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TESTO Se una cosa non funziona, non ostinarti, cambia!

Marco Pedron  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/09/2007)

Vangelo: Lc 16,1-13 (forma breve: Lc 16,10-13) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,1-13

In quel tempo, 1Gesù diceva ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Forma breve (Lc 16, 10-13):

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: 10«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Questa parabola è veramente imbarazzante e suscita un notevole disagio: come si può lodare uno che ruba? Un disonesto? Ma vuoi proprio che Gesù abbia detto una cosa del genere? Eppure sono proprio parole di Gesù.

All'inizio si dice che Gesù parla ai discepoli (16,1), ma in realtà gli esegeti ci dicono che non è così. Non sappiamo per chi abbia detto questa parabola. Probabilmente era rivolta a persone che avevano sbagliato e che dicevano: "Non c'è più niente da fare! Ho sbagliato, è finita!".

Conosciamo solo ciò che voleva dire: "Quando ti trovi di fronte ad un problema, trova soluzioni creative". Gesù deve aver avuto davanti gente che si piangeva addosso, che si autocommiserava, che si lagnava sempre. Ma fare così è spesso una strategia per non agire. C'è un problema, lo si affronta!

Gesù non loda l'amministratore per ciò che ha fatto. Non dice: "Ha fatto bene a fare così" e quindi: "Se tu puoi rubare, intascare, fai altrettanto!".

Gesù loda la capacità di reazione di fronte ad una situazione compromessa: non si è rassegnato, non si è buttato giù, non ha "pianto il morto"; ha trovato una soluzione creativa di fronte ad un reale problema.

Il vangelo non è stato scritto tutto d'un fiato, riga dopo riga. E qui lo si capisce bene. Il rischio altrimenti è di prendere "fischi" per "fiaschi".

Al versetto 16,8 si dice: "Il padrone lodò l'amministratore disonesto". Per quanto santo fosse quel padrone non è pensabile, non è sensato che, derubato dal suo amministratore, gli abbia detto: "Bravo! Hai fatto proprio bene! Ti stimo per ciò che hai fatto!". Cosa vuol dire allora quella frase. Ma se tu sai che la parola "padrone" del versetto 8, "κυριος", vuol dire anche "signore", allora cambia tutto. Adesso sì che capiamo.

Il versetto finiva: "Il 'κυριος' (e si poteva tradurre padrone o Signore) lodò il comportamento di quel padrone". Chi scrisse non capì il senso e scelse "padrone". Non è il padrone che loda l'amministratore (assurdo: nessun padrone và contro di sé), è Gesù che dice a quell'amministratore: "Hai agito con scaltrezza e astuzia, in maniera creativa" (a conferma di ciò il fatto che "κυριος" usato in forma assoluta in Lc designa solo per alcune volte Dio, le altre diciotto sempre Gesù). La parabola dunque finiva così: "Gesù lodò il modo di agire di quell'uomo" (non quello che ha fatto).

Che gli stessi evangelisti non compresero le parole di Gesù lo rivelano tutte le frasi successive che cercano di spiegare la parabola. Ma ognuna delle spiegazioni altera il contenuto della parabola.

Guardate cosa accade: c'è un problema. L'uomo è stato scoperto a frodare. La situazione è irreversibile, di non ritorno e il padrone glielo dice subito: "Non puoi più essere mio amministratore" (16,2).

L'amministratore valuta le possibili soluzioni: "Zappare? Non ho forza! Mendicare? Mi vergogno" (16,3). Sembrano non esserci vie d'uscita: "Non c'è altro da fare; mi tocca rassegnarmi; devo subire".

L'uomo ci pensa e ci riflette. Le soluzioni classiche, normali, solite, già pronte, non funzionano. Bisogna trovare una soluzione diversa, nuova. Ciò che conta è che non cade in disperazione, né in depressione. E trova una soluzione creativa, strana, impensata (16,4-7): "Il lavoro l'ho perso, ma mi faccio degli amici cosicché mi possano aiutare quando io fra poco ne avrò bisogno. Adesso finché posso aiuto loro così domani loro (che hanno un debito morale con me) aiuteranno me".

E Gesù conferma: "Bravo non per ciò che hai fatto, ma per come hai reagito di fronte alla difficoltà, alla situazione di non ritorno, al fallimento. Non ti sei buttato giù e hai trasformato la sfortuna in occasione".

Un uomo è stato licenziato dopo trent'anni di lavoro. Reazioni abituali: "Che ingiustizia! Tu lavori una vita e poi ti trattano così! Io mi sono sacrificato per il lavoro e loro non si sono fatti scrupoli; e adesso che farò?".

