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TESTO Non lasciamoci ingannare

mons. Antonio Riboldi

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/11/2007)

Vangelo: Lc 21,5-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 21,5-19

In quel tempo, 5mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

Quante volte, assistendo ai disordini che l'uomo sembra moltiplicare, giorno per giorno, e di fronte a vere catastrofi, sentiamo dire: "Ma è la fine del mondo!". Come ad affermare che stiamo arrivando al capolinea della storia ed in modo disastroso.

Questa è l'ultima domenica dell'anno liturgico, che scandisce la nostra storia, facendoci prendere per mano dalla vita di Gesù che, con amore, si fa battistrada per essere degni della Gloria celeste.

Insieme abbiamo vissuto il tempo dell'Attesa di Dio, che viene tra di noi, nell'Avvento; abbiamo gioito della Venuta di Gesù tra noi, ieri, oggi e sempre, nel Natale; abbiamo contemplato la Sua opera di redenzione nella Quaresima, che invitava alla conversione, per entrare nella Gioia della Sua Resurrezione, dopo la Sua Passione e Morte; e, sostenuti dalle "lingue di fuoco" della Pentecoste, che ci donava lo Spirito Santo, abbiamo cercato di stare alla scuola del Maestro, fino al compimento della Misericordia.

E così la Chiesa, oggi, proprio come a farci entrare nel compimento della Storia della Salvezza, ci fa meditare sulla fine di tutto, per dare inizio al Tutto, che è la Vita celeste.

Gesù, nel Vangelo, coglie l'occasione per il suo insegnamento, interrompendo l'estasi di chi si era soffermato nell'ammirazione delle bellezze esteriori, compiute dall'uomo, con parole che devono farci meditare. Ascoltiamo l'evangelista Luca: "In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra, che non venga distrutta. Gli domandarono: Maestro quando accadrà tutto questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi? Rispose Gesù: Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: Sono io e il tempo è prossimo. Non seguiteli" (Lc 21,5-19).

Con giustissima insistenza si fanno previsioni e progetti per un futuro che eviti catastrofi. E ci si accorge - e questa può essere saggezza - che il futuro non può essere mai la ripetizione di quanto si è cercato in tutti i modi, anche errati, di ottenere. In tutto. Anche nella nostra vita interiore.

E non riusciamo, a volte, a mettere in discussione che, quello che chiamiamo 'progresso', può risultare un camminare 'fuori strada'.

Quando tentiamo di aggredire una montagna difficile, è saggezza accorgersi se siamo fuori sentiero e, quindi, con tempo e fatica, tornare alla ricerca di quello giusto.

Il Vangelo di oggi ci invita, quindi, a tornare indietro, se necessario, a fermarci un momento, per capire, alla luce del Vangelo, se il nostro vivere è nella giusta Via, Verità e Vita. Come sanno fare i santi.

Mi è caro, oggi, farvi partecipi, carissimi, della grande gioia che provo, come suo discepolo, perché a Novara, verrà proclamato Beato, via alla canonizzazione, Antonio Rosmini.

Per tanti la notizia che l'abate Antonio Rosmini, fondatore della Congregazione, definita "Istituto della carità", (Rosminiani, a cui ho la gioia di appartenere) presto sarà beato, forse fa sorgere la domanda: "Ma chi è costui?".

Eppure appena la Chiesa ruppe il silenzio doloroso attorno a lui, considerato da tanti, per ignoranza certamente, pericoloso per il pensiero teologico e la Chiesa, subito, ed oggi più che mai, Rosmini è stato oggetto di ammirazione e studi.

Si vuole conoscere ciò che era stato nascosto, proibito, per troppo tempo. Rosmini nasce a Rovereto (Trento) da una famiglia nobile e molto facoltosa. A 18 anni, contro il parere dei genitori, che in lui avevano riposto disegni di carriera nobile e prestigiosa, segue la vocazione del sacerdozio. E' ordinato nel 1821. Ma sente interiormente che la volontà di Dio vuole per lui 'altro', e così per alcuni anni vive nella casa paterna di Rovereto, come in attesa che Dio manifesti la sua volontà.

