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TESTO Commento su Luca 9,28-36

don Daniele Muraro  

II Domenica di Quaresima (Anno C) (04/03/2007)

Vangelo: Lc 9,28-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

La Trasfigurazione del Signore ci mostra un altro momento in cui Gesù si apparta, lontano dalla vita feriale. Già una volta Gesù si era inoltrato da solo, nel deserto. A differenza del suo ritiro precedente però questa volta Egli associa a sé tre dei suoi discepoli: Pietro, Giovanni e Giacomo.

Il luogo è meno inospitale di quello che lo vide protagonista della lotta contro lo spirito del male e le sue tentazioni, ma è sempre suggestivo: si tratta del monte Oreb o Carmelo. Lì appaiono ai discepoli stupiti i due principali personaggi dell'Antico Testamento: Mosè ed Elia, cioè il condottiero e legislatore dell'uscita dall'Egitto e il più grande dei profeti.

Tutto concorre ad evidenziare la particolarità del momento: Gesù cambia di aspetto in volto e la sua veste diventa candida e sfolgorante di una luce soprannaturale. Anche l'argomento del dialogo fra Gesù e i due illustri personaggi non appartiene all'ordinaria conversazione: Mosè ed Elia si intrattengono con Gesù sulla sua prossima Pasqua e quindi sul suo destino di sofferenza e di gloria.

Pietro e di suoi due compagni, Giovanni e Giacomo, sembrano soverchiati dall'imponenza della Rivelazione e devono farsi forza per non venire meno e abbandonarsi al suolo privi dei sensi. Dopo avere reagito allo stupore e avere vinto la sonnolenza restano così affascinati dalla visione che non si rassegnano presto all'idea di staccarsi da quel posto speciale e Pietro se ne esce con una proposta fuori dalla realtà, ossia si offre di tirar su tre rifugi di fortuna, uno per Gesù e gli altri due per gli straordinari ospiti.

Il tutto si conclude con la voce del Dio Padre che dalla nuvola proclama Gesù "il suo Figlio, l'eletto" e raccomanda: "Ascoltatelo!".

E' stato un giorno di festa speciale, quello che hanno vissuto quella volta Gesù e i suoi apostoli sul monte Carmelo. Tanto speciale che al principio gli apostoli tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto. Possiamo anche capirli: chi li avrebbe creduto di primo impatto al loro racconto?

In seguito però san Pietro diventato primo vescovo di Roma tornerà sull'episodio così bene impresso nella sua mente e confiderà: "Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.".

Ma per quel giorno ai piedi del monte elevato era la pianura che attendeva il gruppo dei tre apostoli con Gesù; c'era prima di tutto il resto dei discepoli lasciato indietro da solo, c'era tutta la folla che ricercava il Maestro e il Guaritore.

Il tempo della festa avrebbe dovuto presto trasformarsi nel tempo feriale del lavoro e della fatica.

All'ambito umano del lavoro e della festa ha dedicato un gruppo di lavoro anche il recente convegno nazionale della Chiesa italiana a Verona. Il problema non è da poco e riguarda il giusto modo di vivere il tempo. Tutti siamo impegnati in una battaglia quotidiana ed è quella contro il tempo. Chi non ha niente da fare cerca di ammazzarlo e chi invece è oppresso da mille occupazioni e scadenze fa di tutto perché non gli scappi.

Perdere tempo è uno dei lussi che più difficilmente ci si riesce a concedere e d'altra parte è uno dei vizi più condannati da chi sa che se si vuole ottenere qualche risultato nella vita bisogna darsi da fare.

In tutto questo agitarsi chi ne scapita è la festa e in particolare il senso cristiano della domenica. Il tempo è sotto pressione e la riserva che viene più spesso invasa dal legittimo diritto al riposo o dalla aspirazione ad un sano divertimento è la messa domenicale e la preghiera in famiglia.

Si arriva troppo stanchi al fine settimana, come si chiamano adesso i giorni tradizionalmente liberi dal lavoro e ci si arrende quasi all'inesorabilità di non poter esaudire il primo precetto della Chiesa: "Udir la Messa tutte le domeniche e le altre feste comandate."

Il lavoro non è solo un diritto è anche un dovere, lo sappiamo, allo stesso modo dovremmo riflettere e far riflettere che la festa non è solo un dovere, ma anche un diritto.

Se consideriamo la festa unicamente come astensione dal lavoro, la intendiamo solo in termini negativi. La prospettiva di lavorare sette giorni su sette provoca sconcerto e disappunto in tante categorie di lavoratori. Ma questo è solo un punto di partenza. Perché lo si può fraintendere; si può ritenere infatti che quest'esigenza di rispetto della festa sia dettata soltanto da motivi di comodità.

Invece, positivamente, la festa è tempo per: per fare quelle cose che nel tempo ordinario non si riescono a fare; per realizzare ciò in cui la vita quotidiana può trovare il proprio compimento. In una parola: per rigenerare il proprio spirito e - perché no? - anche il proprio corpo. Ma, appunto, nella maniera giusta.

In quest'ottica positiva può allora essere compreso il senso del precetto di santificare la festa. Si tratta precisamente dell'occasione che ci viene offerta di mettere un punto fisso di riferimento nello scorrere del tempo, di dare senso alla vita feriale; alla nostra settimana manca qualcosa se il tempo lavorativo non sfocia nella dimensione della festa e della gioia. Il tempo non è tutto uguale, c'è un tempo santo che ci chiama alla sua santificazione.

Il modo cristiano di intendere festa ci distoglie dalla dispersione e dalla frammentazione in tante schegge che male si congiungono le une con le altre e ci invita al raccoglimento in noi stessi e all'ascolto della Parola di Dio.

Ma la concentrazione interiore, senza la quale la festa resta monotona e vuota, non significa isolamento dal mondo e dalle relazioni interpersonali. Era la tentazione di Pietro che si rivolge a Gesù quasi con la pretesa di bloccare il momento felice. Si può fare festa solo se si condivide il motivo della festa, altrimenti si ripiega sull'astensione: astensione dal lavoro, astensione dalle solite scadenze feriali, ma questo non basta.

Dunque il tempo della festa è il pilastro che sostiene la campata del tempo feriale fino al prossimo pilastro della prossima festa e questo spazio di campata e campata è fatto per essere abitato da una comunità, una comunità in festa, una comunità che lavora, una comunità che celebra e una comunità che opera. In tutti e due le condizioni si tratta della medesima comunità che si esprime secondo dei ritmi che superano le esigenze instabili del singolo e che riallacciano questa comunità con le altre comunità sparse nel territorio a formare il popolo di Dio in cammino.

Così si realizza la Chiesa che in questo snodi di millennio invita a dare ordine al tempo, come nel passato è stata capace di mettere ordine nello spazio urbano dei nostri paesi e città, grandi e piccoli: riflettiamoci, perché una settimana senza la Domenica, il giorno del Signore, è come un paese senza piazza, manca il luogo dell'incontro, manca lo spazio della festa. Ma per fortuna questa opportunità c'è e dunque sfruttiamola finché ci è dato il tempo.

 

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