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TESTO Beati i poveri

don Marco Pratesi  

Natale del Signore - Messa della Notte (25/12/2007)

Vangelo: Lc 2,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,1-14

1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:

14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli

e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

"Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e sulla terra pace agli uomini che egli ama" (v. 14). Questo il celebre inno cantato dagli Angeli nella notte di Betlemme. Come è noto, questo testo è la fonte delle prime parole dell'antico inno che si recita all'inizio della Messa: "Gloria a Dio nell'alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà!". "Alle parole degli angeli, fin dal secolo II furono aggiunte alcune acclamazioni: 'Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa'; e più tardi altre invocazioni: 'Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, che togli i peccati del mondo...', sino a formulare un arioso inno di lode che venne cantato per la prima volta nella Messa di Natale e in seguito in tutti i giorni di festa. Inserito all'inizio della Celebrazione eucaristica, il Gloria sta a sottolineare la continuità esistente tra la nascita e la morte di Cristo, tra il Natale e la Pasqua, aspetti inscindibili dell'unico e medesimo mistero di salvezza." (Benedetto XVI, udienza generale del 27 dicembre 2006).

La formulazione dell'inno liturgico testimonia una diversa comprensione del testo lucano, che tra l'altro presenta significative varianti nella tradizione manoscritta. Luca scrive, letteralmente: "agli uomini del beneplacito/della benevolenza". La questione (che si ripropone anche in altri passi paolini, si veda 2Ts 1,11; Fil 2,13) è dunque: si tratta della benevolenza di cui gli uomini sono oggetto (quindi proveniente da Dio), o di cui essi sono soggetto ("uomini di buona volontà")?

Intanto, chi sono questi "uomini della benevolenza"? Luca ha in mente tutti gli uomini? La nuova traduzione CEI sembra suggerirlo, mettendo - alquanto furbescamente - una virgola: "sulla terra pace agli uomini, che egli ama". Dal punto di vista del testo, questa soluzione non pare accettabile. Evidentemente, ha prevalso l'intento "pastorale" di evitare l'idea di un Dio che fa preferenze: "pace agli uomini, perché Dio li ama". Non si può certo negare che Dio ami tutti, ma non pare questo il senso. (Temo che anche qui emerga la tentazione di addomesticare il testo evangelico in base ai nostri schemi, come nella nuova traduzione del Padre Nostro.)

Chi sono dunque questi uomini? A mio avviso occorre rifarsi a Lc 10,21: "Gesù esultò nello Spirito Santo, e disse: ti lodo, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai savi e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, perché così ti è piaciuto". Qui ricorre la medesima espressione che fa riferimento al beneplacito divino, il suo gratuito favore. Esso è dato ai piccoli, a chi umanamente non ne ha alcun titolo. Lo stesso vale per l'annunzio natalizio. Prova ne sia che esso si rivolge prima di tutto ai pastori, primi testimoni della gloria di Dio, i quali sono appunto dei poveri, gente insignificante, addirittura di cattiva reputazione. È l'inizio di quella preferenza per i piccoli e i poveri che Gesù dimostrerà ampiamente nel suo ministero, e che Luca evidenzierà così fortemente da farne uno dei motivi caratterizzanti il suo vangelo.

Questo è già molto importante e consolante: l'annunzio è rivolto ai poveri. Ma, evidentemente, Dio viene sulla terra perché essi prendano coscienza di essere amati gratis e accettino questo amore. Proprio questa accoglienza li costituisce "uomini buoni", ovvero "uomini di buona volontà". Essi infatti sanno di non aver alcun titolo di merito di fronte a Dio, si sanno amati, accolgono questo amore. Non viene a mente la Vergine Maria? Zaccheo? Non tutti gli altri di cui leggiamo nei Vangeli? Questo amore scoperto e accolto li fa buoni, e sollecita da essi una vita nuova. Adesso essi devono impostare l'esistenza su una nuova base: l'amore gratuito di Dio. Adesso sono al tempo stesso oggetto e soggetto dell'amore gratuito: oggetto in quanto amati da Dio, soggetto in quanto portatori attivi di quella grazia.

Ecco che essi sono nella pace: "vera pax est a Dei voluntate non dividi et his solis quae Deus diligit delectari" insegna S. Leone Magno (Serm. 29,1): "vera pace è il non distaccarsi dalla volontà di Dio, e gioire solo di quelle cose che Dio ama". Lo sappiamo o no, non ci può essere altra pace. Siamo nella pace quando siamo in sintonia con lui, se attuiamo il suo progetto. "E 'n la sua volontade è nostra pace", dice Dante con la consueta forza (Paradiso III, 85).

Per questo bisogna essere poveri: perché i ricchi, i sapienti, i grandi, hanno già i loro progetti. Per loro il Cristo non è ancora venuto. Per loro? Per noi, nella misura in cui siamo ancora convinti dei nostri programmi umani, ai quali non siamo disposti a rinunziare. No, per accogliere il bambino di Betlemme non abbiamo niente da conquistare, piuttosto da perdere: perché solo nella povertà si può accogliere questo folle Dio in fasce.

 

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