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TESTO Un re umile che sta in mezzo alla gente per servire

don Bruno Maggioni

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (25/11/2007)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Il tema della regalità di Gesù è sullo sfondo di tutto il racconto lucano della passione: si pensi all'entrata di Gesù a Gerusalemme, all'interrogatorio di fronte al Sinedrio, alle accuse al processo di fronte a Pilato, alla crocifissione. Si può dire che la regalità di Gesù è l'oggetto del dibattito che guida tutto il racconto della passione. Ciò è molto interessante. La regalità del Messia è affermata con chiarezza in un contesto di passione e di rifiuto. Fuori dal contesto della passione non si può capire la vera natura della regalità di Cristo. La pericope evangelica proposta dalla liturgia (Luca 23,35-43) risulterebbe incomprensibile se non venisse collocata nell'ampio contesto che abbiamo tracciato. È infatti il punto terminale di uno sviluppo che inizia con l'entrata di Gesù a Gerusalemme (19,28-40) che è certamente una scena regale ma che parla di un re umile e mansueto, povero. In questo apparente contrasto " da una parte la regalità e dall'altra la povertà " è già racchiuso il tema che il seguito espliciterà. Il nostro tema affiora ancora nel processo di fronte a Pilato (23,1-5). Luca dice chiaramente che Gesù fu accusato di essere re: «Sovvertiva la nostra nazione, proibiva di pagare i tributi a Cesare e diceva di essere il Messia Re» (23,2). E a una domanda di Pilato Gesù stesso risponde di essere re, ma in un modo diverso dalle accuse. Siamo in grado di capire fino a che punto si spinga tale diversità. Gesù è un re condannato innocente. E agli occhi degli uomini la sua sembra una regalità da burla: gli uomini sono abituati a ben altri re e a ben altre manifestazione della regalità! Questo Gesù lo aveva fatto già capire in precedenza: «I re delle genti le signoreggiano e coloro i quali dominano su di esse si fanno chiamare benefattori. Ma non così voi" io sono in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,25-27). C'è dunque una radicale differenza fra la regalità del mondo e la regalità di Dio, fra le manifestazioni della prima e le manifestazioni della seconda. La scena della crocifissione (23,33-43) raduna i motivi dispersi portandoli a compimento. Anzitutto la regalità di Cristo è affermata. Luca usa una costruzione enfatica: «Questi è il re dei giudei» (v. 38). È il motivo della condanna che vorrebbe significare, nella mente dei capi, la fine dell'assurda pretesa di Gesù: invece è l'affermazione inconsapevole che proprio lì, sulla Croce, la regalità di Gesù si manifesta in tutto il suo splendore. Gesù muore fra due condannati (lungo la sua vita egli fu sempre accusato di andare con pubblicani e peccatori): uno non comprende, prigioniero come tutti dello schema mondano della regalità («Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi»); ma l'altro intravede, dietro la debolezza della Croce, la potenza dell'amore che vi traspare: «Ricordati di me quando verrai nella tua regale maestà» (v. 42). Il motivo centrale ci è ora chiaro: la regalità di Gesù risplende nell'ostinazione dell'amore, nel rifiuto della potenza per salvare se stesso e per sottrarsi alla contraddizione. Si noti soprattutto l'insistenza su quel «salvare se stesso». Lo dicono i notabili («Ha salvato altri, salvi se stesso, se costui è il Messia» v. 35), lo ripetono i soldati (v. 37) e lo riafferma il condannato (v. 39). Ecco ciò che è inaudito: Gesù non si serve della sua potenza divina per salvare se stesso, per sottrarsi al completo dono di sé, per costringere coloro che lo rifiutano ad ammettere il loro torto. Gesù si abbandona totalmente all'apparente debolezza della non violenza e dell'amore. Dunque la regalità di Gesù è legata alla Croce. E tuttavia anche quegli aspetti che noi indichiamo come splendore, gloria, vittoria e potenza, non sono assenti. E difatti il Crocifisso è risorto e il Figlio dell'uomo tornerà nella maestà della sua gloria. Ma si tratta sempre della gloria dell'amore, del trionfo della via della Croce. Risurrezione e ritorno di Gesù sono la rivelazione dello splendore e della forza vittoriosa che la via della Croce nasconde. È in questa prospettiva che va compresa l'affermazione di Luca, che cioè il Cristo, crocifisso e risorto, regna già ora: oggi. È una regalità oggi che si percepisce nella fede. Ed è una continuazione della via della Croce: la Chiesa e il discepolo se vogliono festeggiare la regalità del loro Signore devono ripercorrere la via della Croce.

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