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TESTO Commento su Luca 12,49-57

don Daniele Muraro  

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (19/08/2007)

Vangelo: Lc 12,49-57 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato le disavventure del profeta Geremia: accusato di fronte al Re, condannato e poi tenuto prigioniero in una cisterna, malnutrito.

Egli ad un certo punto della sua missione dichiara: "Nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo."

Questa fiamma interiore lo costringeva a pensare a Dio e a parlare in nome suo. Se si fosse sottratto al suo compito, Geremia avrebbe avuto della ottime scusanti: in una situazione di guerra e di assedio la voce di Dio gli imponeva di dire il contrario di quello che l'opinione pubblica si aspettava.

Doveva non, illudere che tutto sarebbe finito presto e senza spargimento di sangue, ma gridare che il domani sarebbe stato "Violenza! Oppressione!", di qui l'accusa che noi oggi potremmo definire di disfattismo: "Egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo".

Quando si fermava a riflettere sulla sua triste condizione Geremia faceva i suoi propositi: "Mi dicevo: Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!", ma poi non li manteneva perché l'impeto della parola di Dio in lui era più forte di ogni resistenza personale.

Alla fine del racconto di oggi Geremia se la cava senza di morire di fame, ma poi la città di Gerusalemme viene espugnata e i suoi abitanti portati in esilio.

Il profeta aveva sempre sostenuto che combattere contro gli invasori babilonesi sarebbe stata una battaglia persa e che era meglio per tutti arrendersi subito. Il destino non sarebbe cambiato di molto: la deportazione, ma almeno si sarebbe evitata la devastazione. Le cose erano arrivate ad un punto tale che solo la fede in Dio e non l'astuzia umana avrebbe potuto salvare e per ottenere questo risultato purtroppo c'era un prezzo da pagare...

Non erano tempi facili quelli in cui si trovava a predicare Geremia. Egli c'ha dovuto mettere tanto del suo per adempiere il compito ricevuto dall'alto.

La prima volta che gli parla Dio gli dice "Io ti ho stabilito profeta delle nazioni". Geremia risponde: "Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane". E il Signore di rimando: "Non dire: Sono giovane, ma va' da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti".

La difesa che Dio gli garantiva non impedì a Geremia di venire insultato e maltrattato, di diventare elemento di divisione all'interno del suo popolo, ma mai il profeta cedette alla tentazione di far valere con la violenza le sue opinioni, seppure giuste.

Egli subì, senza smettere di avvisare e richiamare e alla fine ebbe salva la vita.

Come capitò con Geremia, oggi da più parti si accusa la Chiesa di essere contro, contro il mondo moderno, contro la ricerca della felicità, contro le libertà individuali. In realtà la Chiesa non è ostile al mondo moderno, ma presenta una proposta alternativa all'andazzo corrente e alla mentalità dominante.

"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso!" dice Gesù ai suoi discepoli in apertura del Vangelo di oggi; è lo stesso fuoco che ardeva in petto a Geremia, e poi aggiunge: "C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto". Si tratta del suo battesimo di sangue, cioè della sua passione ed esso è necessariamente legato alla sua missione.

Gesù aveva sempre detto una parola sola: "Pace", però quelli che lo ascoltavano, a seconda della disposizione d'animo ne potevano intendere due: pace o guerra, ossia contro il suo intendimento: divisione.

Come una striscia di reagente chimico cambia colorazione a seconda delle proprietà del liquido con cui viene a contatto, così l'unica parola di Gesù nel cuore di chi la ascolta da adito a due esiti diversi: accettazione o rifiuto.

Nel momento cruciale Egli chiamò Giuda suo amico, ma per questo lui non smise di considerarlo suo nemico e questa dissociazione mentale sembra proprio essere una caratteristica della ricezione del messaggio del Vangelo.

Gesù non si mai "stancò, perdendosi d'animo", come dice la seconda lettura, pur dovendo sopportare una grande ostilità da parte dei peccatori, e vedere la sua proposta rifiutata e stravolta, possiamo pensare, fu la sua sofferenza più grande, maggiore anche della tortura fisica.

A questo mondo ogni cosa buona si può rovesciare nel suo contrario. Nel Vangelo di oggi il cristiano ne è avvertito da Gesù stesso; ma come Gesù nelle prove incontate rimase "mite ed umile di cuore", così il cristiano non deve sgomentarsi dell'opposizione che incontra.

Non è mai stato facile presentare le esigenze morali di un retto comportamento nella società umana e oggi lo è meno che mai. Sono cresciute le conoscenze tecniche, ben al di là di una valutazione generica del tempo che fa', ma a livello di maturazione morale, a che punto siamo?

Di fronte all'ostinazione di chi fa il male e non lo vuole abbandonare non è raro che una risposta, serena, pacata, giudiziosa renda ancora più accanito chi non vuole accettare il bene che gli viene presentato per metterlo in pratica.

A questo proposito san Pietro consigliava così i suoi cristiani: "Chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene?... Non vi sgomentate", ma siate "pronti sempre a rispondere... Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto".

Al tratto rude, rozzo, irritabile, irascibile e aspro il cristiano può e deve opporre solo la pratica della mitezza che si manifesta nel contegno gentile, dolce, pacato. La mitezza apre gli animi alla confidenza, alla fiducia, alla docilità e alla mansuetudine.

Il risultato non sarà sempre così felice; qualche volta, come detto, sarà negativo del tutto, ma ci consola la promessa collegata alla beatitudine della mitezza che è il possesso della terra: "Beati i miti, perché erediteranno la terra".

Nonostante le contrapposizioni che chi crede sempre incontra, il Vangelo di oggi ci dice che possiamo avere un futuro solido e di benessere solo con Dio, tenendo ben ferma la distinzione fra il bene e il male, e se sarà inevitabile di subire delle offese, Dio saprà gratificare in maniera concreta chi si fida di lui e non cede alla tentazione della malvagità e della prepotenza.

 

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