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TESTO Ringraziare è celebrare

don Maurizio Prandi

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/10/2007)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Continua un percorso cominciato domenica scorsa. Ci viene data, dalla Parola di Dio la possibilità di fare un po' di chiarezza intorno alla fede, che come dicevamo sette giorni fa è dono di Dio alla nostra vita. Gesù, nel brano di vangelo ci dice che esiste la possibilità di obliterare questo dono tagliando fuori della nostra vita la dimensione del ringraziamento. Come dire: quella che ti abita non è fede se è staccata dal ringraziamento, quella che ti abita non è fede se è privata di una dimensione fondamentale: quella eucaristica (fare eucaristia significa ringraziare), quella che ti abita non è fede se non riconosci che sei stato oggetto di amore, di gratuità. Se la nostra vita non si apre alla gratuità... non è una vita cristiana. Quella del ringraziamento non è una prassi (mi permetto di dire) usuale per noi... altre volte l'ho detto, ma penso sia utile ripeterlo, piuttosto che ringraziare preferiamo contraccambiare, possibilmente con un dono di valore più grande, se non per mettere in difficoltà l'altro almeno per ribadire che la partita è chiusa e non si è in debito con nessuno. Addirittura capita che la partecipazione alla preghiera del rosario (o al funerale) in occasione della morte di qualcuno, non è segno di un rapporto, di una relazione, di una amicizia, ma soltanto per ricambiare o per assicurarsi una presenza il giorno che saremo noi a dover accompagnare qualcuno dei nostri cari all'incontro con Dio.

Mi pare bello allora, per essere aiutato prima di tutto io a capire, sottolineare quanto S. Paolo scrive nella seconda lettura di oggi: se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso... la risposta di Dio alla mia incertezza, la risposta di Dio alle mie cadute, la risposta di Dio al mio egoismo è la sua fedeltà, è il suo amore gratuito. Anche la prima lettura mi pare straordinariamente bella proprio in questo senso... non solo ci parla di un uomo che al termine di un percorso interiore si rende conto di essere stato raggiunto, ma anche di un profeta che sa essere segno della gratuità e del totale disinteresse di Dio. Ci parla della guarigione dalla lebbra dello straniero Naaman ad opera del profeta Eliseo. Naaman è uno straniero che alla fine risulta migliore e più vicino a Dio di altri. Mi piace anche che prima lettura e vangelo di oggi ci indichino non soltanto due percorsi di guarigione, ma anche due percorsi spirituali, nel senso che la loro vicenda non si ferma ad una purificazione esteriore della pelle, no! Si sentono raggiunti da Dio e a Dio aderiscono con la loro vita. Non si limitano alla parola: grazie, ma riconoscono Dio come il loro Salvatore. E dire che quella di Naaman è una personalità abbastanza complessa.. però possiamo in un certo senso riconoscerci in lui: il testo mostra la difficoltà, soprattutto per un uomo importante, ricco e potente come Naaman, di riconoscersi debitore: coprire di denaro e di preziosi chi lo ha beneficato significherebbe sdebitarsi, far divenire l'altro grato nei suoi confronti e così non perdere la propria grandezza e la propria immagine di uomo che non deve chiedere nulla a nessuno. La gratitudine è difficile e chiede la messa a morte del proprio narcisismo per entrare nel novero di coloro che si sanno graziati (E. Bianchi). Mi pare importantissima e decisiva per me sacerdote e credo per la chiesa anche la figura del profeta Eliseo così come oggi emerge: Questi fa da padre spirituale per la fede di Naaman: rifiutando il dono con cui costui vorrebbe esprimergli riconoscenza, lo aiuta a comprendere che non è stato il profeta, ma la fede in Dio a salvarlo e che il dono di Dio non si potrà mai pagare (D. Daniele Simonazzi). Bello perché Eliseo è uno che non mira a legare a sé le persone, bello perché mantiene una distanza: non cattura e non si lascia catturare: Io sto alla presenza del Signore. Nella relazione con Dio non possiamo credere di poterLo comprare, di poterLo possedere grazie a quello che facciamo: fioretti, offerte, promesse... la relazione con Dio non è un negozio, non è un mercato nel quale io do e visto che do lui mi deve dare oppure do perché una cosa mi è andata bene e allora lo voglio tenere sempre buono... Provo a pensare allora a quante volte invece che fare eucaristia, faccio mercato... dicevo in questi giorni a Cuba in una omelia che il Regno di Dio non è qualcosa, ma è Qualcuno, è Gesù che ci cerca e che ci chiama all'incontro con Lui. E' la relazione con Gesù ciò che veramente conta nella mia vita e solo la relazione con Lui può calmare la sete che ho, solo la relazione con Lui porta a compimento i sogni e i desideri che ho dentro di me. Nella relazione con Dio spesso mi capita di chiedere... chiedo tanto, ma cosa chiedo? Faccio un po' di mercato... chiedo cose, chiedo grazie, chiedo favori... difficilmente ricordo di chiedere quello che veramente conta: la sua vicinanza, la sua presenza, il suo amore, la sua misericordia. Concludo con il ricordo di un ascolto alla comunità di Bose, dove si diceva che il samaritano che torna a ringraziare Gesù dopo che Gesù stesso li aveva invitati tutti e dieci ad andare a presentarsi dai sacerdoti, riconosce che Gesù è il vero tempio... il samaritano confessa che la presenza di Dio ha trovato in Gesù il suo tempio, la sua manifestazione: ringraziando Gesù il samaritano rende gloria a Dio.

Le parole di Gesù sulla fede del samaritano significano che la salvezza è veramente tale se la si celebra e il dono di Dio è veramente accolto quando per esso si sa ringraziare, ovvero riconoscerne e confessarne l'origine. Solo nel ringraziamento il dono è riconosciuto come dono. Per questo il cuore del culto cristiano si chiama eucaristia. Di fronte al dono di Dio non vi è altro da fare che entrare nel ringraziamento, vivere nel rendimento di grazie (comunità di Bose).

Il samaritano, lo straniero, il diverso, il pagano, ha saputo fare eucaristia.

 

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