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TESTO Commento su Luca 12,13-21

don Daniele Muraro  

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XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/08/2007)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

"Anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni." Il buon senso di questa asserzione risalta a prima vista e sembra inutile aggiungere commenti. Abbiamo conferme continue della giustezza di questa sentenza, lontane e vicine; non sono i beni materiali che danno la felicità; essi non riparano mai del tutto da rovesci finanziari, meteorologici, di salute, affettivi o di altro genere.

Ai nostri giorni però questa semplice verità gode di un consenso calante ed è sottoposta al regime del sospetto. Si suppone che sia stata inventata dai possidenti per tenere a bada i meno abbienti, oppure si preferisce pensare che sia la scusa di chi nella vita non ce l'ha fatta per giustificare i suoi fallimenti, oppure ancora si lasciano perdere le astrazioni filosofiche e si preferisce godere un benessere concreto e immediato, senza inutili moralismi.

Eppure san Paolo nella seconda lettura fa riferimento al pericolo di una avarizia insaziabile e la definisce "idolatria". Per lui "l'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori".

E Gesù in altra parte del Vangelo incalza: "Qual vantaggio avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?"

Soffermiamoci un poco sulla sapienza degli antichi. Seneca fu un pagano, contemporaneo di san Paolo, precettore di Nerone e poi dallo stesso imperatore condannato a morte. Al suo amico Lucilio egli scrive: "Se vivrai secondo natura, non sarai mai povero; se vivrai secondo le opinioni della gente non sarai mai ricco. La natura ha poche esigenze, le opinioni moltissime. Si concentrino pure nelle tue mani le ricchezze di molti; la sorte ti dia più denaro di quanto ne possiede normalmente un privato... da questi beni imparerai solo a desiderare sempre di più...."

Abbiamo trovato un punto di svolta. Lasciamo pure da parte la pretesa di stabilire fin dove arrivino le necessità naturali e da dove comincino i desideri indotti, ai nostri giorni è molto difficile; dal ragionamento di Seneca possiamo ricavare questa conclusione: povertà e ricchezza non sono due dati assoluti, uguali per tutte le epoche e le latitudini, ma sono due termini relativi.

Ricco è chi ha più della media e povero chi sta sotto a questa media. Un uomo del medioevo, per quanto ricco che fosse, come mezzo di trasporto non poteva permettersi di più che un cavallo, focoso e bardato finché si vuole, ma sempre un cavallo. Oggi anche il più povero può salire sul treno o sul pullman di linea. Con questi mezzi si viaggia molto più veloci e comodi che a cavallo, ma non per questo il povero smette di essere tale. Egli si sente povero perché dipende dagli altri e perché tanti di questi altri continuamente lo sorpassano. "I poveri li avrete sempre con voi" ha detto Gesù, però ha detto anche "Beati i poveri in spirito...".

In uno dei suoi primi viaggi, era il 1981, il papa Giovanni Paolo II si recò nelle Filippine e lì si trattenne con i miserabili del distretto di Tondo. In quell'occasione egli disse: "Quando penso ai molti problemi che affrontate quotidianamente, quando penso a tanta altra gente che altrove vive nelle baracche delle periferie delle grandi città e nelle zone rurali dimenticate allora penso a Cristo. Nei volti dei poveri vedo il volto di Cristo.

Qui a Tondo ed in altre parti di questa terra ci sono tanti poveri, e in loro vedo i poveri in spirito che Gesù chiamò beati. I poveri in spirito sono coloro che tengono i loro occhi su Dio ed i loro cuori aperti alla sua azione divina. Essi accettano il dono della vita come un dono che viene dall'Alto e lo apprezzano perché viene da Dio. Con gratitudine verso il Creatore e misericordia verso i propri simili, sono pronti a dividere ciò di cui dispongono con chi è più bisognoso di loro. Amano le loro famiglie ed i loro bambini e dividono le loro case e le loro tavole con il bambino affamato e il giovane senza casa. I poveri in spirito si arricchiscono di qualità umane; sono vicini a Dio, pronti ad ascoltare la sua voce ed a cantare le sue lodi.

Essere poveri in spirito non significa disinteressarsi dei problemi che affliggono la comunità e nessuno ha un più acuto senso di giustizia della gente povera che soffre le ingiustizie determinate dalle circostanze e dall'egoismo umano. Così la prima Beatitudine indica un sentiero che ciascun individuo deve percorrere. Essa dice a coloro che vivono in una povertà materiale che la loro dignità, la loro dignità umana, deve essere difesa, che i loro inviolabili diritti umani devono essere salvaguardati e protetti.

La prima Beatitudine dice al ricco, che gode del benessere materiale o che accumula una parte spropositata di beni materiali, che l'uomo è grande non per ciò che possiede ma per ciò che è: non per ciò che ha ma per ciò che divide con gli altri. Il povero in spirito è l'uomo ricco che non chiude il suo cuore. Povero in spirito in realtà è l'uomo ricco che non si concede riposo fino a che un suo fratello o una sua sorella è avviluppato nell'ingiustizia e nell'impotenza."

Certamente noi non siamo a Tondo, nelle Filippine. Forse alla situazione di noi del primo mondo si adatta meglio questa storia riportata da un missionario: "Alcuni fra i primi esploratori del Nord America avevano deciso di raggiungere un luogo ad alcune giornate di distanza oltre la grande foresta. Per questa spedizione si fecero accompagnare da alcuni Indigeni che conoscevano bene la regione. Dopo tre giorni di cammino, con pochi momenti di fermata, gli Indigeni improvvisamente si rifiutarono di proseguire. Per farli ripartire i bianchi promisero vari tipi di ricompense, poi li minacciarono e infine si rassegnarono ad aspettare. Nel frattempo gli Indigeni fecero intendere a segni il motivo della loro sosta. Si erano fermati per aspettare le loro anime: i loro corpi infatti avevano camminato troppo veloci e le anime erano rimaste indietro".

Il senso della storia è chiaro: sulla via del progresso economico non lasciamo indietro le nostre anime; non è bello infatti doversi accorgere tutto di un tratto di averle smarrite lungo la strada.

Che dire allora? "Possedere del veleno ed essere avvelenati non è la stessa cosa: i farmacisti possiedono quasi sempre del veleno per servirsene in varie circostanze, ma non per questo sono avvelenati; non hanno il veleno nel corpo, ma nel laboratorio." L'esempio è di san Francesco di Sales che conclude: "Allo stesso modo tu puoi possedere ricchezze senza esserne avvelenato: questo se le hai in casa o nel portafoglio, ma non nel cuore."

Nel campo dei beni materiali, tutti siamo solo amministratori e alla fine della vita saremo giudicati non sulla ricchezza accumulata, chi più chi meno, ma sulla nostra amministrazione e i testimoni a nostro carico o a nostra discolpa saranno proprio i poveri che avremo evitato o quelli che avremo beneficato. Saranno le nostre opere buone che formeranno la nostra ricchezza davanti a Dio; nessuno ce le potrà togliere, esse ed esse sole rimarranno con noi per sempre.

 

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