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TESTO Le opere della Vita

Marco Pedron  

III Domenica di Avvento (Anno A) - Gaudete (16/12/2007)

Vangelo: Mt 11,2-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,

davanti a te egli preparerà la tua via.

11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

Questo vangelo ci presenta il grande dubbio del Battista. Giovanni era un uomo deciso, fermo e sicuro di sé. Ma ad un certo punto pone in dubbio e in discussione tutto. Giovanni Battista aveva le idee chiare sul Messia che doveva venire e su come sarebbe venuto. Ma ad un certo punto attraversa una profonda crisi spirituale: Colui che viene non è come se l'aspettava e se l'immaginava. Credergli o no?, questo è il suo dilemma e il suo dubbio.

Il Battista era stato arrestato da Erode (4,12) e imprigionato nella fortezza di Macheronte, sul cucuzzolo della sponda orientale del Mar Morto, a centinaia di chilometri dalla Galilea. Nonostante la distanza le voci "delle opere" (11,2) di Gesù arrivano anche lì. Sono stati i suoi discepoli a portargli le notizie dell'operato di Gesù. Ma i discepoli di Giovanni non condividono la linea di Gesù sul digiuno, pratica che distingueva ogni autentico fedele giudeo (9,14). I discepoli di Giovanni non comprendono la novità che avviene in Gesù: è terminata l'epoca della religione con i suoi riti e le sue pratiche ascetiche ed è iniziato un nuovo rapporto con Dio che si basa sull'amore incondizionato da parte del Padre. Gesù stesso chiamerà tutto questo il "vino nuovo da mettere in otri nuovi" (9,17).

Il regno sognato da Giovanni dove il Messia avrebbe tagliato ogni albero cattivo (3,10-12) e sarebbero rimasti solo i giusti, non si realizza con Gesù. Gesù non è così!

Giovanni Battista aveva annunciato un Gesù molto severo, giudicante: per lui il Signore avrebbe rimesso a posto tutto ciò che c'era di negativo e di male nel mondo; premiati i giusti, condannati i corrotti; un fuoco che brucia ciò che non serve e una scure che taglia ed elimina tutto ciò che nel mondo è guasto.

Il Battista, allora, si aspettava un Messia, stile Rambo, Terminator; uno forte, potente, deciso, intransigente: "Facciamo il bene con la forza".

Anzi Gesù stesso dichiara che lui "non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (9,13); tocca i lebbrosi (impuri per la Legge), le donne e le prostitute; chiama fra i suoi discepoli un esattore delle imposte (9,9) e guarisce anche i pagani (8,1-17). Gesù non è come Giovanni se l'era immaginato: Lui ama e accoglie tutti, al di là che siano giusti o no.

Giovanni allora è in crisi e non sa più cosa pensare di quell'uomo che lui stesso aveva visto come "Colui che doveva venire". Allora gli fa una domanda chiara e precisa. "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?" (11,2). Più che una domanda è un ultimatum.

Gesù non risponde direttamente ma dice: "Annunciategli, ditegli, ciò che voi vedete e udite" (11,4).

Sono sei azioni come i sei giorni della creazione e nessuna di esse è un giudizio di condanna. Ciascuna di esse è un'opera di salvezza, di guarigione per l'uomo. Sono le opere della Vita, di Dio.

Gesù a Giovanni Battista attraverso i discepoli dice: "Questo è quello che accade. Cosa puoi pensare? Cosa puoi capire?". Gesù non gli dice "Sì, sono io colui che deve venire" oppure "No, non sono io". Gesù risponde con un collage di citazioni del profeta Isaia che rimanda a quello che fa. "Quello che faccio, che provoco, che succede, che accade, ti può portare ad una conclusione?". Perché da quello che uno fa', provoca, innesca, si può capire e intravedere, chi è.