Attende che sia Dio a chiamarlo. Non vuole essere lui a scegliere. È quel principio di totale abbandono a Dio, che poi chiamerà - e darà come 'segno' caratteristico ai suoi discepoli nell'Istituto – "principio di passività", ossia "essere sempre e tutto a disposizione di Dio".

Nel 1828, lascia Rovereto: un taglio netto con la ricchezza e il benessere che avrebbe potuto continuare a godere nella bellezza del suo palazzo, ancora oggi luogo di arte e ammirazione, e si nasconde su un piccolo colle, che sovrasta la città di Domodossola, il Sacro Monte Calvario.

In un complesso abbandonato e isolato, sceglie come abitazione una 'cella', tanto simile a quella di S. Francesco. È ancora oggi mèta di pellegrinaggi, ma, soprattutto per noi rosminiani, è il 'segno' della povertà, che è la via di Cristo e dei Santi.

Una piccola stanza con il solo letto, una catinella per lavarsi ed una scrivania. Il resto solo povertà. Lui che era ricco! E lì fonda l'Istituto della Carità. Scrive libri, continua il suo personale cammino di perfezione, i cui princìpi lascia in un libricino per tutti: Le Massime di perfezione cristiana.

Cosciente dell'importanza di lavorare per la Chiesa e con la Chiesa, decide di incontrarsi con il Santo Padre, per sottoporgli le sue idee. Pio VII, già nel 1823, lo aveva incoraggiato a studiare filosofia, ora Pio VIII ribadisce: "E' volontà di Dio che ella si occupi nello scrivere libri: tale è la sua vocazione. La Chiesa al presente ha gran bisogno di scrittori, dico di scrittori solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugli uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli per la ragione e per mezzo di questa condurli alla religione (Sembra il pensiero del nostro Papa, Benedetto XVI).

Si tenga certo che ella potrà recare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandosi nello scrivere che non esercitando qualunque opera del sacro ministero".

E come rispondendo a questo invito, Rosmini scrive il famoso "Delle cinque piaghe della Chiesa" e "Le Massime di perfezione", forse i due testi più conosciuti.

Ma la sua immensa capacità di fede e pensiero gli consente di affrontare problematiche tuttora attuali: "Principi di scienza morale", "Antologia in servizio della scienza morale", "Il rinnovamento della filosofia in Italia", e via dicendo.

Ma c'erano gli avversari, desiderosi di trovare una qualche occasione per umiliarlo.

Intanto Pio IX, salito al soglio pontificio, lo vorrebbe ordinare cardinale, anzi Segretario di Stato. Ma gli eventi politici precipitano: è il 1848. Pio IX è costretto a fuggire da Roma e rifugiarsi a Gaeta, dove richiede l'intervento di Rosmini. È l'inizio dell'esilio, della umiliazione e, io dico, della sua santità.

Incomprensioni e pressioni fanno sì che Pio IX decida di mettere all'Indice "Delle Cinque piaghe della Chiesa" e "La Costituzione civile secondo la giustizia sociale". Si è passati dall'offerta del cardinalato alla condanna! E pensare che Manzoni, amico di Rosmini, ebbe a dire di lui: "Delle cinque o sei più grandi intelligenze che l'umanità abbia prodotto a distanza è Rosmini".

Possiamo immaginare la veemenza con cui gli avversari attaccarono Rosmini, il sacerdote amato e lodato dai Papi. Fu tanta la bagarre contro di lui, che il S. Padre impose 'il silenzio', che era come una pietra sulla tomba.

Come risponde Rosmini? Prega per le "incredibili vicende per le quali mi conduce la Provvidenza, a cui non fallisce giammai l'immutabile consiglio. Io, meditandola, la annunzio; ammirandola, l'amo; amandola, la celebro; celebrandola, la ringrazio; ringraziandola, m'empio di letizia" (lettera all'amico don Parma).

