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TESTO Signore, abbi pietà di noi peccatori!

padre Antonio Rungi

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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/10/2007)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La Parola di Dio di questa XXX Domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico ci fa riflettere su un'altra parabola di Gesù Cristo, finalizzata ad istruire le persone che presumevano di essere giuste e che condannavano le altre. Tema molto attuale anche nell'ambito della riflessione etica che come comunità di credenti si porta avanti nella catechesi e nella formazione delle coscienze. E' la celebre parabola del fariseo e del pubblicano. Il brano del Vangelo Luca ci propone oggi questa riflessione, utile per ognuno di noi.

E' da sottolineare di fronte all'atteggiamento del fariseo come questi evidenzi tutti i suoi meriti davanti a Dio e non mette in discussione minimamente la sua condotta, ritenuta irreprensibile solo perché osserva esternamente la legge ed è ligio al suo dovere di facciata. In questo fariseo notiamo l'alterigia, la superbia, l'orgoglio, la massima presunzione di una persona che si ritiene giusta e che giusta non lo è, in quanto davanti al cospetto di Dio nessuno è giusto e tutti sono peccatori e bisognosi della sua misericordia e perdono. Triste è nel suo dire anche il confronto che fa con alcune categorie di peccatori incalliti e riconosciuti ufficialmente, quali i ladri, gli adulteri e i pubblicani, che per il loro ruolo di riscuotere le tasse erano malvisti e mal tollerati.

Dall'altro lato, cogliamo un atteggiamento di umile riconoscimento della propria debolezza e fragilità nell'altro uomo entrato nel tempio e che si tiene lontano dal luogo più importante del tempio, occupata dal fariseo. Egli sta a distanza, non alza neppure gli occhi al cielo per vergogna, si batte il petto quale segno esteriore del suo pentimento interiore. E' un uomo che si misura con le sue fragilità e debolezze e chiede misericordia e perdono a Colui che tale perdono più concedere largamente, in quanto sa come stanno effettivamente le cose, perché legge nell'intimo delle persone. E' quel Dio ricco e grande nell'amore che perdona ad ogni nostra richiesta di misericordia. Naturale quindi che a conclusione dell'esempio che Gesù porta emerga nella sua valenza morale e religiosa il comportamento e l'atteggiamento del pubblicano rispetto al fariseo, tanto da far dire a Gesù con chiarezza di valutazione morale che il pubblica è giustificato, mentre il fariseo no. C'è pure il richiamo finale che è la massima utile per bene agire davanti a Dio e di conseguenza davanti agli uomini: chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato. Quanto sia vero tutto questo soprattutto nelle vicende spirituali personali lo si conosce bene. La lezione sull'umiltà è davvero singolare nel contesto della parola di Dio che oggi ascoltiamo nella liturgia e che è espressa nella sintesi della preghiera iniziale della santa messa di oggi: "O Dio, tu non fai preferenze di persone e ci dai la certezza che la preghiera dell'umile penetra le nubi; guarda anche a noi come al pubblicano pentito, e fa' che ci apriamo alla confidenza nella tua misericordia per essere giustificati nel tuo nome".

Che Dio privilegia i poveri, gli oppressi, gli umiliati lo sappiamo benissimo, anche perché è la strada che Egli ha percorso per primo nel mistero della Passione e Morte in Croce di Gesù Cristo suo Figlio. Di questo troviamo un anticipazione nel testo della prima lettura di oggi, tratta dal libro del Siracide.

E' un Dio vicino alle sofferenze umane e ad esse presta l'attenzione necessaria, perché chi è toccato possa trovare il conforto e il sollievo in Lui. Certamente la preghiera dell'umile come ricorda il testo viene più ascoltata da chi umile non lo è. Ed il riferimento al brano del Vangelo di oggi è quanto mai pertinente.

Un Dio per il quale vale la pena soffrire ogni cosa, ogni prova e la stessa morte e martirio, come ci ricorda l'apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua seconda lettera all'amico Timoteo.

Il testo ci presenta un Paolo dovutamente preparato per dare l'estrema testimonianza di fede e di amore a Gesù Cristo, prossimo come è alla sua fine, che ben sappiamo è avvenuta per condanna a morte e per martirio. E in tale circostanza, l'Apostolo annota come è stato duro anche per lui difendersi e difendere il nome del Signore e la sua fede in Lui davanti ai tribunali di Roma. Tuttavia, fa notare che pur essendo rimasto solo della compagnia umana, in realtà ha sentito fortemente la vicinanza di Dio proprio nei momenti più difficili della sua vita. In fondo egli è quanto mai cosciente e convinto che la sua morte per testimoniare la fede in Gesù Cristo servirà alla causa del vangelo, come di fatto poi in questi duemila anni dell'era cristiana è servita.

La testimonianza di amore a Gesù Cristo che ci ha dato l'apostolo Paolo fino a morire martire per Lui, ci serva da aiuto e sostegno per essere anche noi testimoni di Cristo nell'oggi della storia e della Chiesa. Il vero testimone è quello che si fa piccolo per il Regno dei cieli, perché a questi il Signore si rivela in modo particolare e sicuramente più fecondo.

 

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