Di fronte ad una situazione così ci si può deprimere ("poverino me"), ci si può arrabbiare ("che bastardi"), si può anche morire ("la mia vita non ha più senso"). Ma si possono trovare anche soluzioni creative. Questo uomo ha detto: "Finalmente! Siccome io non riuscivo a farlo, la vita mi ha dato uno spintone. Così cambio lavoro e faccio finalmente quello che voglio". Era direttore di banca; adesso si è preso un pezzo di terra, lavora i suoi campi e finalmente è felice.

Una famiglia aveva il problema della figlia di tre anni: non era possibile farla frequentare la scuola materna (tutto pieno). Si era di fronte alla scelta inevitabile per la madre di lasciare il lavoro, e il suo stipendio nel budget familiare era indispensabile. Si poteva dire: "E ti pareva! Mi tocca rinunciare al lavoro!". Ci si poteva deprimere, ci si poteva sentire gli "sfigati" di turno, si poteva sentire la vita remare contro di sé. Che si fa? Soluzione creativa: ha creato lei un baby-parking dove oltre a sua figlia ci sono altri bambini e così lavora anche.

L'amministratore è un uomo che sa valutare molto bene la realtà e Gesù vuole che impariamo da lui. Lo schema è semplice. Situazione: non può più lavorare lì. Quella strada non è più praticabile. Valutazione: altri lavori non sono possibili; altre strade simili neppure. Strategia: bisogna operare in maniera diversa, con un'altra logica. Bisogna cambiare strada. Scelta creativa: si fa degli amici concedendo uno sconto sul loro debito. Cambiamento di strada.

Quando una cosa non funziona più, è inutile insistere, lottare, illudersi che potrà cambiare. Quando una cosa non funziona più bisogna semplicemente cambiare.

C'era un uomo (fatto reale riportato da Bandler e Grinder) che si credeva Gesù Cristo. Gli psichiatri avevano provato tutti i metodi classici, ma nessuno riusciva a fargli cambiare idea. La situazione sembrava senza vie d'uscita e irrisolvibile. Così un giorno Bandler va da questo uomo e gli chiede: "Lei è Gesù Cristo?". E l'altro: "Sì, figlio mio". Al che Bandler gli dice: "Torno tra un istante". L'uomo rimane un tantino confuso; tre o quattro minuti dopo, ecco che Bandler torna con un metro a nastro. Chiede all'uomo di allargare le braccia, ne misura l'apertura, misura quindi l'altezza dell'uomo, e se ne va. L'uomo che si proclama Gesù Cristo resta un tantino incerto. Qualche minuto dopo Bandler ritorna con un bel trave di legno, un altra appuntito da una parte, un martello e dei chiodi. Bandler richiede: "E' lei Gesù Cristo?". E l'uomo: "Lei lo ha detto, io lo sono!". Bandler: "Bene, bene!". Così distende l'uomo sopra il trave, gli apre le braccia (l'uomo è totalmente confuso ed esterefatto), prende un chiodo e il martello. In quell'istante l'uomo gli chiede: "Ma si può sapere cosa sta facendo?". Bandler: "Lei è Gesù Cristo, sì o no?": L'uomo: "Gliel'ho detto, io lo sono". Bandler: "Bene, bene, perché io sono il governatore romano Ponzio Pilato e lei sa bene cosa adesso gli faccio...". Non finisce di dire queste parole che l'uomo si mette ad urlare: "No, no, lo giuro, non sono io Gesù Cristo, non sono io...". Caso risolto. L'uomo non si definì mai più Gesù Cristo.

Il fondatore e presidente di una nota assicurazione, anni fa, si vantava di essersi sempre tirato su al meglio da qualunque situazione. Un giorno uno dei suoi dipendenti aveva commesso un errore terribile, che era costato all'azienda dieci milioni di dollari. Convocato il dipendente nel suo ufficio, esordì: "Immagino che lei voglia presentare le dimissioni?". E il dipendente: "Ma neanche per scherzo! Ho appena speso dieci milioni di dollari perché tutti vedano quanto lei, presidente, è capace!". Il presidente fu impressionato dalla risposta e non lo licenziò. Divenne in seguito uno degli elementi più creativi e utili all'azienda.

Quando qualcuno viene a parlare con me ed è spinto (o quasi costretto) da qualcun altro, si aspetta che gli dica quanto sia importante fare ciò che sta facendo. Siccome dirgli questo non funzionava mai, ho cambiato strategia. Adesso gli dico: "So che lei è qui perché mandato da..., penso che non sia il caso che parliamo perché non è bello dover parlare quando si è costretti". E loro iniziano a parlare!

