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TESTO Commento su Luca 3,10-18

don Daniele Muraro  

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III Domenica di Avvento (Anno C) - Gaudete (17/12/2006)

Vangelo: Lc 3,10-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 10le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».

15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Anche quest'oggi parliamo di san Giovanni Battista. In tanti si rivolgevano a lui ed egli aveva una risposta pronta per tutti: Il suo linguaggio era chiaro, egli dava delle precise indicazioni di vita. Negli uomini che lo frequentavano il Battista sapeva individuare il male, lo denunciava e dava sagge istruzioni per superarlo.

Un male poteva essere quello dell'avarizia, di accumulare senza curarsi delle necessità del prossimo: il rimedio allora consisteva nella condivisione, soprattutto di ciò che è più necessario come il cibo e il vestito. Vitto e alloggio infatti sono bisogni elementari che ledono anche la dignità della persona, qualora non vengano adeguatamente soddisfatti.

Una altro male è quello del furto, un male peggiore dell'avarizia che trattiene per sé, perché con la forza o con la destrezza si cerca di impadronirsi dei beni degli altri; in aggiunta i pubblicani in questione, esattori delle tasse per conto di Roma, spremevano i loro malcapitati concittadini, facendosi forza della loro posizione sociale e del loro ruolo pubblico. San Giovanni consiglia di non superare il limite della correttezza e di avere a cuore l'onestà.

Infine un male è quello della violenza, fatto di maltrattamenti e soprusi, come facilmente può comportarsi un esercito straniero in un territorio occupato fra l'ostilità della popolazione e l'assenza di regole certe. Anche ai soldati romani san Giovanni Battista risponde e raccomanda loro non di abbandonare le armi, ma di essere giusti e di mettere la loro forza al servizio della legalità.

Le risposte di san Giovanni non sono accomodanti, non accarezzano i vizi, non sminuiscono la gravità del male che gli viene presentato, ma lasciano una possibilità di cambiamento, indicano la necessità della conversione e propongono dei gesti praticabili per rinnovare il proprio stile di vita.

Ce lo possiamo immaginare san Giovanni che parla alle folle: in piedi su un masso, circondato da gente di diversa estrazione, lui li domina tutti, rude e ascetico come uno che è vissuto stentamente nel deserto, con le guancie scavate dal digiuno, con lo sguardo intenso, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie, impetuoso ed esigente come uno che non può sopportare la presenza del male e vi si oppone con tutte le sue forze. In effetti il male al Battista faceva questo effetto: di un avviso di allerta, di una reazione di denuncia, di un invito pressante alla conversione della propria condotta prima che fosse troppo tardi.

Era un uomo che si arrabbiava Giovanni Battista? Sì e no. Dalle sue parole sembrerebbe che non avesse fatto sconti a nessuno e tuttavia la gente accorreva da lui e non per vedere un fenomeno diremmo oggi mediatico, ma per aderire alla sua proposta di ricevere un battesimo di penitenza per la remissione dei peccati.

Lo stesso Erode era affascinato dalla personalità di questo suddito irrequieto. Anche dopo averlo messo in prigione ne aveva rispetto, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e come dice il Vangelo e "anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri."

L'ira non è odio e possiamo dire con diritto che dai discorsi di san Giovanni Battista traspare una certa ira che però non diventa mai odio: infatti nello sfogo della sua espressione l'odio accumula male a male, l'ira invece, quando è regolata dalla ragione, come nel caso del Battista, vuole aggiungere del bene al male.

Offendere è proprio dell'ingiustizia, ma la giustizia richiede un ristabilimento dell'ordine violato e un certo risarcimento del male fatto. San Giovanni Battista ha di mira questa giustizia. Egli non offendeva, e d'altra parte chi sarebbe andato da lui allora, ma richiedeva dei segni concreti di conversione.

Prima di essere un vizio, l'ira è una passione. In questo senso essa sorge spontanea ed è anche necessaria. Essa serve a rendere l'uomo più pronto nell'eseguire ciò che detta la ragione, ed è ragionevole opporsi al male. La natura non fa niente di inutile, e in questo senso l'ira ci è una preziosa alleata per non adeguarci ai dati di fatto e per promuovere la riuscita del bene.

Quello che sorge spontaneo e naturale ha bisogno di essere regolato ed anche la reazione emotiva dell'ira ha bisogno di essere incanalata, e allora da forza aggressiva e potenzialmente dannosa essa diventerà capacità di sopportare e di contrastare il male con il bene.

Secondo san Giovanni Battista il Cristo sarebbe venuto in Spirito santo e fuoco: Egli avrebbe pulito la sua aia separando il grano buono dallo scarto della pula e avrebbe eliminato la pula consumandola con un fuoco inestinguibile.

Appare Gesù mite e umile di cuore, mansueto e misericordioso e possiamo domandarci: "Non si era forse sbagliato Giovanni a fare il suo annuncio"? e potremmo dire anche per fortuna.

In realtà Giovanni non si era ingannato: abbiamo testimonianze più che sufficienti per dire che Gesù nel Vangelo si arrabbia: dalla cacciata dei mercanti nel tempio alle dispute con i farisei, alla preparazione dei miracoli di guarigione, Gesù lascia spazio a questo moto dell'anima che reagisce nei confronti del male presente sia esso morale che fisico.

Gesù però è forte e non permette che il suo giudizio sia offuscato da un'ira cieca, anzi è pronto a perdonare, e non continua a rinfacciare agli interlocutori le loro colpe. E' mansueto e non irritabile; si addolora del male che vede fare, ma non si lascia accecare dai delitti degli uomini e va in cerca di un barlume di resipiscienza per far ragionare e desistere dal peccato; non è amaro nei suoi giudizi, ma lascia speranza di trasformazione positiva. Nessuna situazione per Lui è troppo grave o compromessa da non lasciare speranza.

Sotto forma di zelo Egli mette a servizio della sua missione l'energia che di contrasto che si sviluppa dal contatto del bene assoluto, che Egli incarna, con il male e la corruzione del mondo.

Nulla va perduto di ciò che è umano per chi accoglie il messaggio del Vangelo, ma gli viene data una giusta misura, come per san Paolo, che da violento persecutore della nuova religione diventa un infaticabile apostolo dell'amore di Dio.

L'ira sta solo un gradino sotto all'amore. L'ira scalda, ma è un ardore amaro, che tende alla consunzione: poiché tende a punire, a consumare la vendetta. Anche l'amore è un fuoco che scalda il cuore, ma è dolce e soave.

Se il fuoco dell'amore degenera nella rabbia, e alle volte può succedere proprio questo, allora è un segno che si trattava di un amore non purificato; ancora solo troppo prigioniero dei calcoli umani.

Il cammino che dal Battista va a Gesù ci indica il verso contrario. Il fuoco dell'ira, per cui uno si infiamma facilmente, con la grazia celeste si può trasformare nel fuoco dell'amore di Dio che riscalda e porta in alto, invece che consumare e incenerire.

Sta a noi scegliere che direzione prendere: o guardare con gli occhi storti quello che non va e struggerci arrabbiati con noi stessi o lasciarci raddrizzare dalla grazia di Dio che ci giustifica e ci fa salire verso l'alto. Il tempo dell'Avvento è un tempo favorevole proprio a questa conversione.

 

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