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TESTO Credo la resurrezione dei morti

don Daniele Muraro  

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/11/2007)

Vangelo: Lc 20,27-38 (forma breve: Lc 20,27.34-38) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Dopo la festa di tutti i santi e la commemorazione dei fedeli defunti la liturgia di questa domenica ci ripropone il mistero della vita oltre la morte.

Pur rimanendo nascosto alla constatazione diretta, il destino eterno dell'anima è sempre stato presente alla riflessione degli uomini. Lo testimoniano seppure in maniera diversa tutte le civiltà e tante opere d'arte, quelle ritrovate nelle tombe, e i poemi di tanti popoli.

"Non morirò mai del tutto" diceva lo scrittore latino Orazio. A questa aspettativa indeterminata, ma profonda, la fede cristiana ha aggiunto la promessa della "resurrezione dei corpi", chiamata anche, in modo da togliere qualsiasi dubbio, "resurrezione della carne".

Già i sapienti greci avevano dichiarato che propriamente l'anima non muore, solo si stacca dal corpo. La condizione dell'anima disincarnata però non è la migliore, né quella prevista da Dio fin dal principio.

La risurrezione di Gesù dai morti aprì ai primi discepoli cristiani la prospettiva di una vita eterna presso Dio, godendo di un corpo trasfigurato in somiglianza di quanto era accaduto per il loro Signore. Questa fede rese coraggiosi i martiri nella loro adesione al Signore Gesù.

Poco dopo l'anno 100, sant'Ignazio di Antiochia, condannato a morte dall'autorità civile, afferma con piena consapevolezza: "Quando sarò giunto là (nella vita eterna), allora sarò pienamente uomo".

E alla comunità cristiana di Roma che cercava attraverso le proprie conoscenze presso l'Imperatore di evitargli il supplizio, egli in viaggio verso la capitale, prigioniero e scortato da dieci soldati, scrive per rifiutare l'aiuto e dice:

"È bello per me morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra. Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. Perdonatevi fratelli. Non impedite che io viva (per sempre)... Lasciate che riceva la luce pura... Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio.".

Sono espressioni che impressionano noi cristiani di oggi e che richiamano le risposte dei fratelli Maccabei ascoltate nella prima lettura. Alle minacce e alle lusinghe del Re Antioco che voleva costringerli a profanare la legge di Mosè, uno dopo l'altro i sette fratelli contrappongono i diritti di Dio e la sua onnipotenza, capace di premiare con la resurrezione chi Gli si mantiene fedele.

Andando avanti nel racconto del libro sacro oltre la pagina portata oggi troviamo la testimonianza anche della madre che, "vedendo morire sette figli in un sol giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Lei esortava ciascuno di essi nella lingua paterna, piena di nobili sentimenti e... diceva loro: 'Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il creatore del mondo, che ha plasmato alla origine l'uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi'."

La fede nella resurrezione dei morti dunque appartiene già all'Antico Testamento e si consolida con la resurrezione di Gesù: "Cristo è veramente risuscitato dai morti, primizia di risurrezione per quelli che sono morti... Come tutti gli uomini muoiono per la loro unione con Adamo, così tutti risusciteranno per la loro unione a Cristo."

Questa verità di fede è entrata ben presto nel Credo, anche in quello che reciteremo fra poco, e ne costituisce la conveniente conclusione. Alla fine del Credo noi diciamo infatti: "Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà".

Vorrei soffermarmi ancora sulla prima di queste due espressioni, "aspetto la resurrezione dei morti", lasciando l'argomento della vita eterna per la prossima settimana.

Nominando il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Gesù fa risalire la speranza nella risurrezione corporea dei morti fin dall'alleanza con i Patriarchi: essi che per primi sperimentarono la fedeltà di Dio alle sue promesse terrene, questo è il ragionamento di Gesù, dopo la loro morte non poterono essere abbandonati in balìa della corruzione.

Questa rivelazione è tanto grande che gli stessi Ebrei stentavano a credervi e le opinioni si erano divise. Al tempo di Gesù infatti i sadducei affermavano che non c'è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece professavano tutte queste cose. I sadducei diremmo noi erano dei materialisti, mentre i farisei potevano sembrare un po' bigotti.

Nel corso della sua missione Gesù dovette confrontarsi con entrambe le posizioni. Davanti tutti non esitò a confermare la fede del suo popolo in un Dio che "non è il Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per Lui" e insieme definì meglio le attese di una resurrezione corporea, ma trasfigurata.

È ben vero che i morti l'ultimo giorno risorgeranno, ma in forza di questo evento essi appartengono al mondo nuovo e diventano uguali agli angeli.

Negare queste disposizioni divine comporta di cadere in un grave sbaglio. "Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?" è l'introduzione che l'evangelista Marco premette alla risposta di Gesù alla questione sollevata dai sudducei.

Dunque il giorno del giudizio finale tutte le anime dei defunti qualcosa riprenderanno di ritorno e qualcosa invece lasceranno da parte. Riceveranno, o forse è meglio dire, riceveremo un corpo glorioso, trasfigurato e lasceranno, o per meglio dire, lasceremo, la parte corruttibile e segnata dalle passioni.

Risurrezione del corpo significa che in Dio l'uomo non ritrova solo la sua dimensione fisica, ma anche la sua storia e la sua capacità di entrare in relazione con gli altri.

Dio fece da uno solo tutto il genere umano. Le anime invece vengono plasmate una per una. È giusto perciò che l'anima spirituale non muoia mai, mentre il corpo fisico venga restituito ai risorti solo alla fine dei tempi.

Detto con parole diverse in relazione al corpo gli uomini hanno fra loro un certo legame di continuità che sarà confermato solo quando la storia sarà terminata e tutti saremo radunati per il giudizio finale. Il corpo glorioso allora sarà del tutto soggetto all'anima glorificata.

È per questo motivo che i luoghi che i pagani chiamavano sepolcri, per i cristiani sono diventati il "cimitero", ossia il "dormitorio", dove si riposa in attesa della risurrezione.

«Non di tutti è la fede». Questa lapidaria espressione di san Paolo nella seconda lettura ci fa riflettere. Fin da adesso con il nostro comportamento dobbiamo dimostrare di essere candidati alla risurrezione perché il nostro Dio è un Dio della vita senza diminuzioni.

Accompagnati dai grandi uomini del passato, riconosciamo dunque anche noi la nostra dignità: Essi dicevano: "Se Dio esiste, anch'io sono immortale!" e noi possiamo concludere: "Senza di te, Gesù, noi nasciamo solo per morire; con Te, moriamo solo per rinascere."

 

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