Una volta uno mi ha detto: "Ha ragione, io me ne vado!". Ed io: "E' giusto che ognuno si senta libero di farlo. Vada pure!". E' uscito e dopo cinque minuti è tornato.

Tuo figlio va male a scuola. Ti metti vicino a lui e perdi tutti i pomeriggi nell'aiutarlo con i compiti. Ma lui continua ad andare male a scuola. Allora esasperata dici: "Ma cosa posso fare di più?". Di più niente, ma di diverso molto. Situazione senza via d'uscita; strategie inefficaci, cambia strategie! E' semplice.

Un bambino così ha ripreso a studiare quando la madre ha smesso di stargli addosso e nel pomeriggio prima di studiare lo porta a giocare fuori nel parco. Non è la soluzione per tutti i casi; ha solo cambiato strategia. Se una cosa non funziona, si cambia. Come si può pensare, se adesso non funziona, che cambi più avanti?

Un ragazzo prendeva sempre quattro al liceo. Sua madre era esasperata. Ogni volta che tornava a casa, pur tentando di trattenersi, le scappava sempre: "Ancora! E ti pareva!". Così lui si sentiva sempre più in colpa e incapace. Se la strategia non funziona, bisogna cambiare. Così un giorno, tornato a casa con un quattro meno, sua madre gli ha detto felice: "Finalmente qualcosa di diverso!". Il ragazzo ha sentito il cambio e la fiducia in lui, e da quel giorno è migliorato.

Molte coppie hanno le stesse dinamiche perverse da anni perché nessuno dei due ha il coraggio di cambiare.

Un uomo beveva sempre. La moglie era esasperata: gli nascondeva il vino ma lui lo trovava sempre. Così un giorno gli preparò una damigiana di vino sopra il tavolo e una scritta: "Se vuoi morire, muori subito, così non crei più problemi a nessuno di noi". L'uomo rimase scioccato e smise di bere.

Viktor Frankl visse nei campi di concentramento dove perse tutta la sua famiglia. In quella situazione non si poteva sopravvivere se non si fossero trovati dei motivi sensati per poter accettare quell'esperienza orribile. Così si disse: "Questa sarà la mia università di vita!". E sopravisse!

Quando una cosa non va sei tu che devi cambiare; quando ti trovi in una situazione difficile, trova una soluzione creativa, diversa. La gente, invece, si ostina a ritentare sempre la solita cosa. Ma l'hai già provata, non funziona, perché vuoi sbattere la testa contro il muro? Cambia strategia, vedi le cose in maniera diversa. E, invece no, la gente continua a sbatterci la testa e a farsi male e poi dice: "Non c'è niente da fare!". No, invece di voler passare per il muro, bastava girarsi e accorgersi che dall'altra parte c'era la porta.

Questo vangelo, poi, ci mette di fronte al nostro rapporto con la colpa.

L'amministratore del vangelo ha sbagliato: su questo non c'è dubbio, non c'è possibilità di errore. Che si fa?

Alcune persone non si perdonano più certi errori e continuano a fustigarsi. Ma fustigarsi è farsi del male ogni giorno. Alcune persone continuano a rimuginare e a ripetersi che cosa avrebbero dovuto fare in quella situazione, come avrebbero dovuto comportarsi; che non si doveva agire così, ecc. Tutto vero, ma ormai è successo. Che si fa?

L'uomo onnipotente, orgoglioso dice: "Non dovevo farlo. L'ho fatto, imperdonabile!". E non si perdona perché l'errore distrugge l'immagine di bravo cristiano, di bravo uomo, e lui non può accettarlo, non può vedersi così.

Certo avremmo dovuto fare diversamente ma non lo abbiamo fatto, non ne eravamo capaci, non ci siamo accorti o semplicemente non è andata così. E allora? Vogliamo ucciderci per questa cosa? A che ci serve morire (dentro o fuori che sia)? Cosa risolviamo? Ciò che è stato fatto è stato fatto; il passato non si cambia più. L'unica cosa che puoi fare è imparare a non ripetere e perdonarti.

Nel vangelo l'amministratore, accortosi della colpa, fa due pensieri. Il primo è: "Mendicare" (16,3). Mendicare vuol dire: "Non sono più degno d'amore, accettatemi lo stesso". Mendicare vuol dire: "Errore imperdonabile! E' giusto che io paghi! E' giusto che io soffra! Devo espiare!".

