolo più forte per credere e vivere la fede, per compiere i comandamenti di Dio e della Chiesa. Se qualcuno non è convinto del fatto che essere cristiani equivalga e vivere in chiave di missione, gli raccomando di leggere i documenti del Concilio Vaticano II e il catechismo della Chiesa cattolica. In quest'ultimo si legge: "Tutta la Chiesa è apostolica in quanto essa è 'inviata' in tutto il mondo; tutti i membri della Chiesa, sia pure in modi diversi, partecipano a questa missione. 'La vocazione cristiana, infatti, è per sua natura anche vocazione all'apostolato" (CCC 863). Se amiamo fedelmente la Chiesa, non dubitiamo che la migliore maniera di esprimerle il nostro amore è mediante il nostro spirito missionario. E 'missionario' significa coscienza viva di essere inviato; sebbene questo invio possa essere al vicino di casa, al cliente nel lavoro, all'emigrante che incontro alla fermata dell'autobus o al semaforo, alla giovane coppia che si prepara al matrimonio. Al giorno d'oggi essere missionario non è unicamente partire per un paese lontano a predicare la fede e lo stile di vita di Cristo, è anche un compito che si porta a compimento nel proprio quartiere, nelle piazze della città e perfino tra le pareti di casa propria.

2. La missione è più forte della paura. Parafrasando Giovanni Paolo II, potremmo dire: "Non abbiate paura di essere missionari". Perché, a dire il vero, alcune volte almeno ci attanaglia il timore, il rispetto umano, il 'che penseranno' e il 'che diranno'. È umano provare paura, ma la missione deve superare e sorpassare i nostri timori. Il calciatore non ha paura di parlare di calcio, né il medico o il maestro di parlare della loro professione. Dobbiamo aver paura, noi cristiani, di parlare di Cristo: della sua persona, della sua vita, della sua verità, del suo amore, del suo mistero? La fede e la missione cominciano nel cuore, ciò è vero, ma debbono terminare nei fatti e sulle labbra. Tutti dobbiamo vincere qualsiasi dimostrazione di paura. Gli adulti, per non chiamare la paura prudenza. I giovani, per non credersi esseri di un altro pianeta tra i loro coetanei. Soprattutto, voi giovani (laici, religiosi e religiose, sacerdoti) che siete inviati da Cristo come apostoli dei giovani. È la vostra ora! La lascerete passare? Anche voi, maestri ed educatori cristiani, che avete nelle vostre mani l'infanzia e l'adolescienza, siate missionari nella scuola! Potremo permettere che la paura prevalga sulla nostra missione cristiana? La nostra missione deve essere la nostra corona e la nostra gloria.

 

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