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TESTO Andiamo a Betlemme!

don Marco Pratesi  

Natale del Signore - Messa dell'Aurora (25/12/2007)

Vangelo: Lc 2,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,15-20

15Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

Narrato l'annunzio angelico, l'attenzione dell'evangelista Luca si concentra sui pastori, i cui comportamenti sono descritti con dovizia. Prima di tutto, essi si mettono a parlare tra loro, ed è un dialogo nel quale si chiarisce il da farsi: è doveroso attraversare la campagna fino a Betlemme. Se il Signore ha notificato questo evento - che per loro ha per il momento la forma di una parola (v. 15, CEI: "vediamo questo avvenimento", dove "avvenimento" è in greco "parola") - e se ha dato loro anche un segno preciso - un bimbo in una mangiatoia (2,12) - allora bisogna mettersi in movimento per andare a vedere. Essi lo fanno "in fretta" (v. 16), come Zaccheo che in tutta fretta scende dal suo albero dietro l'invito pressante e urgente di Gesù che passa (cf. Lc 19,5-6). Adesso quello che conta è infatti proprio questo: riuscire a trovare questo segno. Il racconto ci porta subito al momento del ritrovamento: "andarono in fretta e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino nella mangiatoia". Non si parla qui di alcuna "adorazione dei pastori", ma di un riconoscimento e di un annunzio. Appena trovata quella famiglia si mettono subito a notificare quanto è stato detto loro circa il bambino, suscitando lo stupore degli astanti. Solo della reazione di Maria ci viene detto però qualcosa in particolare: ella ripone tutto nell'intimo, cercando di comporre i singoli elementi, come le tessere di un mosaico, in un quadro unitario. Infine, come tutti quelli che nel Vangelo saranno toccati dalla salvezza di Dio, i pastori escono di scena lodando e glorificando Dio per quanto avevano udito e veduto, e perché quanto avevano udito avevano potuto anche vederlo.

È qui delineata l'esperienza cristiana. Essa nasce da una parola annunziata in un contesto comunitario, che chiede la mobilitazione delle varie risorse umane e, dando dei segni, esige che ci si metta in cammino per vederli realizzati. Essere cristiani significa precisamente fare l'esperienza di vedere quello che abbiamo udito (cf. Sal 48,9). In questo ci è esemplare il vecchio Simeone, persuaso nello Spirito che non sarebbe morto prima di aver veduto il Messia annunziato (cf. Lc 2,26). A questo punto si condivide l'esperienza della fede, i fatti e le parole della fede, in un grande, comune impegno "simbolico", di decifrazione del messaggio di Dio, di cui Maria è icona, immagine di e per tutta la Chiesa, chiamata nel suo insieme a leggere nella storia la presenza e l'azione del Signore, ovvero la sua gloria. Ecco finalmente scaturire la lode e il riconoscimento di quella gloria. Ed è questa l'ultima parola, il vertice dell'esperienza cristiana, chiamata a farsi pura lode e canto di ringraziamento al Signore.

Una comunità nella quale camminare, una parola da ascoltare, dei segni da decifrare (dentro e fuori la liturgia), una gioia da cantare: è l'esperienza cristiana. I pastori di Betlemme esortano anche noi: "andiamo a vedere questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere!"

 

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