I discepoli vanno da Giovanni e gli dicono: "Guarda Giovanni, le persone vanno da Gesù e guariscono. Vanno da lui ammalate nel corpo e guariscono, ma davvero guariscono; tormentate nello spirito, in preda a crisi e a depressioni enormi, ne escono e tornano a sorridere; vanno da lui gentaglia, peccatori e Lui li accoglie, li ama e questi cambiano vita; Lui non è come te, Lui accoglie tutti e chi si lascia accogliere si trasforma, diventa un altro, non è più lui. La gente si riempie di luce, di vita, di calore. Cosa vuoi che ti diciamo Giovanni: non è come ce lo aspettavamo, eppure attorno a lui questi miracoli accadono. Se non fosse da Dio potrebbe fare tutto questo?".

E' molto semplice capire se un uomo incontra il Signore. Chi incontra Gesù, cambia vita. Chi incontra Gesù non può più essere lo stesso di prima.

La ricetta di Gesù è semplice ma scientifica: luce per gli occhi e per l'anima (giornate di sole, all'aria aperta; consapevolezza, conoscenza); movimento per le gambe e per il cuore (sport, passeggiate, incontri, preghiera); contatto per la pelle (abbracci, carezze, amore, contatti e relazioni profonde); suono per le orecchie e per l'intelligenza (niente rumori, chiacchiere ma suoni di pace, di voci amiche, che ci amano, della natura, canti e musiche dell'anima, parole d'amore).

E così i discepoli di Giovanni Battista gli descrivono le meraviglie ("le opere") che vedono.
I ciechi vedono: ma quanta meraviglia ci circonda!

Siamo immersi nella bellezza... se solo aprissimo gli occhi! Le stelle della sera, il tramonto, i volti dei bambini, le lacrime di mia moglie, la luce negli occhi di chi mi ama, il sole nel volto di certi uomini.

Un giorno, era questo periodo, a dei ragazzi delle superiori abbiamo dato questi temi: "La bellezza delle foglie che cadono; la bellezza di un albero spoglio; lo stupore di fronte al cielo azzurro; il brivido del vento freddo; la pace al di là dei rumori, ecc". All'inizio tutti brontolavano: "Ma che roba è, questa? Ma sono temi da dare?". Poi si sono messi, ciascuno per sé, chi davanti ad un albero, chi a guardare un albero spoglio, chi a scrutare il cielo, chi a sentire il brivido del freddo e hanno scritto pagine e pagine meravigliose. È stata un'esperienza di poesia e di anima meravigliosa.

Basta aprire gli occhi! Fermati, concediti tempo e guarda! Non c'è altro da fare.

La gente corre e continua a correre sempre di più; cerca qualcosa che la stupisca, che la meravigli; cerca un'emozione forte che le riempia l'animo; c'è chi "si fa di coca" pur di trovare eccitazione. Ma la vita è già eccitante non serve provocare altre emozioni. Noi siamo un fenomeno in fibrillazione: gli atomi delle nostre cellule sono così "eccitati" che sembrano pazzi da quanto si muovono e danzano.

La vita va contemplata non comprata; va guardata non presa; va assaggiata, gustata non posseduta.

Quando noi guardiamo una foresta ci chiediamo quanto legname potremmo ricavarne; se vediamo le stelle alpine ce le portiamo a casa; se vediamo qualcosa di bello ce lo vogliamo comprare; se vediamo una bella donna la vorremmo possedere, la vorremmo tutta per noi. Guardiamo per prendere. Guardiamo ma non vediamo. Siamo ciechi e crediamo di vederci.

Vedere è assaporare e gustare tutto, ma sapere che non si possiede nulla. Abbeverarsi di tutto ciò che si vede, che entra nei nostri cuori, nei volti, come la luce entra nelle nostre case: con rispetto. La luce entra ma non possiede, non cambia, non sporca, non rovina. Entra ed esce senza alterare nulla.