Una volta erano colpe imperdonabili avere un figlio fuori dal matrimonio; lasciare il sacerdozio; rimanere incinta senza essere sposata; avere avuto una relazione con un'altra persona, ecc. Chi si macchiava così aveva finito di vivere perché la società (e lui stesso) lo marchiavano per sempre. Eri finito! Eri per sempre una persona minore (svalutazione), un "poco di buono". Se sbagliavi eri finito per la società e per la religione di allora, avevi perso al faccia e non c'era nessuna possibilità di reintegro.

Il padre di una donna quarant'anni fa sposò una ex-suora, badessa, uscita dal convento. La cosa a quel tempo fece scalpore. Nel raggio di cinquanta chilometri nessuno lo assunse a lavorare! Eri finito!

Il secondo dei pensieri che fa l'uomo è: "Lavorare" (16,3). Ho sbagliato, non sono più degno; lavoro duro per riconquistarmi la mia dignità che ho perso. Ricordo un amico che dopo essere stato bocciato si sentiva così in colpa che l'anno seguente si buttò tutto sullo studio: dieci ore al giorno. Finì l'anno, venne promosso e si esaurì.

C'è una donna che non è stata affettiva con suo figlio. Lei lo sa e suo figlio ne ha sofferto molto. Adesso non è capace di dirgli di no; gli dà tutto, gli permette tutto, gli lascia fare tutto perché vive di rimorsi. Avrebbe dovuto essere diversa, non lo è stato e adesso cerca di compensare. Così aggiunge danno a danno. Perdonati: dovevi essere diversa, non lo sei stata, adesso però basta.

Cosa fa l'uomo del vangelo? Non dice: "Ho sbagliato, è finita! Ho perso la faccia!". Quante persone dopo un errore, un atto realmente grave, "fanno una croce" su di sé sentenzionandosi una condanna di morte!

Hai rubato; hai tradito il partner, hai sbagliato ad educare i figli, ecc.: fatti oggettivi. L'amministratore del vangelo non cerca di scusarsi. Di fronte a certi errori non c'è altro da dire: "O.k, ho sbagliato!" oppure: "Sì, ho agito io così!". Ma non perde la propria dignità.

Quando sbagliamo dentro di noi una vocina dice: "Fai schifo! Oddio che ho fatto! Ma perché l'ho fatto! Sarebbe stato meglio morire piuttosto che...".

L'uomo del vangelo dice: "Ho sbagliato ma non sono da buttare". Qualunque cosa tu faccia, perdonati. Perdonarsi vuol dire: "Io ho fatto questo... (e bisogna non dirselo solo fra sé e sé nella propria testa; bisogna dirlo a qualcuno perché solo dicendolo a qualcuno lo sentiamo anche noi e possiamo accettarlo). E poi: "So che questo ha creato questo... (dolore, sofferenza, ferite, perdite)". "Sono cosciente di questo e mi scuso con le persone che ho ferito (e si va dalle persone a cui si è fatto del male e si chiede scusa)". E poi, fatto tutto, si dice: "Adesso però basta", e si torna a vivere liberi e a testa alta.

Proprio nel momento in cui l'amministratore ha sbagliato si accorge degli altri e li aiuta. Non è da imitare il comportamento ma il senso di ciò che fa quell'uomo. Finora aveva sfruttato quelle persone e le aveva trattate senza cuore e senza umanità. Per lui erano stati degli esseri da spremere il più possibile. Adesso si accorge che sono degli uomini.

E perché se ne accorge? Se ne accorge perché adesso anche lui si trova nella loro condizione. Anche lui adesso è un debitore verso il suo padrone come prima loro lo erano verso di lui. In quel momento nasce la misericordia.

Un uomo perfetto non può avere misericordia, né amore. Un uomo perfetto non può che rifarsi alle rigide regole, alle norme e sentenziare: "Hai sbagliato, paghi, ben ti stà, dovevi pensarci prima!". Solo chi ha provato, sperimentato su di sé cosa voglia dire sbagliare, sentirsi uno schifo, sentirsi indegni, sentirsi colpevoli può conoscere la misericordia.

Chi non hai mai sbagliato (ed è impossibile per un uomo!) non conosce che la regola: "Te l'avevo detto, lo hai fatto, paghi tutto". Chi non sbaglia mai non può che giudicare: "Che gente!". Chi non sbaglia mai non conosce Dio perché, tutto sommato, crede di potersi meritare l'amore.

