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TESTO Commento Luca 15,1-3.11-32

don Daniele Muraro  

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (18/03/2007)

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

La parabola del figliol prodigo è tra le più conosciute ad apprezzate del Vangelo. Commuove ascoltare la scena del ritorno di questo figlio più piccolo alla casa paterna, assistere alla sua confessione e al gesto del Padre che lo riabilita fin da subito rialzandolo e abbracciandolo perché non aveva mai dimenticato questo figlio lontano e lo attendeva vigilante.

La parabola ha un inizio brusco, di rottura. Il figlio minore non solo se ne va da casa, ma pretende di ottenere da subito l'eredità. Per lui il Padre non esiste più; nell'intenzione e poi nei fatti passa all'incasso della quota del testamento, credendo con ciò di avere ottenuto tutto il possibile e di poter finalmente partire per godersi la vita.

Più che una scalata verso nuove mete, la sua però è una discesa nella abiezione e nella rovina prima morale e poi economica. Stremato e senza amici presto è costretto a convivere con un padrone spietato ed oppressivo invece che col Padre abbandonato.

E' solo allora che nella sua coscienza superficiale e sprezzante si fa largo il buon senso. Il desiderio di tornare è mosso ancora dall'interesse, ma stavolta il richiamo del benessere materiale e della fame è unito al desiderio di stabilire un rapporto nuovo con il suo genitore troppo presto dato per morto. In realtà in quel momento il Padre era più vivo di lui, nel senso che aveva più risorse e anche una maggiore disponibilità alla relazione.

E' questo Padre buono il vero motore della storia, tanto che qualcuno applica l'aggettivo prodigo non al figlio, ma al Padre catalogando questa parabola sotto il titolo de "il Padre prodigo". E' il Padre a permettere che il figlio tristemente se ne vada, senza opporsi alla sua decisione sventata e offensiva. E' sempre il Padre che misteriosamente nella coscienza del figlio ormai senza alternative fa sentire il suo appello al ritorno. Ed è sempre il Padre che reintegra questo figlio smarrito e umiliato nella dignità precedente, facendo festa e rallegrandosi.

Se il Padre non avesse resistito al dolore di una perdita del figlio così improvvisa e immotivata, la storia non avrebbe avuto seguito e se si fosse opposto con violenza perdendo dignità e grandezza spirituale la coscienza del figlio non si sarebbe mai sviluppata.

Ci possiamo interrogare se è necessario toccare il fondo prima di risalire e rinsavire, se la via della maturazione interiore passi necessariamente attraverso l'errore e il vizio. Evidentemente no!

Non ci sono esperienze negative obbligatorie per formarsi un bagaglio di qualità umane e spirituali apprezzabili. Esistono invece tante tentazioni e fragilità. Con queste ha dovuto fare i conti il figlio più giovane, cedendo dal principio a delle vuote illusioni e riconoscendo i suoi errori in seconda battuta. Credeva di far bene muovendo i suoi primi passi, si è convertito al vero bene verso la fine ritornando sui suoi passi precedenti. Nel frattempo il Padre è rimasto come punto di riferimento sicuro: senza mai avallare gli errori del figlio Egli non taglia i ponti e al momento opportuno si presenta come l'unica risposta al suo grido di aiuto e al suo desiderio di rinnovamento interiore.

Questo figlio minore è stato più cattivo o più stupido? Più sventato o più malizioso? Non lo possiamo dire, l'importante è che dopo l'errore e il vizio ci sia stata un'ancora di salvataggio, dopo l'esperienza della fragilità e della debolezza una roccia sicura a cui aggrapparsi e su cui appoggiarsi.

E al tema della fragilità ha dedicato un ambito anche il Convegno della Chiesa Italiana di Verona, uno dei cinque ambiti. Se il tema della fragilità è stato messo in evidenza insieme a temi più nobili come la tradizione, la festa, la cittadinanza e gli affetti, vuol dire che questo argomento è attuale e richiede consapevolezza e impegno da parte della comunità cristiana.

Per molti versi fragilità sembra essere la sigla di tanta parte della nostra società. "Fragile, maneggiare con cura" troviamo scritto negli imballaggi della merce in arrivo. E sempre più spesso trattando con le persone ed esaminandone le situazioni più diverse sembra che ad un certo punto appaia in evidenza un appello impossibile da ignorare: "Fragile – maneggiare con cura", oppure come diceva il relatore al Convegno di Verona: "Fragile, maneggiare con amore".

In alcuni casi il rispetto nel trattare situazioni di fragilità ci viene spontaneo come con i bambini piccoli e allora assume i tratti della delicatezza. In altri casi ci torna più difficile, perché di fronte alle tante manifestazioni di debolezza caratteriale ed esistenziale lontane e vicine, sentite alla radio o ascoltate per strada ci viene da dire: "che ci posso fare?", "che si arrangi!"

Eppure da sempre la Chiesa si è presa cura dell'uomo sofferente, nel corpo e nello spirito. L'immagine di Dio scolpita in ogni uomo è assolutamente più forte di ogni male che in lui possiamo riscontrare. Sia che si tratti una sofferenza fisica sia che abbiamo a che fare con una degenerazione morale, nelle membra martoriate di un malato o negli occhi torbidi di un corrotto l'immagine di Dio creatore non è mai completamente offuscata. Nostro malgrado, questa immagine ci viene incontro e noi non possiamo non incontrarla, ma dobbiamo imparare a riconoscerla e apprezzarla.

Se faremo questo sforzo di vedere in ogni uomo il riflesso della bontà di Dio, cambierà allora anche il modo di avvicinarsi alle situazioni di sofferenza e invece del rifiuto e della fuga ci addestreremo alla difficile arte dell'accompagnamento.

Vorrei fermare la vostra attenzione soprattutto sul disagio morale. Detto in breve sono due gli atteggiamenti che possiamo riscontrare a questo proposito. C'è chi non sa reagire ai condizionamenti esterni e di fronte alle sfide della vita si trascina stanco e insicuro: a questo tale va aperta la mente alla scoperta dei valori umani e cristiani e poi va incoraggiata la sua volontà ad essere coerente con le scoperte fatte, attraverso la pratica di propositi buoni e commisurati con le sue capacità; le sue conquiste gli daranno sempre maggiore sicurezza e forza interiore.

C'è invece chi all'esterno non dimostra cedimenti, ma è privo di compassione, superbo per non dire altezzoso e vuoto: pure questa è una fragilità, nascosta, ma reale, perché non sa ricevere e non sa comunicare. Anche qui la grazia di Dio può fare la sua parte, aprendo braccia e cuore a lasciarsi riempire dall'amore di Dio per poi donarlo al prossimo nel bisogno.

Sono due semplici spunti, ma che ci dicono che la parabola di oggi del figliol prodigo, che a questo punto è pure la parabola del Padre misericordioso e anche quella del fratello sdegnato, è ancora attuale.

Il messaggio del Vangelo può parlare all'uomo d'oggi ed essere una risposta alle sue attese e alle sue indecisioni. Se facciamo posto in noi a questo messaggio avremo la gioia nel cuore, quella stessa gioia che fa dire al Padre della parabola: "bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

 

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