A noi questo fa ridere: di ben altre cose dobbiamo occuparci noi! Ma perché poi siamo così tristi? Perché poi siamo così depressi? Perché poi ci lamentiamo sempre? Perché poi ci condanniamo a vivere rassegnati? E se tutto questo non ci riempie, non ci stupisce, allora nulla ci potrà riempire. Se questo non ci riempie è perché siamo ancora ciechi o, come direbbe Gesù, ammalati.

Non è malattia dell'anima non guardare mai negli occhi, in silenzio, senza dire nulla, guardandosi non gli occhi ma dentro (cioè nell'anima), il proprio amore, chi ami, il tuo compagno di vita?

Non è malattia dell'anima non osservare meravigliati il proprio figlio che gioca, che dorme, che fa le sue conquiste, che cresce, che diviene, che ride o che piange?

Non è malattia dell'anima non vedere la sofferenza del proprio figlio, i suoi blocchi, le sue paure, non rendersene conto, neppure considerarle, neppure sentire la sofferenza che vive?

Non è malattia dell'anima non vedere, neppure rendersi conto che si è sprezzanti, giudicanti, "cattivi", che dentro si ha un demonio che assale chi c'è vicino e tutti quelli che incontriamo?

Non è malattia dell'anima non rendersi conto, non vedere che non solo stiamo invecchiando, ma che soprattutto stiamo morendo dentro, vuoti di vitalità, di slanci, di passione?

Non è malattia dell'anima non vedere le cose come stanno e trovare sempre giustificazioni, "che sono gli altri", "che siamo sfortunati", "che la vita va così", "che se avessimo un altro carattere", "che sono state le persone che abbiamo incontrato" o trovare sempre dei motivi validi per non vedere e affrontare mai la realtà ("è difficile; quando avrò tempo; domani; non ce la faccio")?

Non è malattia dell'anima essere indifferenti ai problemi di un pianeta che muore di fame, che muore d'inquinamento, che muore per gli interessi economici, che muore sostanzialmente per l'indifferenza di noi tutti?

Gli storpi camminano: ma quanto possiamo crescere nella vita!

Quanto possiamo camminare, quanto grandi e splendidi possiamo diventare! Non so dove andrò, ma so che posso fare molta strada. Non so dove andrò, ma so che sarà interessante.

Quanta gente sa che dovrebbe andare in una direzione, fare delle scelte, intraprendere quel determinato viaggio o cammino, ma la paura blocca le gambe e la paralisi impedisce ogni movimento.

Molte persone vorrebbero sapere tutto e subito; vorrebbero soluzioni immediate, a basso prezzo; vorrebbero sapere cosa devono fare della loro vita, con i loro figli e in ogni situazione. E, invece, la vita non offre ricette o preparati da eseguire. La vita offre solo strade che se uno vuole può percorrere. Tocca alle mie gambe alzarsi e andare, camminare, lasciarsi coinvolgere.

Quante persone vorrebbero fermarsi, non muoversi più, rimanere ancorate a ciò che sono e sanno! Quante persone lo fanno e decretano la morte dello Spirito che vive in ogni creatura.

Alcune persone sono rimaste attaccate al passato; alcune si sono fermate a vent'anni fa o a qualche fatto successo tanti anni fa e non si sono più riprese. Alcuni hanno gettato la spugna. E' la morte!

"Ah, padre, da quella volta che la fidanzata mi ha lasciato non mi sono più ripreso". Sono passati dieci anni! "Alzati e cammina".

"Ah, padre, da quello sgarbo non sono più stato io". "Alzati e cammina".

"Ah, padre, me l'ha combinata troppo grossa mio figlio. Non sono più io". "Alzati e cammina".

Mi lamentavo sempre che non ce la facevo a camminare, che la vita era troppo difficile e faticosa; poi un giorno ho visto uno senza gambe che camminava... e allora ho capito.

Gandhi disse: "Volevo solo liberarmi da un'ingiustizia... e ho liberato l'India!".

