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TESTO Commento su Luca 23,35-43

don Daniele Muraro  

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (25/11/2007)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Con questa domenica si conclude l'anno liturgico. Si tratta di una scadenza di cui si accorge solo chi viene a Messa. Questa data infatti non corrisponde a nessun altro avvenimento, né amministrativo, né scolastico, né sociale e nemmeno culturale.

La Chiesa segue un calendario suo, religioso, che misura il tempo non tanto secondo i ritmi della natura o gli anniversari del passato, ma secondo la persona di Gesù Cristo. Si potrebbe dire che l'anno liturgico che noi seguiamo è Cristo stesso, contemplato di volta in volta, di settimana in settimana, secondo i misteri principali della sua vita e della sua identità.

Il modo di intendere il tempo che la Chiesa ci propone dunque non nasce dal basso, ma viene dall'alto, da Dio; è l'eternità di Dio che entra nel corso degli eventi umani e li plasma.

Chi si sottomette a questo nuovo ordine entra in una dimensione inedita del tempo e sperimenta un sistemazione inaspettata e appagante della sua storia individuale e sociale.

Abbiamo detto che è sempre il mistero di Cristo che la Chiesa propone ai suoi fedeli nelle varie tappe dell'anno liturgico. Al centro della scansione annuale sta il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto che culmina nella domenica di Pasqua. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.

Dalla Pasqua scaturiscono tutti gli altri giorni santi: Mercoledì delle Ceneri, Ascensione, Pentecoste, fino alla prima Domenica di Avvento e al Natale.

Quest'oggi in particolare dal calendario liturgico siamo chiamati a contemplare nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo. Quello di Re è un titolo che Gesù si è attribuito da solo nel tempo della sua vita terrena.

Secondo il suo pensiero di Gesù dunque nessuno poteva farlo Re, perché Egli è Re già da sempre.

Ciò spiega sia perché Egli rifiuta l'incoronazione regale quando gli viene proposta, sia perché invece davanti a Pilato non teme di confermare la sua condizione di Re.

Ma andiamo con ordine. Il Vangelo di san Giovanni ci informa che quando alcuni notabili si erano messi a cercarlo per prenderlo e farlo re, egli si fuggì dalla loro presa e si ritirò sulla montagna tutto solo. Erano i giorni seguenti al miracolo della moltiplicazione di pani e Gesù aveva acquistato una certa popolarità. Evidentemente non volle approfittarne ed ecco che la gente non gli perdono quello che giudicò una fatale incertezza.

La volta seguente infatti che a Gesù fu attribuito il titolo di Re fu davanti a Ponzio Pilato, governatore della Giudea. Alla sua domanda precisa: "Dunque Tu sei Re?", Gesù non esitò, "Tu lo dici, io sono Re! Per questo infatti sono venuto nel modo", ma precisò: "Il mio Regno non è di questo mondo".

Quest'ultima aggiunta non fu una maniera elegante per Gesù di salvarsi dall'accusa di sedizione contro l'autorità romana, prova ne sia che il discorso andò a finire sulla verità.

Pilato consegnò lo stesso subito il Cristo ai Giudei e alla loro sentenza capitale, ma restò impressionato da quell'ultima frase di Gesù: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità.", e la sua risposta: "Che cos'è la verità?" indica il tormento della sua anima che in quel momento agiva non secondo verità, ma secondo convenienza.

Resta dunque da vedere in che cosa consiste per Gesù il suo essere Re. La risposta la troviamo nel Vangelo di oggi.

Per ben tre volte la sua pretesa autorità viene messa in discussione sotto la croce, da dove Gesù domina la scena.

Cominciano i capi che scherniscono il condannato a morte ormai crocifisso: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto!".

La considerazione è sarcastica e le sue conclusioni sono tremende. Gesù aveva veramente beneficato il prossimo e la sua ricompensa fu la morte, dunque non vale la pena di fare il bene, né di affidarsi a nessun salvatore, perché tutti deludono; ognuno deve pensare a se stesso, secondo lo detto "si salvi chi può"; se c'è uno che comanda gli si può obbedire solo per paura e non per speranza o per amore.

Sentita la voce di capi ebrei è la volta delle considerazioni dei soldati: "Se tu sei il Re di Giudei, salva te stesso!".

Questi militari romani riprendono le idee dei capi ebrei, ma le attutiscono: loro sanno per esperienza che in battaglia un capo ci vuole, ma che comandante può essere uno che viene si lascia prendere e crocifiggere senza resistere? Sulla loro bocca questa espressione diventa anche uno spregio alla nazione giudaica e alla sua pretesa di indipendenza. "Finché date seguito a profeti come questo", sembrano dire i soldati, "cari Giudei, non andrete molto lontano!"

Infine la terza obiezione alla regalità di Cristo viene dal ladro crocifisso alla sua sinistra, il quale ha una richiesta precisa da fare: "Salva te stesso e anche noi!", ma la sua è una ribellione disperata. Sa che solo un miracolo potrebbe salvarlo, ma non ci crede. Dalla condanna di un giusto come Gesù trova solo la conferma della sua vita precedente fatta di violenze e di rapine. "Se anche chi si comporta bene, fa la fine del malfattore" sembra dire il ladrone di sinistra, "allora chi si dà alla malavita può darsi che sia più furbo degli altri".

Gesù ascolta, sovranamente superiore alle critiche degli uomini, ma si lascia commuovere dalle considerazioni del secondo ladro, quello alla sua destra e lo accontenta: "Oggi sarai con me nel paradiso!"

Egli dimostra così la sua vera regalità, quella negata dai suoi nemici, ma proclamata nonostante tutto dal cartiglio sul braccio più alto della sua croce: "Gesù Nazareno Re dei Giudei".

Egli è Re per diritto di natura e per conquista. Egli è nato Re, perché è Figlio di Dio in senso proprio e dunque Regna insieme al Padre e con Lui governa il mondo, ma è Re anche per conquista dei cuori perché Egli li attira a sé e li fa suoi.

Dal trono della croce Gesù comincia ad allargare il suo Regno; lo fa introducendovi per primo un malfattore pentito e poi tutti quelli che per mezzo suo sono liberati dal male (il potere delle tenebre) e lo accettano come loro Signore e Dio.

Cristo non rimane a lungo sulla croce, ma nelle nostre chiese e anche nelle casa rimangono i crocifissi, con la scritta in alto (INRI) Gesù Nazareno Re dei Giudei, ad indicare da dove Egli ha incominciato a manifestare il suo potere e come intende regnare anche oggi nelle coscienze e nella vita sociale.

 

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