Vive gli ultimi anni a Stresa, nel silenzio, circondato da dubbi, come emarginato dalla sana dottrina. Continua a scrivere, dandosi una regola precisa: "Adorare, tacere, godere".

Il 'cuore', che dette alla Congregazione, è la carità. Una carità che coinvolge tutto l'uomo, in tre aspetti che vanno in lui armonicamente amati, curati e rispettati: la dimensione corporale, intellettuale e spirituale.

La carità temporale è la cura della vita corporea, riconoscendo e promuovendo tutto ciò che è dono di Dio: la salute, il cibo, il lavoro, la casa e ogni realtà necessaria ad una vita dignitosa.

Un gradino più su, ma sempre "l'uomo da amare", la carità intellettuale, secondo le parole di Gesù: "Non di solo pane vive l'uomo". Occorre non fermarsi ai soli bisogni del corpo, che possono generare un dannoso materialismo pratico e non sono l'amore globale all'uomo, ma ridare all'uomo la coscienza della propria dignità, la capacità di esprimersi e scegliere, non per affermare se stesso, ma come libertà nel dire 'sì' a Dio e al prossimo. È la carità della cultura, dell'intelligenza che fa scoprire le immense 'ricchezze che Dio ha dato ad ogni uomo'. È un "cogito ergo sum", che si apre al Trascendente.

Ed è la carità che oggi più manca. In un incontro, anni fa, con Giovanni Paolo II, alla sua domanda di cosa necessitassero gli italiani, risposi: "Ci vorrebbero tante Madre Teresa della cultura. L'uomo non pensa più e questo lo rende una merce senza senso". Ricordo che dette un pugno sulla scrivania e disse: "Questa è l'intuizione, che cercavo". Ed oggi, più che mai, è l'urgenza della Chiesa, di fronte all'attacco indiscriminato del materialismo.

Ed infine la carità spirituale: aiutare l'uomo nel cammino della santità, che è poi la carità più grande, quella di Cristo stesso verso di noi.

Rosmini amava affermare che mentre la carità temporale può essere un'attività limitata al corpo, come gli ospedali; la stessa carità intellettuale può essere esplicata negli istituti di educazione o scuole; quella spirituale è propria dei pastori, in particolare, e dei cristiani coscienti della loro missione.

E aggiungeva che di queste tre forme di carità, chi le svolge tutte e tre, sono "i pastori di anime".

Amare un uomo integralmente, fare un uomo, è mettere in atto la parabola del buon Samaritano: non dategli appena un pezzo di pane, dategli il pane della cultura, dategli il Pane della Vita.

Aiutatelo a rizzarsi in piedi: è la carità integrale... che non ama mai un uomo a metà!

Oggi la nostra Italia ne ha più che mai bisogno, per questo Rosmini si impone alla nostra attenzione e devozione. È stato ed è davvero un gigante della carità intellettuale e spirituale del nostro tempo. Dio, i Suoi Santi, li dà a tempo opportuno, e Rosmini è davvero un dono necessario per questa nostra umanità a dir poco confusa.

Così amava dialogare con Dio: "O quanto è dolce il conversar con Dio, parlar di Dio, soddisfare Dio. Ricordarsi, volere e intendere Dio. Conoscere Dio, innamorarsi in Dio!

Lo stare e il ritornare con Dio; il cercare e il trovare in Dio, Dio.

Donando tutto se medesimo a Dio lasciare per Dio il gusto anche di Dio.
Il pensare, il parlare, l'operare per Dio.
Solo sperare col dilettarsi in Dio.

Il dilettarsi e il consacrarsi a Dio e a Dio solo piacer, patir per Dio, solo godere in Dio.

Solo voler Dio e stare sempre con Dio: gioire nei gusti e nelle pene in Dio.

Veder Dio, toccar Dio, gustare Dio: vivere, morire e stare con Dio".

 

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