Musil diceva: "Non so dove sto andando, ma sto andando lontano". Chi incontra il Signore cresce, diviene, si trasforma, va molto più lontano di dove neanche pensasse e fa cose che non avrebbe neanche mai detto. Chi segue il Signore diventa qualcosa che non avrebbe mai detto, neppure nelle sue più rosee speranze; chi segue il Signore diventa, realizza l'essere figlio di Dio (tutti lo siamo, ma siamo chiamati poi a diventarlo).

I lebbrosi: ma quanto possiamo amarci nella vita!

La lebbra è quella cosa che ti esclude, quella cosa per cui tu ti escludi, per cui ti tiri fuori dalla corrente della vita.

C'è una persona meravigliosa: solare, simpatica, profonda, ma dentro di sé ha sempre un senso profondo di inferiorità. Per cui in gruppo, tra amici, non si fa mai avanti, se ne sta sempre fuori, in disparte. Ci vuole "un amore", qualcuno che la ami, che la spinga ad emergere, che le dica: "Vieni fuori; tira fuori la bellezza che c'è in te; non ti nascondere; fidati ed esci".

C'è un ragazzo che è balbuziente. Una persona bellissima, piena di doti e di talento. I suoi amici lo prendono in giro e lui si rinchiude in casa. "Vieni fuori, non ti nascondere!". Per sua fortuna (non è la Mano della Vita?) un giorno ha trovato un angelo di amico che gli ha dato la fiducia di non vergognarsi.

Una donna è l'ultima di cinque fratelli maschi. Arrivata inaspettata, è sempre stata sopportata dai genitori. Lei era "l'ultima", era una donna, era la piccola "cosa vuoi sapere tu; parlerai quando sarai grande", così oggi lei si vergogna di tutto. Quando c'è da parlare si blocca; se qualcuno la guarda, arrossisce; se è in gruppo è la donna invisibile. Per sua fortuna un giorno un uomo si è innamorato di lei e lei ha ripreso fiducia in sé. Adesso è un'altra. Davvero l'amore ci fa guarire dalle nostre insicurezze e dalle nostri "pesti" interiori.

In un gruppo di adolescenti, sui diciotto anni, (e sappiamo bene come ci si mette in mostra a quest'età) è emerso che tutti avevano un grande bisogno di essere abbracciati, accarezzati e toccati. Ma anche a trenta, a quaranta, a sessanta o a ottant'anni abbiamo bisogno di quella cosa che ci fa vivere, che ci fa sentire importanti, voluti, accettati e accolti: l'amore!

Ho sentito un giorno due signore che parlavano e dicevano: "I bambini bisogna non accarezzarli troppo altrimenti si viziano!". Un bambino (e le sue cellule) vive di contatto!

Quanti abbracci possiamo scambiarci! Quante carezze possiamo donarci! Quanti sguardi possiamo incrociare! Quanta tenerezza c'è nelle nostre mani e nel nostro corpo! L'amore, le coccole, l'affetto, il contatto, l'abbraccio (senza sessualizzare ogni cosa come fa la società) è la medicina più naturale che ci sia. Elimina ogni peste. Vi ricordate quando eravate piccoli e avevate paura? Cosa facevate (se si poteva fare!)? Andavate dalla mamma e dal papà e in quell'abbraccio e in quel contatto si ritrovava la pace e la fiducia. E quando gli altri bambini vi prendevano in giro? Si andava dalla mamma che ci accoglieva, ci coccolava e ci fa sentire belli e meravigliosi. E quando si piangeva perché ci si era sbucciati le ginocchia? Si andava dalla mamma perché ci mettesse l'Acqua Ossigenata, ma soprattutto perché ci abbracciasse e ci tenesse nel suo petto (quella sì era acqua ossigenata!)! Forse che non abbiamo più paura? Che non ci sentiamo più soli o derisi? Che non soffriamo più? L'amore fa guarire più di tutte le medicine messe insieme. L'amore scaccia le malattie del corpo e dello spirito. L'amore salva la vita.

