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TESTO Commento su Luca 14,25-33

don Daniele Muraro  

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (09/09/2007)

Vangelo: Lc 14,25-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,25-33

In quel tempo, 25una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

"Noi uomini siamo fragili, ragioniamo tra mille dubbi e incertezze. A stento possiamo immaginare le cose del mondo; le scopriamo a fatica, anche quelle che sono a nostra portata... Ma le cose del cielo, chi mai ha potuto esplorarle?" Pressappoco così si esprimeva nelle sue considerazioni il Re Salomone nella prima lettura. Non dobbiamo intendere le sue parole come un invito a lasciar perdere la riflessione sulle realtà spirituali, quanto come una constatazione sulla nostra condizione umana: da una parte aspiriamo ad un pieno compimento della nostra esistenza e d'altra parte non riusciamo da soli a raggiungere ciò di cui sentiamo il bisogno.

Al di sopra della materialità terrena si trova il mondo dello spirito, al quale appartiene anche la nostra anima, difficile da percepire, ma altrettanto reale delle cose che cadono sotto i nostri sensi e più importante di loro.

L'uomo per sua natura tende all'infinito, aspira alla verità e alla bellezza, si coinvolge nel mondo con la libertà, viene istruito dalla voce della coscienza, comprende il senso del bene morale e ricerca la felicità. Attraverso queste esperienze come altrettante fessure egli percepisce i segni della propria anima spirituale, irriducibile alla materia, la quale non può avere la propria origine che in Dio solo.

Il valore di una gemma nobile sta nella sua fioritura, ma questo si realizza solo se splende il sole. Come un bocciolo che si apre alla vista unicamente sotto l'effetto della luce solare, anche l'anima ha bisogno di una luce superiore che la illumini.
Perciò l'uomo si interroga sull'esistenza di Dio.

Nella prima lettura la meditazione di Salomone si cambia in discorso rivolto a Dio: "Nessuno ha conosciuto la tua volontà se non eri tu a dargli la sapienza, se dal cielo non gli mandavi il tuo Spirito Santo. Così gli abitanti della terra han potuto correggere il loro modo di vivere, hanno imparato quel che ti piace e furono salvati per mezzo della sapienza."

Questo colloquio con Dio si trasforma un po' alla volta in preghiera. Ne abbiamo un esempio nel salmo responsoriale di oggi, dove il credente dice: "Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore!".

In realtà Dio supera ogni creatura. Le parole umane restano sempre al di qua del Mistero di Dio. Occorre dunque purificare continuamente il nostro linguaggio da ciò che ha di limitato, di immaginoso, di imperfetto per non confondere il Dio "ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile" con le nostre rappresentazioni umane.

Per fortuna Dio non ha lasciato l'uomo in preda ai suoi dubbi e alle sue incertezze, ma gli è venuto incontro. Attraverso gesti e parole strettamente connessi fra loro nel corso della storia della salvezza Egli si è rivelato prima ad uno solo, Abramo, poi a un gruppo ristretto di persone, i suoi discendenti e infine attraverso Gesù e la sua Chiesa a tutto il mondo.

Forse è questa ansia di spiritualità, di purificazione e di ascensione verso l'alto che spiega il seguito che ad un certo punto Gesù dovette registrare nel corso della sua missione.

"Molta gente andava con lui" ci informa san Luca nel Vangelo di oggi e questa annotazione può anche stupire noi cristiani di oggi affranti dalla constatazione che anche fra tanti praticanti si diffonde una appartenenza sempre più lenta con la Chiesa istituzionale.

Perciò ci può meravigliare ancora di più che Gesù non ricompensi queste manifestazioni di interesse con elogi e lusinghe, ma per così dire raddoppi la posta, insistendo sulle rinunce che necessariamente comporta seguire la sua strada e aderire a Lui.

Respingere chi si fa avanti con tanta buona volontà non sembra una strategia di reclutamento adeguata per chi vuole avere successo nel mondo. Ma proprio questo è il punto: Gesù non desidera trionfare da un punto di vista umano, desidera insegnare agli uomini la via dell'amore ed essa passa necessariamente attraverso il rinnegamento di se stessi e la croce.

Viviamo nell'epoca dell'apparenza ma Gesù ci insegna a mirare alla sostanza, a far trionfare la persona sul personaggio, l'autenticità sulla finzione, la semplicità sulla complicazione, la purezza di intenzioni sul calcolo interessato.

"Beati i puri di cuore" dice la beatitudine, "perché vedranno Dio". I puri di cuore sono quelli che hanno il cuore indiviso, perché vedono tutto in Dio e allora sono capaci di vedere Dio in tutti.

Ai nostri giorni "amore" è diventata una parola equivoca e fortemente inquinata. Se non si ama tutto in Dio e con Dio, allora il destino dell'amore e di trasformarsi impercettibilmente, ma inesorabilmente in egoismo ed odio.

Se non viene affidato a Gesù perché lo custodisca, Lui che è Dio, e ce ne rifornisca al momento opportuno secondo le necessità, il nostro slancio di amare si comporta un alimento deperibile tenuto fuori dal frigorifero che va a male e diventa tossico e pericoloso.

Gesù nel Vangelo di oggi ci insegna ad evitare i ricatti affettivi che creano dipendenza, ma non ci lascia in balìa del nostro amor proprio e della nostra solitudine: ci insegna invece la via del sacrificio e della rinuncia di sé, ci dice di far dono del nostro cuore prima di tutto a Dio e poi, per amore suo al prossimo, incominciando dai familiari più stretti.

Le raccomandazioni di Gesù al principio del brano di oggi, cioè di odiare padre, madre, moglie, figli, fratelli e sorelle non portano a distruggere la pace e l'armonia delle famiglie come si potrebbe pensare, al contrario ne garantiscono il fondamento e la persistenza.

Solo chi è puro di cuore, cioè mette Dio, Gesù Cristo e il suo Vangelo al primo posto può riconoscere nel prossimo un compagno di strada affidatogli da Dio di cui è responsabile.

La purezza di cuore ci libera dall'ipocrisia che avvelena anche i rapporti più stretti e ci apre alla contemplazione delle meraviglie che Dio opera nell'animo delle persone.

Sono questi i calcoli che Gesù ci invita a fare per la nostra vita: abbiamo occhi abbastanza buoni per vedere Lui presente nei nostri fratelli?

"Se tu dunque mi consideri amico, accoglilo come me stesso" dice san Paolo al discepolo Filemone, mentre gli rimanda il suo schiavo Onesimo, che era fuggito dalla casa e aveva trovato rifugio presso di lui. Lo stesso ci chiede di fare Dio: se ci consideriamo discepoli del suo Figlio, dobbiamo trattare gli altri come tratteremmo Lui stesso.

Se non riusciamo a vedere nel prossimo un riflesso della santità di Dio, allora distacchiamo un attimo gli occhi da terra e volgiamoli in alto, perché siano purificati e risanati da Lui. Dopo sarà più facile adempiere le esigenze del Vangelo.

Proprio per questo siamo qui in Chiesa: levare gli occhi con attenzione e disponibilità verso Dio, per vedere meglio poi, con il suo giusto sfondo e nella sua giusta misura il nostro prossimo.

 

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