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TESTO Quale preghiera arriva a Dio?

don Marco Pratesi  

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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/10/2007)

Brano biblico: Sir 35,12-14.16-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Il Siracide ci insegna che Dio non si lascia impressionare dalla ricchezza umana; cosa per niente ovvia, che anzi va contro il comune modo di pensare. Spontaneamente si ritiene che, se Dio ci domanda doni e sacrifici, se chiede le nostre ricchezze materiali e/o spirituali, ne abbia in qualche modo bisogno. Allora più ho merce da offrirgli, più mi ascolta. Tale merce può essere qualunque cosa Dio apprezzi: atti di culto, preghiere, sacrifici, virtù, buone azioni, etc. Se mi presento da lui a mani vuote che cosa posso sperare? Dentro di me cova sempre l'immagine di un Dio che si lascia placare dai doni che posso fargli. Visto che lui è più potente, devo entrare nelle sue grazie, e cerco di attirarmi il suo favore cedendogli qualcosa di mio. La mia ricchezza mi dà un po' di potere su Dio. Come avviene nel mondo, dove qualunque ricchezza dà sempre un certo potere.

Colpo di scena: ciò che muove Dio, che lo "condiziona", non è la ricchezza ma la povertà. Cambia tutto. Dobbiamo presentarci a Dio nello spirito del povero, poiché solo il grido del povero perfora le nubi, arriva fino a Dio, non si ferma prima, quasi forzandolo ad intervenire. La preghiera del ricco, di chi pensa di commerciare con Dio, rimane sulla terra. Dio invece ascolterà sempre una preghiera che sale de profundis (Sal 130,1), dalle profondità della nostra povertà di creature, quando "l'abisso chiama l'abisso" (Sal 42,7), dall'abisso della miseria a quello della misericordia (cf. CCC 2803).

Questo è da tenere presente non solo nel nostro rapporto con Dio, ma anche - non meno importante - coi fratelli: dobbiamo rapportarci con gli altri nello spirito della gratuità, che è poi lo Spirito del Signore. Non accolgo l'altro nella misura in cui è ricco, e non desidero essere accolto dall'altro nella misura in cui sono ricco. Tutte e due le cose sono rilevanti, facce della stessa medaglia. Non mi lascio condizionare dalla ricchezza altreui e non uso la mia come arma di seduzione. Ovviamente si parla qui di ricchezza in senso ampio: vigore, bellezza, attrattiva, intelligenza, forza di volontà, sentimento, talenti vari.

Questo atteggiamento di fondo si traduce nella pratica come libertà nei confronti dei primi, dei potenti, e come attenzione agli ultimi. Non mi fondo sulla mia ricchezza per farmi accettare e non vivo i rapporti umani come rapporti di forza. Posso presentarmi all'altro con fiducia, senza maschere, nella mia povertà, facendo della ricchezza che ognuno ha uno strumento di comunione e non di potere.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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