La nostra società sessualizza tutto, basta guardare le pubblicità in tv: sono tutte allusive. E, invece, abbiamo bisogno di recuperare il linguaggio del corpo, dell'amore, quello semplice, affettivo, quello che alimenta l'anima e che riscalda il cuore.

La lebbra è aver bisogno d'amore, aver la capacità d'amare e non riuscire ad amare ed ad essere amati. La maggior parte della gente soffre di "solitudine": le agendine telefoniche sono piene di numeri di persone, per uscire si hanno tanti amici e locali, ma poi ci si sente vuoti e di quello che sei veramente non ne puoi parlare con nessuno. Quando sei nel fondo dell'abisso, poi, non ti puoi concedere a nessuno e non c'è nessuno che ti possa accogliere, capire, abbracciare, accompagnare.

I sordi: ma quanto possiamo sentire nella nostra vita!

Che fiducia grande possiamo avere così da sentire ogni cosa, così da non nasconderci più nulla, così da non soffocare più niente di tutto quello che ci è successo, di tutto quello che ci è capitato. Chi incontra il Signore può ascoltare tutto, ogni voce interna, anche la più tremenda o cruda. Chi incontra il Signore ha una tale forza, fiducia, coraggio, che può sentire tutto.

Una donna si sentiva sempre "in difetto" di vivere e non si spiegava il perché. Poi un giorno ha "risentito" la sua venuta a questo mondo e il "no" di sua madre che non la voleva. Terribile all'inizio; ma per fortuna credeva. Anche se sua madre non l'aveva voluta, Dio la voleva, eccome!

Può sentire tutto l'amore del creato, tutto il bisogno delle persone, tutta la sofferenza dei nostri cuori e tutto l'odio che si racchiude nei nostri sguardi e nelle nostre parole. Chi incontra Dio può sentire tutto e non venire distrutto.

Sentire vuol dire essere sensibili, avere un cuore, non passare indifferenti di fronte a ciò che si vive; sentire vuol dire percepire ciò che sta dietro la scorza e l'epidermide delle persone; sentire vuol dire dar voce alla vita che c'è in me, al dolore che mi porto; sentire è percepire che ciò che faccio fa bene o fa male, aiuta o ferisce, fa vivere o fa morire, fa essere o fa sparire.

Molte persone dicono: "Io non faccio nulla di male!". Tu senti così, è vero. Ma non fai nulla di male non perché tu non lo faccia ma perché neppure senti, neppure sei consapevole del tuo agire, neppure ti rendi conto del tuo agire, di quanto ferisci, condizioni, limiti e opprimi.

"Se non la smetti ti do una sberla che ti "rabalto" (rovescio)!". Ma non senti, non vedi, la paura di tuo figlio?

"Guarda che ti portiamo all'orfanatrofio se lo fai ancora!": ma non vedi il terrore nei suoi occhi?

"Questo mondo fa schifo, non ci si può fidare di nessuno e non vale la pena di impegnarsi!": ma non senti quanto sei arrabbiato dentro?

"Io faccio le mie cose e non guardo in faccia nessuno!": ma non senti quanto sei orgoglioso?

"Son contento che gli sia andata male!": ma non senti quanto odio e risentimento hai dentro?

I morti: ma quanta vita possiamo vivere!

Chi incontrava il Signore diceva qualcosa del genere: "Questo sì che è vivere! Adesso sì che si vive! Quella che prima chiamavamo "vita" era solo "morte"; questa sì che è vita!". Chi seguiva il Signore lo faceva non perché doveva, ma perché solo adesso che lo aveva incontrato sentiva di vivere, di amare, di provare emozioni, di aver fiducia in sé e nella Vita.

La lieta notizia è che non siamo poveri, che possiamo vivere qualcosa che va al di là delle nostre aspettative adesso, qui su questa terra e non solo in paradiso. Possiamo vivere, vibrare, espanderci, amare, sentirci grati ed essere felici, e tutto con una tale intensità da piangere, da fremere, da mancare l'aria.

