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TESTO Commento Luca 19,1-10

don Daniele Muraro  

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (04/11/2007)

Vangelo: Lc 19,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 1entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Il brano evangelico di questa domenica ci fa entrare assieme a Gesù dentro la città di Gerico. Non si tratta di un cammino distratto e frettoloso come normalmente accadeva in questa cittadina di confine, o come tanto più capita oggi nella convulsa vita quotidiana.

Anche se doveva arrivare fino a Gerusalemme, Gesù camminando si fermava per incontrare la gente, aiutare chi era nel bisogno, guarire i malati e consolare chi si trovava nell'afflizione.

Egli percorreva le vie della città, ma in realtà voleva arrivare alla porta del cuore di ciascuno, quel santuario della coscienza dove si decide fra il bene e il male, fra una vita in sintonia con Dio o lontana da Lui.

Gerico, una delle più antiche città del mondo, era una fiorente oasi circondata dal deserto e la sua vicinanza ai guadi del Giordano ne aveva fatto un'importante stazione doganale.

Qui abitava un capo dei pubblicani chiamato Zaccheo. Era un appaltatore privato a cui l'autorità costituita aveva dato l'incarico di controllare la riscossione delle tasse per la regione. Questo lavoro gli aveva permesso di incassare delle belle somme: evidentemente Zaccheo ci sapeva fare anche se a motivo del suo potere e dei suoi metodi sbrigativi era temuto e disprezzato.

Assecondando l'entusiasmo della folla, Zaccheo vorrebbe anch'egli vedere Gesù che passa, ma essendo piccolo di statura, a causa della gente non riesce né a distinguerlo né tanto meno ad avvicinarsi a Lui.

Possiamo interrogarci sul motivo di tanta curiosità verso il Maestro che era di passaggio per le piazze della sua cittadina e che presto si sarebbe allontanato, trasportato dalla sua missione. In molti c'era il desiderio di vedere Gesù e basta, così per farsene un'idea, altri si erano preparati ad ascoltare volentieri la sua parola, certamente non mancavano quelli che intendevano raccomandargli un'intenzione o chiedere una grazia.

Fra la ressa di mani che si protendevano e saluti e richieste che venivano lanciati per essere colti al volo, Gesù però ha un occhio di riguardo per il capo dei pubblicani, respinto dalla folla e avvinghiato ad un albero di sicomoro nell'attesa che tutto il gruppo dei discepoli e degli accompagnatori transiti di là.

Gesù si accorge di lui e della sua inquietudine, nota qualcosa di strano nell'iniziativa di un uomo fino a quel momento attaccato solo al suo banco e che ora sfidava il disprezzo dei concittadini pur di attirare la sua attenzione.

Gesù dimostra così di avere occhi non solo per quello che non va ed è da condannare, ma anche per ogni germe di bene che spunta nel cuore degli uomini. Con il suo invito all'isolato Zaccheo egli espone davanti a tutti la sua sollecitudine per il riscatto del peccatore e il suo recupero al bene e alla pace della coscienza.

Zaccheo ne approfitta subito senza lasciarsi sopraffare dall'emozione, né dalla vergogna o dal sentimento dell'indegnità, ma pieno di gioia accoglie il Signore a casa sua.

"Anch'egli è figlio di Abramo", cioè è destinato alla salvezza, dice Gesù per giustificare la preferenza accordata ad un pubblico peccatore.

Dio si interessa di ciascuno dei suoi figli, dichiarava già la prima lettura. "(Tu, Signore,) hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento... Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato".

Veramente l'Onnipotenza di Dio si manifesta soprattutto nella perdono e nella trasformazione interiore dell'uomo che da colpevole diventa giusto, da corrotto sano, da sprezzante caritatevole.

Quello che il peccatore indurito nella sua colpa intende come il rimprovero della sua coscienza in realtà altro non è che l'eco della voce di Dio, che attraverso il suo Spirito ammonisce e invita alla conversione.

Dio non ha interesse che l'uomo sua creatura si perda, ma cerca in tutte le maniere di recuperarlo e se il colpevole arriva alla disperazione non è per la mano pesante di Dio che schiaccia ogni proposito di cambiamento, ma per la sua ostinazione nel peccato e la superbia nel giustificarsi.

"Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto" proclama il salmo responsoriale.

Di fronte a questa immensa misericordia di Dio dal cuore dell'uomo non può non levarsi un canto di lode e di benedizione.

"O Dio, mio Re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome": è sempre il salmista di oggi che parla.

La lode di Dio non è dunque un lusso, o una raffinatezza spirituale da lasciare ai santi o ai monaci; è il senso stesso della vita. Quando diciamo le lodi a Dio, quello non è tempo sprecato e neppure un tempo come gli altri, magari un intermezzo tra attività più concrete e redditizie. È, invece, il tempo forte, è la spina dorsale del resto del tempo; li noi ci realizziamo, dal momento che la nostra realtà è di essere gloria vivente di Dio.

La lode fa parte dell'amore, ossia parte dall'esperienza di ricevere l'amore attraverso la misericordia e a questo amore risponde in maniera similmente gratuita attraverso la l'esaltazione e l'elogio.

Quando contempliamo il cielo stellato e la perfezione dell'universo l'anima è portata suo malgrado alla lode, ma questo atteggiamento si rafforza ancor di più se si soffermiamo sulla bontà di Dio verso l'uomo manifestata dal suo Figlio Gesù. Egli infatti è venuto a cercare e a salvare proprio quello che spesso si ritiene perduto: l'uomo con la sua dignità e la sua capacità di fare il bene.

Uno dei primi martiri cristiani, sant'Ignazio vescovo di Antiochia raccomandava: "Procurate di riunirvi più frequentemente per il rendimento di grazie e per la lode a Dio. Quando vi radunate spesso le forze di satana sono annientate ed il male da lui prodotto viene distrutto nella concordia della vostra fede."

La preghiera fatta assieme allontana lo spirito di discordia e rinsalda nella fraternità la comunità riunita nel nome del Signore.

Lo diceva anche san Paolo nella seconda lettura scrivendo ai cristiani di Tessalonica: "Io prego continuamente per voi. Domandando a Dio che vi faccia degni della vita alla quale egli vi chiama. Gli domando che, con la sua potenza, egli vi aiuti a realizzare i vostri desideri di fare il bene e renda perfette le opere che nascono dalla vostra fede. Così darete gloria al nome di Gesù nostro Signore, e voi stessi sarete glorificati da lui. Questo è un dono che viene dal nostro Dio e dal Signore nostro Gesù Cristo."

Un autore spirituale dice: "Dovessi insegnarti la strada più breve e sicura per la felicità e la perfezione, ti direi di darti una regola: ringraziare e lodare Dio per tutto ciò che ti accade."

Il primo stadio della lode consiste nel notare i benefici del Signore. Più tardi e con l'esercizio viene la gratitudine e poi la percezione della gioia duratura.

Iniziamo a lodare Dio qui in chiesa per imparare poi a trovarlo e a gioire della sua presenza sulle strade di ogni giorno.

 

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