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TESTO Commento su Giovanni 13,31-33.34-35

don Daniele Muraro  

V Domenica di Pasqua (Anno C) (06/05/2007)

Vangelo: Gv 13,31-33.34-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 13,31-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Il comandamento nuovo di Gesù è anche il suo testamento spirituale, l'eredità che Gesù lascia ai suoi apostoli nell'ora decisiva della sua partenza da questo mondo.

Siamo nel Cenacolo, Giuda è appena uscito, abbandonando i suoi compagni al termine della Cena Pasquale, per andare dai sommi sacerdoti e dal Sinedrio a contrattare prezzo e modalità della consegna di Gesù. Il suo piano si realizzerà nell'Orto degli Ulivi: "Quello che bacerò è Lui! Prendetelo" e Gesù risponde: "Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo".

Nell'attesa di questi eventi, avvenimenti di cui gli altri apostoli erano all'oscuro, ma che Gesù conosceva benissimo, Lui il Signore e Maestro di fronte agli undici apostoli rimasti parla in maniera diretta, dando voce ai sentimenti più confidenziali.

Gesù non si lascia prendere dallo scoraggiamento, né alimenta il clima di sospetto che sempre si insinua nelle situazioni di incertezza in cui si rischia personalmente.

Il suo discorso invece è dolce, anche se soffuso da una certa mestizia. Nell'ambiente familiare del Cenacolo Egli ancora non si ritira nel privato della sua coscienza, come poco dopo quando suderà sangue nel giardino degli Ulivi. Ancora intende attrarre l'attenzione degli apostoli dando l'ultimo insegnamento a parole, prima di dimostrare nella pratica la portata delle sue affermazioni.

Egli parla dell'amore, ma il suo è tutt'altro che un discorso sentimentalistico, affidato alla buona disposizione d'animo degli ascoltatori, perché Egli non si limita a consigliare l'amore reciproco come la maniera per superare le incomprensioni e giungere all'intesa all'interno della comunità degli uomini, ma precisamente comanda a chi crede in Lui di amare e di farlo secondo la misura che Egli stabilisce.

"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come vi io ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri."

Nel nostro linguaggio abituale noi diciamo: "Questa cosa si deve fare o per amore, o per forza" e così mettiamo in contrapposizione amore e dovere, dove l'amore sta dalla parte della spontaneità e il dovere invece dipenda dall'obbligo forzato senza alcuna partecipazione interiore.

Al contrario Gesù fa appello alla forza dell'amore, che è la più grande risorsa messa a disposizione dell'umanità. Gesù ci dice che il sentimento dell'amore non avrebbe la forza di incidere nelle vicende umane e di trasformarle se questo sentimento non si potesse sostenere sul comando di amare che viene direttamente dall'autore dell'amore, ossia da Dio stesso.

A motivo della nostra condizione umana il desiderio spontaneo di amare e di beneficare si deve sempre scontrare con l'ingratitudine e l'indifferenza, o perfino con l'egoismo e l'odio del prossimo a cui ci rivolgiamo. Può darsi che ci siano circostanze in cui la ricompensa e la gratificazione per un gesto di amore arrivano immediatamente e senza falsità e allora è il momento di ringraziare Dio per la generosa risposta alla nostra iniziativa di bene. Ma il più delle volte chi si mette in un atteggiamento di gratuità e di umile servizio deve fare i conti con la grettezza e la ristrettezza mentale degli interlocutori. Allora è il momento di ricordarsi di questo comandamento di Gesù, e di confrontarsi con la potenza del suo modello di vita.

Capiremo da noi stessi che non si può amare se non per amore di Dio e sotto l'impulso del suo esempio e del suo comando.

L'alternativa alla forza dell'amore che Gesù sottolinea nel suo comando è l'amore per la forza che è una tentazione sempre presente nella storia dell'umanità e contagiò anche Giuda, stanco di quel Maestro che non era pronto ad trovargli potere e danaro.

L'amore invece è il contrassegno dei cristiani. "La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede" dice il libro degli Atti degli Apostoli "aveva un cuore solo e un'anima sola... Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso..."

"Noi non amiamo a parole, ma coi fatti e nella verità" fa eco la prima lettera di san Giovanni e quindi per mettere in pratica questo comandamento dell'amore occorre impegnarsi personalmente, ma soprattutto invocare l'aiuto di Dio. I buoni propositi infatti più spesso che non si voglia si scontrano con la resistenza dell'amor proprio che fa di ostacolo al desiderio di aderire al comando di Gesù.

Per questo il giorno di Pentecoste venne sugli Apostoli e sugli altri discepoli lo Spirito santo con i suoi sette doni. In particolare oggi voglio sottolineare il dono della fortezza. "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi" aveva promesso Gesù ai suoi prima di salire al cielo.

Gesù non rende invincibili, ma forti, per non perdersi d'animo nelle difficoltà della vita, soprattutto quelle legate alla professione della propria fede.

La fortezza implica una certa fermezza d'animo, e tale fermezza si richiede, sia nel fare il bene, che nel sopportare il male, specialmente trattandosi di beni e di mali ardui. Essa è preceduta nell'ordine dal dono del consiglio e perciò non può essere una fortezza sconsiderata, ma è necessaria per portare a termine i progetti di bene suscitati da un retto consiglio.

"E' necessario attraversare molte tribolazioni per entrare ne Regno di Dio" dicono Paolo e Barnaba ai cristiani di Listra, Iconio ed Antiochia.

Chi è dotato del dono della fortezza però non si abbatte, ma il suo vigore cresce lungo il cammino, perché prende forza non da se stesso, ma da Dio. Quando uno fa il bene, nonostante le avversità che incontra, si sente confermato nella sua scelta e riceve come una forza sovrumana per continuare nel suo impegno senza stancarsi. Questa conferma interiore è opera di Dio, più precisamente dello Spirito santo che viene con i suoi dono principalmente nel sacramento della Cresima che non per niente si chiama anche Confermazione.

Riscopriamo perciò il sigillo dello Spirito santo con il quale siamo stati segnati e confidiamo nella forza del suo amore.

 

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