Perché strisciare per terra e vivere come dei vermi se abbiamo le ali per volare? Chi si fida di Dio vive così. Così si può! Non ti attrae? Non ti affascina? Non senti come puoi vivere?

Questo è certamente un criterio per definire se un uomo è stato incontrato da Dio. Chi non è guarito da qualcosa, chi non è cambiato in qualcosa, non può conoscere il Signore. Il Signore Iddio è vita, liberazione, guarigione, salvezza, roccia, apertura. I primi cristiani andavano ad annunciare solo questo: "Lui è morto ma adesso è risorto. Noi eravamo morti, ma adesso viviamo". Se tu non hai sperimentato una delle opere di Dio non lo puoi conoscere; sì hai un'idea, un pensiero, ma non sai chi è Lui, quanto sia Forte, Intenso, Energia, Vita, Luce e Roccia.

C'è un uomo che si dice cristiano. Un amico gli chiede: "Hai letto la Bibbia?". "No!". "Hai studiato il vangelo?". "No!". "Preghi ogni giorno?". "No!". "Ti confessi?". "No!". "E che razza di cristiano sei?". "Guarda, prima bevevo, imprecavo, ce l'avevo con la società e con il mondo. I miei figli erano terrorizzati di me e mia moglie non vedeva l'ora che uscissi di casa. Poi un giorno ho sentito la Sua voce che mi diceva: "Io ti amo anche se sei così". Da quel giorno io sono cambiato; non bevo più, ho un lavoro stabile, i miei figli sono contenti del mio arrivo e mia moglie non vede l'ora del mio rientro".

Dio non è un libro, un pensiero, un teorema. Dio è vita!

L'ultima esortazione è per il Battista: "E beato colui che non si scandalizza di me" (11,6). Il Battista è scandalizzato da Gesù perché non lo riconosce: Gesù è un uomo di rottura con la tradizione giudaica e con la tradizione religiosa dei Padri a cui anche il Battista, nella forma più ortodossa e pura, si rifaceva.

Gesù parlando del Battista è chiaro e preciso: "Che cosa siete andati a vedere?" (11,8). Giovanni è un uomo vero, libero, franco; non è uno compromesso con il potere, uno che fa il doppio gioco, uno che vende fumo; non è uno di quelli "che portano morbide vesti e che stanno nei palazzi del re" (11,8), quelli che parlano e parlano, ma non si compromettono e non si espongono mai. No, no, "Giovanni è veramente un grande profeta, il più grande" (11,9-10).

E' una grande attestazione di stima e un grande riconoscimento da parte di Gesù.

Eppure anche Giovanni deve scegliere: comprendere e accettare che un'epoca si è chiusa e che una nuova si è aperta oppure attaccarsi al passato ("il più piccolo del regno dei cieli è più grande di lui" 11,11).

Il vangelo si chiude e non sappiamo cosa farà il Battista.

Le cose finiscono! Viene Natale: qualcosa sta per nascere. Ma perché qualcosa nasca qualcos'altro deve finire.

Bisogna allora seppellire ciò che è finito, ciò che non c'è più, ciò che esiste solo nella nostra fantasia, ma non nella realtà. Perché qualcosa di nuovo emerga, qualcosa di vecchio deve andarsene.

Allora io prego per me: "Fa' o Signore che io non mi attacchi alle cose morte, finite, esaurite, chiuse, passate; fa' che io sia sempre in contatto con il presente e con la realtà. E se qualcosa non ha più ragione d'esserci, perché non ha più senso, perché non c'è più niente, perché è sorpassata, perché è finita o chiusa, fa' che io la lasci andare. Che io possa vivere la vita e non la morte. Se lascerò andare ciò che è morto avrò spazio nuovo per ciò che sta per nascere. E sarà, di nuovo, Natale!".

Pensiero della settimana
Chiamato o non chiamato, Dio sarà sempre presente.

(Scritta sulla porta d'ingresso della casa di Jung a Zurigo)

 

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