Tutti dicono di sbagliare ma la maggior parte delle persone, dentro di sé, crede di non fare grossi errori. Il guaio è che non è che non li faccia, ma che non accetta di vederli, così continua a mantenere integra l'immagine di brava persona. Per questo poi è spietata con la gente. Dentro di sé dice: "Per fortuna che io non sono come loro!". Dentro di sé dice: "Io non lo farei mai" (ma lo dice solo perché non si conosce per davvero).

L'uomo del vangelo compie un cambio: prima aveva messo tutte le sue energie per defraudare i debitori. Adesso le usa per aiutare i debitori. E ci mette tutta la sua passione e la sua grinta. Trasforma un errore in una forza.

Se tu sei stato alcolista e ne sei uscito, non puoi che mettere tutta la tua energia per aiutare altri ad uscire.

Se tu sei stato "un poco di buono" e ne sei uscito non potrai che lottare per aiutare altri ad uscire. Se tu hai vissuto nella paura e nel terrore di tutto, adesso che ne sei uscito, non potrai che dire a tutti quanto sia meraviglioso vivere senza paura, e non potrai giudica chi vive così. Se tu hai fatto un grosso errore, non puoi giudicare gli altri che lo fanno perché tu sai quanto dolore e quanta lacerazione c'è dietro (il che non vuol dire che li giustifichi o che dici che hanno fatto bene). Non potrai che aiutarli in questo doloroso passaggio.

Il perfetto non conosce tutto questo; il perfetto ha troppa paura di scoprire il suo lato ombra.

Gesù non è molto preoccupato dal nostro sbagliare. Gesù è più preoccupato dal nostro non voler ammettere di sbagliare, dal nostro far finta di niente, dal nostro credere di essere "tutto sommato" a posto.

E' importante esser consapevoli che, le colpe, i segreti di famiglia, le vergogne, i figli illegittimi e i tradimenti si trasmettono nelle nostre memorie a livello biologico. Così i nostri figli pagheranno le nostre colpe non perdonate. La Bibbia dice le colpe dei padri ricadono sui figli. E' proprio così.

Una donna ha tradito suo marito. La cosa dopo un po' di tempo è finita e nessuno lo sa. Ma non è vero che nessuno lo sa perché tu lo sai e lo sanno anche le tue cellule. La colpa è inscritta dentro di te e se non te ne liberi la passerai ai tuoi figli, senza che neppure lo sappiano.

Sei stata con tuo marito ma per tanto tempo hai pensato e amato un altro uomo, anche se non è successo nulla. Puoi dire: "Beh, non ho fatto niente. Beh, non è successo nulla". Ma il tuo cuore e le tue memorie sanno tutto. Se non ti perdoni questo rimane in te e passa ai tuoi figli.

Vivi una vita vuota e ti senti in colpa. Non rimanerci per te e per chi ami.

Ti senti in colpa per certe scelte: non rimanere in colpa, per te e per i tuoi figli perdonati.

Ti senti in colpa perché non sei come i tuoi genitori ti volevano? Perché non realizzi le aspettative che gli hanno su di te? Perché hai deluso te stesso? Perdonati, per te e per chi ami.

Ti senti in colpa perché quando tua madre è stata male prima di morire avresti dovuto starle più vicino e aiutarla di più, e prenderti più cura di lei ma non l'hai fatto? Perdonati.

Ti senti in colpa perché sei una persona gelosa, perché hai un carattere difficile, perché non riesci a trattenerti e scoppi di rabbia, perché ripeti i soliti errori: perdonati!

C'è chi sbaglia una volta (errore) ma c'è chi sbaglia ogni giorno (colpa). La colpa è quella voce che tutti i giorni ti ripete: "Non dovevi farlo; cos'hai fatto?; se gli altri sapessero!". La colpa ti tiene legato al tuo errore e ti punisce non una volta (errore) ma tutti i giorni della tua vita. Se vuoi essere libero, liberati dalle tue colpe.

Liberarsi dalle colpa implica: 1. riconoscere di aver sbagliato (come ci si può liberare da ciò che non si vede?); 2. ammettere l'errore e sentire tutta l'intensità delle emozioni collegate; 3. agire con le persone se sono interessate (chiedere perdono a loro); 4. fare un gesto fisico, reale, che rompa il legame con la colpa (una donna che si sentiva in colpa con il padre, ora morto, ha scritto una lettera, è andata in cimitero e in presenza di un testimone gli ha letto a voce alta la lettera, dove gli ha scritto tutto ciò che doveva dirgli).

Vivi da perdonato perché da colpevole si è destinati solo al giudizio e al patibolo.

Pensiero della settimana
La libertà è verità. La verità è libertà.

 

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